Borriello: “Serve un tavolo tecnico per garantire continuità e futuro alla flotta a strascico”

Borriello: “Serve un tavolo tecnico per garantire continuità e futuro alla flotta a strascico”

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Dopo la conferma delle giornate di pesca per il 2025, Coldiretti Pesca guarda già al 2026 e chiede l’attivazione urgente di un tavolo tecnico per la pesca a strascico con il Ministero competente. L’obiettivo è arrivare al prossimo Consiglio Agrifish di dicembre con una posizione condivisa, in grado di tutelare la flotta nazionale senza compromettere gli obiettivi di sostenibilità ambientale.
La pesca a strascico, che assicura oltre il 70% del pescato nazionale, continua a muoversi in equilibrio tra vincoli europei e sostenibilità economica. Dopo anni segnati da aumenti dei costi, restrizioni e fermi temporanei, il settore attende una programmazione più stabile, capace di coniugare tutela dell’ambiente e continuità produttiva.
Ne abbiamo parlato con Daniela Borriello, responsabile nazionale di Coldiretti Pesca, che ha argomentato le priorità dell’associazione in vista del 2026.

Coldiretti Pesca ha chiesto l’attivazione urgente di un tavolo tecnico sulla pesca a strascico per arrivare al Consiglio Agrifish di dicembre con una posizione condivisa. Quali sono, a suo avviso, le priorità tecniche e politiche che l’Italia dovrebbe portare al tavolo europeo per tutelare la flotta nazionale senza compromettere gli obiettivi di sostenibilità ambientale?

La questione nasce dal Consiglio Agrifish di dicembre 2024, quando grazie alle misure di compensazione siamo riusciti ad azzerare la riduzione delle giornate di pesca per il 2025. Dovevamo subire un taglio del 38%, ma con l’intervento del Ministero e il nostro lavoro congiunto le giornate del 2025 sono rimaste uguali a quelle del 2024.
Con il nuovo anno il Ministero ha poi adottato le prime misure di compensazione e le abbiamo comunicate a marzo alla Commissione Europea, che però a luglio ne ha respinte alcune. A quel punto i nostri pescatori hanno potuto continuare a lavorare, ma si è reso necessario individuare soluzioni alternative. L’obiettivo ora è definire per il 2026 un sistema più razionale, che assegni a ciascuna imbarcazione un proprio quantitativo di giornate da gestire, evitando nuovi stop imposti dall’alto.

Negli ultimi anni il comparto ha dovuto affrontare aumenti dei costi di gestione, limitazioni normative e fermi temporanei che hanno inciso sulla redditività. In questo contesto, quanto è ancora sostenibile l’attività della flotta a strascico italiana e quali interventi ritiene prioritari per garantirne la continuità operativa?

L’arrivo di un ulteriore mese di fermo a novembre è stato sicuramente un problema. Le alternative, però, sarebbero state ancora più penalizzanti: da un lato la sospensione totale dell’attività fino a fine anno, dall’altro l’obbligo di aumentare la distanza minima di pesca da 3 a 4 miglia, che per le nostre imbarcazioni sarebbe insostenibile nei mesi invernali.
Dopo un confronto con le marinerie, l’ulteriore fermo di novembre è stato considerato il male minore: un mese di fermo biologico aggiuntivo, comunque retribuito come quello di ottobre. In parallelo, le Regioni hanno manifestato la disponibilità a sostenere ulteriormente le imprese attraverso i fondi FEAMPA. Non si tratta della soluzione definitiva, ma di un passaggio necessario in attesa di un sistema più equo e sostenibile.

La programmazione della pesca nel Mediterraneo è sempre più orientata alla sostenibilità, ma spesso con misure percepite come penalizzanti dalle marinerie. Quali strumenti di pianificazione o modelli gestionali potrebbero consentire di conciliare tutela ambientale e redditività, superando la logica dei fermi generalizzati?

Chiediamo di avviare un confronto tecnico vero, che porti a una gestione basata su criteri oggettivi, scientifici ma anche economici. La proposta di calcolare le giornate di pesca su base individuale per imbarcazione va proprio in questa direzione.
Ogni barca potrebbe gestire le proprie giornate in modo autonomo, pianificando l’attività in base alle condizioni meteo e al mercato, evitando fermi collettivi che penalizzano tutti indistintamente. È una richiesta di buon senso, che consente di coniugare sostenibilità ambientale e continuità produttiva.

La flotta italiana continua a ridursi, ma resta un presidio economico e sociale per molte comunità costiere. Quali leve — economiche, formative o normative — possono restituire fiducia agli operatori e favorire un ricambio generazionale stabile nel settore?

I nostri pescatori non vogliono vivere di sussidi, ma semplicemente poter lavorare. È questo il messaggio principale.
Le imprese hanno bisogno di regole chiare, di tempi certi e di una programmazione pluriennale che permetta loro di investire e di garantire un futuro ai giovani. Per questo chiediamo che il Ministero convochi quanto prima il tavolo tecnico, così da costruire insieme un modello gestionale per il 2026 che assicuri equilibrio tra ambiente, economia e occupazione.

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Italy’s Fishing Fleet Shrinks but Still Holds the Line

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There’s a thin line connecting the cold figures of the MASAF Annual Report on Italy’s 2024 efforts toward a sustainable balance between fishing capacity and opportunities, released on October 29.
Behind those numbers lies the fatigue of an ancient trade — resilient yet struggling to reinvent itself. The Italian fishing fleet keeps shrinking, but the sea remains its necessary horizon.

A Downsizing That’s More Than Numbers

By the end of 2024, Italy’s registered fishing vessels totaled 9,642, with a gross tonnage of 137,438 and 908,086 kW of engine power.
Few numbers, but rich in meaning: the fleet lost 73 more vessels in a single year. It’s no longer just a statistic — it’s the sign of a contracting economy, of a missing generational handover, of a profession fading without heirs.
Yet, Italian fishing still stands as a social and economic stronghold in dozens of harbors, especially in the South, where a region’s identity still beats with the rhythm of the tides.

An Aging, Energy-Hungry Heritage

More than 60% of Italian fishing boats are over thirty years old.
This snapshot reveals much more than a technical issue — it tells the story of investment difficulties, slow bureaucracy that makes replacing engines nearly impossible, and the lack of effective tools to drive innovation.
The most modern vessels operate in small-scale fishing, but trawlers, representing just 16% of all boats, still hold over half of the nation’s fishing capacity.
It’s a heavy, costly, and energy-intensive fleet, still operating in waters fragile both biologically and socially.

The South Keeps Fishing Afloat — Barely

57% of Italy’s fleet sails between Sicily, Puglia, and Campania.
The South remains the beating heart of Italian fishing, but fatigue shows clearly there.
In many coastal communities, artisanal fishing survives only through the persistence of families who have never left the sea, while younger generations look elsewhere.
In contrast, Northern Adriatic enterprises are more structured, better organized, and more adept at accessing EU funds.
Italian fishing is increasingly divided between those able to innovate — and those who, despite the will, simply cannot.

The Cost of Energy — and of Time

Fuel remains the true economic tipping point.
In 2024, price volatility directly affected profitability, forcing many vessel owners to limit their time at sea.
MASAF’s report doesn’t say it outright, but between the lines emerges a clear truth: without an energy plan for the fishing sector, ecological transition risks staying just words on paper.
The sea is expensive, and without targeted incentives for engine replacement and fuel efficiency, sustainability remains a distant horizon.

A Trade Without Heirs

The report dedicates an important section to a critical and often overlooked issue: generational turnover.
Each year, the number of fishers over fifty grows, while those under thirty decline.
Even FEAMPA funds are not enough to reverse this trend. What’s missing are technical training paths — and above all, a vision that restores dignity and modern appeal to fishing.
The Italian fleet cannot renew itself until the narrative of the sea itself is renewed.

Building the Future

MASAF’s analysis paints a complex picture, but not without hope: fishing capacity now aligns with the condition of fish stocks, showing that management efforts are working.
The challenge now is to turn biological sustainability into economic sustainability.
Italian fishing needs simpler rules, real incentives, and an industrial plan that recognizes it as part of the blue economy, not a marginal sector.
Because in 2024 — and in 2030 and beyond — one cannot speak of the Italian sea without speaking of those who live it every day.

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Al via il Pnt 2025 -27, Agripesca presente con “custodi del mare”

Le dichiarazioni del Presidente all’avvio del Pnt

“Viviamo con orgoglio l’inizio delle attività del Programma Nazionale Triennale della pesca 2025 – 2027, cui parteciperemo con il nostro progetto Custodi del mare”; lo afferma Mario Serpillo, presidente di Agripesca.

Il PNT si propone di promuovere la sostenibilità della pesca e dell’acquacoltura attraverso un approccio integrato che unisce ricerca scientifica, innovazione tecnologica, formazione degli operatori e azioni di sensibilizzazione della società civile. “Le sfide globali come i cambiamenti climatici, l’inquinamento da microplastiche, l’acidificazione degli oceani e il sovrasfruttamento degli stock ittici – richiedono nuove strategie di gestione delle risorse marine, ed è ciò che andremo a proporre”.

Il programma proposto da Agripesca sviluppa azioni progressive che intercettano cittadini di varie età e sensibilità. Nello specifico, saranno messi in campo, laboratori didattici nelle scuole primarie, secondarie e superiori su sostenibilità, filiera ittica ed economia circolare ed anche hackathon con studenti e giovani innovatori, in collaborazione con pescatori. Prevediamo la reaòizzazione di un documentario e alcune video interviste per raccontare il ruolo dei pescatori come custodi del mare, secondo lo spirito del progetto.

Non mancheranno attività di educazione alimentare e percorsi tematici nelle scuole; svolgeremo convegni territoriali in 5 Regioni (Lazio, Campania, Calabria, Sardegna, Sicilia) e 14 città (Roma, Palmi, Sapri, Tortolì, Mazara del Vallo, Siniscola, Castellabate, Crotone, Siracusa, Catanzaro, Sciacca, Sapri, Arbatax, Trapani) tra dicembre 2025 e e settembre 2027.

Agripesca porta avanti con tutte le sue forze il messaggio che dà vita al progetto, per sostenere un nuovo modo di vivere il nostro rapporto con il Mare Nostrum, un modo finalmente integrato”, conclude Mario Serpillo.

Pesca e maricoltura: due rotte che si incontrano

Pesca e maricoltura: due rotte che si incontrano

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Nei porti siciliani il rientro dei pescherecci al termine delle campagne di pesca è un momento sospeso tra fatica e silenzio. Chi lavora a bordo ascolta non solo il rumore delle onde infrante dalla prua, ma anche le proprie riflessioni, una su tutte la preoccupazione per il futuro del loro mestiere: stock sempre più ridotti, normative stringenti, costi del carburante in aumento e mercati incerti rendono ogni uscita in mare una sfida sempre più ardua.

La pesca tradizionale resta una cultura antica, un filo che lega generazioni al Mediterraneo, ma le sfide odierne invitano a pensare a strategie nuove e sostenibili. È qui che potrebbe entrare in gioco la maricoltura come alleata naturale della pesca.

Pesca e maricoltura sono mondi diversi, ma con sorprendenti analogie: entrambe richiedono conoscenza del mare, pazienza, rispetto dei cicli naturali e cura degli esseri viventi. Chi pesca sa leggere le correnti e le stagioni, chi alleva deve conoscere temperatura, qualità dell’acqua e nutrizione degli organismi. In entrambi i casi, il legame con il pesce resta al centro.

In Sicilia, sempre più si guarda con interesse alla possibilità di integrare piccoli sistemi di allevamento costiero nella propria attività, non per sostituire la pesca, ma per ridurre la pressione sulle risorse naturali e creare stabilità economica, senza perdere il contatto con la tradizione marina.

Secondo la FAO, oltre la metà del pesce consumato a livello mondiale proviene oggi da acquacoltura/maricoltura, un dato che evidenzia quanto questo settore sia ormai centrale per la sicurezza alimentare globale. Oggi non si parla più di sistemi intensivi e inquinanti come in passato: la tecnologia moderna, i mangimi sostenibili e la gestione dei cicli larvali hanno reso l’allevamento più rispettoso dell’ambiente.

In termini concettuali, la maricoltura offre strumenti utili per alleggerire lo sforzo della pesca sulle popolazioni naturali, mentre la stessa attività estrattiva continua a custodire il patrimonio biologico, culturale e sociale del Mediterraneo.

La complementarità tra pesca e allevamento in mare apre nuove opportunità senza snaturare la tradizione. Si tratta di un cambio di prospettiva: dalla fatica del mare aperto alla cura di un ecosistema controllato, sempre con lo sguardo rivolto al mare. Un gesto che mantiene il romanticismo del contatto con l’acqua, la salsedine sulle mani e la conoscenza dei ritmi biologici, pur offrendo strumenti nuovi e sostenibili.

In questa nuova visione l’allevamento affianca la pesca, la sostiene, ne prolunga la storia. Offre stabilità economica permettendo di compensare periodi di catture scarse o stagioni difficili, mantiene viva la filiera. Favorisce la sperimentazione controllata di nuove tecniche e alimentazioni sostenibili, genera conoscenza scientifica utile anche alla gestione degli stock naturali, e consente di produrre cibo con minori sprechi e impatto ambientale rispetto alla pesca intensiva.

Il futuro della pesca e della maricoltura sta nel prendersene cura insieme, senza rincorrere quantità, ma valorizzando conoscenza, innovazione, sostenibilità e tradizione, costruendo un modello in cui economia, cultura e ambiente marino coesistono in armonia

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Passato Halloween, i veri mostri restano: la lunga ombra della pesca fantasma

Passato Halloween, i veri mostri restano: la lunga ombra della pesca fantasma

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Halloween è finito, ma nel mare i fantasmi restano. Invisibili, silenziosi e devastanti, gli attrezzi da pesca abbandonati o perduti — reti, nasse, lenze, trappole — continuano a imprigionare e uccidere pesci, crostacei, tartarughe e mammiferi marini per anni. È il fenomeno della pesca fantasma, conosciuto a livello internazionale come ghost fishing, una delle forme di inquinamento marino più insidiose e persistenti.

Secondo FAO e UNEP, ogni anno finiscono in mare oltre 600.000 tonnellate di attrezzi da pesca. Una volta dispersi, questi strumenti non vengono più recuperati e continuano a esercitare la loro funzione di cattura in modo incontrollato. Gli animali che vi rimangono intrappolati muoiono senza mai essere recuperati, contribuendo così alla perdita di biodiversità e alla degradazione degli ecosistemi marini.
Si tratta di pesca sprecata, non di risorsa. Nessun beneficio economico, solo danno ambientale.

Nel Mediterraneo, dove la pressione di pesca è tra le più elevate al mondo, la pesca fantasma rappresenta una minaccia crescente. Le reti si impigliano tra le rocce, sui relitti e tra le praterie di posidonia, trasformandosi in trappole permanenti. Spostate dalle correnti, continuano a uccidere a ogni movimento.
Il problema è aggravato dal fatto che i materiali sintetici moderni — nylon, polietilene, polipropilene — si degradano molto lentamente, fino a centinaia di anni, rilasciando microplastiche che contaminano acqua e sedimenti.

Un impatto che va oltre l’ambiente

Il fenomeno del ghost fishing non riguarda solo la conservazione marina.
Ogni attrezzo perduto rappresenta anche un danno economico indiretto per chi vive di pesca: riduce la disponibilità di stock, altera la produttività e aumenta i costi legati alla manutenzione e al recupero.
Secondo la FAO, le perdite ecologiche dovute agli attrezzi abbandonati possono equivalere, in alcune aree del mondo, fino al 30% delle catture potenziali, cioè risorse biologiche distrutte e sottratte alla filiera.

C’è poi un aspetto reputazionale.
In un comparto che negli ultimi anni ha investito molto in sostenibilità, tracciabilità e innovazione, la presenza di reti fantasma sul fondo del mare è una contraddizione che pesa sull’immagine del settore.
Affrontare la pesca fantasma significa anche difendere la credibilità di una filiera che del mare vuole essere custode, non carnefice.

Recuperare per rigenerare

Nel Mediterraneo e in Italia sono attive diverse iniziative per contrastare il fenomeno.
Il progetto Ghost Med, coordinato da ISPRA, monitora le aree più colpite e coordina operazioni di recupero con il supporto di subacquei professionisti.
L’organizzazione Healthy Seas lavora con pescatori e ONG per recuperare le reti abbandonate e rigenerarle in filato ECONYL, una fibra di nylon riciclata impiegata nella moda, nel design e nella produzione industriale.

Anche i FLAG (Fisheries Local Action Groups) italiani stanno promuovendo progetti di prevenzione e sensibilizzazione, installando punti di raccolta nei porti e incentivando la corretta gestione degli attrezzi dismessi.
Laddove i pescatori vengono coinvolti attivamente, i risultati sono immediati: meno attrezzi dispersi, più consapevolezza, maggiore tutela del mare.
Prevenire resta la chiave: una rete che non viene perduta non dovrà mai essere recuperata.

La risposta dell’Unione Europea

L’Unione Europea ha riconosciuto la pesca fantasma come una priorità ambientale.
Il Regolamento (UE) 2019/904 sulla plastica monouso estende la responsabilità del produttore agli attrezzi da pesca, imponendo ai fabbricanti di contribuire ai costi di raccolta e riciclo.
Il FEAMPA 2021–2027 finanzia interventi per migliorare la gestione dei rifiuti marini, sviluppare infrastrutture portuali di conferimento e sostenere tecnologie di tracciabilità.

Resta però un nodo cruciale: la necessità di una filiera stabile del recupero.
Le iniziative locali, pur virtuose, non bastano se non inserite in un sistema logistico e normativo uniforme.
Occorrono protocolli standard, centri di raccolta permanenti e incentivi che rendano la prevenzione e il recupero parte integrante dell’attività di pesca.
Solo così la pesca fantasma potrà essere davvero contrastata, non semplicemente attenuata.

Dal problema all’opportunità

Ogni attrezzo recuperato racconta una storia di impatto, ma anche di rinascita.
Le reti rigenerate diventano nuovi prodotti, e ciò che prima soffocava il mare si trasforma in risorsa.
È la prova che l’economia circolare può trovare nel settore ittico una delle sue applicazioni più concrete.

Halloween è finito, ma nel mare i mostri restano.
Affrontare la pesca fantasma non è un gesto simbolico, ma un dovere collettivo.
Significa difendere la biodiversità, la sicurezza alimentare e il futuro stesso di una filiera che dal mare trae vita e valore.

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