Pesca di sussistenza: il mare al di là del profitto

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Quando si pensa alla pesca vengono in mente le flotte industriali, i grandi e affollati mercati ittici, le tonnellate di pesce destinate ai Paesi di tutto il mondo. Vengono in mente anche le problematiche legate al settore a causa di anni e anni di iper sfruttamento degli ecosistemi soprattutto quando ancora le regole erano di là da venire. Esiste tuttavia una tipologia di pesca generalmente esente da critiche, poiché rappresenta un elemento essenziale della cultura e della sopravvivenza delle comunità costiere svantaggiate ovvero “la pesca di sussistenza”.

È questa un’attività che affonda le sue origini in epoche remote e che ancora oggi rappresenta, per milioni di persone, l’unico modo per sfamarsi. Si calcola che l’87% del pesce pescato globalmente finisca sulle tavole dei consumatori, mentre solo l’1–2% proviene da questa forma di pesca. Una percentuale piccola, ma fondamentale per chi vive a diretto contatto con il mare.

Si stima che circa 26,6 milioni di persone indigene pratichino la pesca per sussistenza, catturando tra 1,3 e 2,5 milioni di tonnellate di prodotti ittici ogni anno. In queste comunità il pesce non è solo sopravvivenza ma fa parte anche della cultura e della loro identità.

Il consumo medio pro-capite raggiunge i 74 chili l’anno, al di sopra e di gran lunga della media mondiale che è circa 20 chili pro capite. Un dato che racconta quanto il mare, i fiumi siano ancora oggi la principale fonte di sostentamento e sicurezza alimentare per chi vive appunto di sussistenza.

È la ricerca di cibo a muovere i pescatori, spinti da logiche che gli ecologi spiegano attraverso modelli come la teoria dell’approvvigionamento ottimale o la teoria della dieta ottimale. In parole semplici, chi pesca per vivere sceglie dove come e cosa catturare in base al tempo, all’energia impiegata e al valore nutrizionale del pesce disponibile.

Oggi, però, anche questa tipologia di pesca si trova di fronte a sfide enormi: il cambiamento climatico, l’inquinamento e la competizione con la pesca industriale mettono in pericolo l’accesso alle risorse ittiche.

In un mondo che consuma più pesce di quanto il mare riesca a riprodurre, i pescatori di sussistenza ci insegnano che la vera sostenibilità nasce dal rispetto: rispetto per il mare, per la natura e per le vite che da essa traggono sostegno.

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Il Cile è il primo Paese latinoamericano a proporre il divieto di allevamento di polpi

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L’iniziativa cilena che punta a vietare l’allevamento intensivo di polpi sta accendendo il dibattito internazionale sull’etica e la sostenibilità dell’acquacoltura. Il disegno di legge presentato dalla deputata Marisela Santibáñez con il sostegno di sette colleghi, introduce un principio di precauzione che, se approvato, renderebbe il Cile uno dei primi Paesi al mondo a vietare questa pratica. Il provvedimento è ora all’esame della Commissione Ambiente e Risorse Naturali del Congresso.

Motivazioni ambientali e sanitarie

Il disegno di legge richiama la necessità di proteggere ecosistemi marini vulnerabili, ridurre i rischi per la salute pubblica e promuovere la sicurezza alimentare delle comunità costiere. In particolare, il divieto all’allevamento intensivo di polpi risponde al fatto che tali specie carnivore richiedono alimenti derivati da stock selvatici, aggravando la pressione sulla pesca.

Un contesto internazionale già in evoluzione

Il Cile si muove in un contesto globale in cui cresce la contrarietà all’allevamento di polpi. Negli Stati Uniti, stati come Washington e California hanno già introdotto divieti analoghi, mentre altri ne stanno discutendo. Questa convergenza internazionale rafforza la rilevanza del divieto all’allevamento intensivo di polpi come misura di sostenibilità ambientale e animale.

Impatti per la filiera ittica e le comunità costiere

Per la filiera ittica cilena — tradizionalmente orientata a salmonicoltura e mitilicoltura — la proposta rappresenta una clausola preventiva contro la nascita di un nuovo comparto industriale potenzialmente dannoso. Evitare modelli produttivi intensivi significa anche proteggere la pesca artigianale e preservare gli equilibri delle comunità costiere. La misura, quindi, non frena l’innovazione, ma la indirizza verso soluzioni più compatibili con l’ambiente.

Sfide di applicazione e prospettive future

La trasformazione legislativa evidenzia tuttavia diverse sfide: stabilire criteri di controllo e sanzione, adeguare le concessioni di acquacoltura e affrontare gli effetti sull’innovazione tecnologica. Inoltre, il divieto all’allevamento intensivo di polpi apre un dibattito scientifico sul benessere animale e sugli standard internazionali di certificazione. L’allevamento di polpi, animali solitari e intelligenti, comporterebbe alti consumi di proteine marine e rischi di stress, malattie e inquinamento.

La proposta cilena si colloca come un atto di responsabilità verso il mare e le sue risorse. Con il divieto all’allevamento intensivo di polpi in discussione, il Paese sudamericano invia un messaggio chiaro: la sostenibilità dell’acquacoltura non può prescindere dal rispetto degli ecosistemi e della biodiversità marina. Una scelta che potrebbe ispirare una nuova fase di riflessione per l’intera filiera ittica internazionale.

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I molluschi al centro del futuro alimentare sostenibile dell’Europa

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L’Associazione Europea dei Produttori di Molluschi (EMPA) ha portato l’allevamento di cozze e ostriche all’attenzione dell’Unione Europea, dimostrando come i molluschi possano essere una forza trainante per un futuro alimentare sostenibile in Europa.

Durante una conferenza di alto livello al Parlamento europeo, presieduta da Stéphanie Yon-Courtin, eurodeputata e vicepresidente della Commissione Pesca, il settore europeo della molluschicoltura ha invitato i responsabili politici dell’UE a riconoscere i molluschi come una pietra angolare dei sistemi alimentari sostenibili.

Organizzato dall’Associazione Europea dei Produttori di Molluschi (EMPA), l’evento intitolato “Food of the Future: the Shellfish Vision for 2040” (“Il cibo del futuro: la visione dei molluschi per il 2040”) ha evidenziato come l’allevamento dei molluschi possa:

  • contribuire agli obiettivi del Patto Europeo per gli Oceani, garantendo una produzione alimentare sana e a basso impatto;
  • rafforzare l’autonomia alimentare europea producendo localmente proteine nutrienti;
  • sostenere le comunità costiere e l’occupazione, in linea con le priorità dell’economia blu dell’UE;
  • fornire servizi ecosistemici essenziali, dal miglioramento della qualità delle acque alla promozione della biodiversità marina.

Addy Risseeuw, presidente di EMPA, ha sottolineato la necessità che l’Europa integri pienamente la molluschicoltura nella Visione per la pesca e l’acquacoltura 2040 della Commissione Europea, rendendola un pilastro della resilienza climatica e delle diete sostenibili.
«Date una possibilità ai produttori di molluschi, e loro restituiranno all’Europa mari più puliti, posti di lavoro migliori e un’alimentazione più sana», ha dichiarato.

Raphaëla Le Gouvello, esperta dell’IUCN e fondatrice di RespectOcean, ha ricordato che l’allevamento dei molluschi non è solo un’industria, ma può essere un’attività ocean-positive, parte integrante dell’economia blu rigenerativa, come recentemente riconosciuto dal Congresso Mondiale per la Conservazione dell’IUCN (ottobre 2025).
“L’economia blu rigenerativa – ha sottolineato –  è un modello economico che combina la rigenerazione e la protezione rigorosa ed efficace dell’oceano e degli ecosistemi marini e costieri con attività economiche sostenibili, legate al mare e a basse emissioni di carbonio, e con una prosperità equa per le persone e il pianeta, oggi e domani”.
“L’acquacoltura dei molluschi
– ha aggiunto –  può produrre cibo sano con minori emissioni di carbonio”.

Un dibattito moderato dall’eurodeputata Yon-Courtin ha visto gli interventi di Lorella De la Cruz, capo dell’Unità Acquacoltura presso la DG MARE, Lorenzo Gennari, presidente della European Aquaculture Technology & Innovation Platform (EATIP), e degli eurodeputati Paulo Do Nascimento Cabral e Nicolás González Casares.

In conclusione, l’eurodeputata Stéphanie Yon-Courtin ha ribadito la responsabilità dell’UE nel riconoscere il ruolo strategico dell’acquacoltura nel futuro alimentare europeo: “Il dibattito di stasera ha mostrato come l’allevamento dei molluschi possa essere al centro di un sistema alimentare europeo sostenibile e resiliente, contribuendo allo sviluppo delle nostre regioni costiere. Il settore della molluschicoltura, i suoi professionisti e i loro prodotti non devono essere dimenticati: meritano il posto che spetta loro nelle politiche marittime e alimentari dell’UE”.

Il messaggio per Bruxelles è stato chiaro: gli allevatori europei di molluschi sono pronti a contribuire alla costruzione di un sistema alimentare sostenibile, più verde e più resiliente per il 2040 e oltre.

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Dall’UE nuove linee guida per la pesca sostenibile nei siti Natura 2000

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La Commissione europea ha pubblicato nuove linee guida per la gestione della pesca nei siti marini Natura 2000, con l’obiettivo di rafforzare la protezione degli ecosistemi senza compromettere la vitalità del settore ittico europeo. La pesca sostenibile nei siti Natura 2000 rappresenta il nucleo di un documento che fornisce strumenti pratici agli Stati membri per armonizzare attività economiche e tutela ambientale.

La strategia si inserisce nel quadro della Direttiva Habitat e della Strategia europea sulla biodiversità 2030, e rappresenta un passo decisivo per garantire che mari sani continuino a sostenere comunità costiere e imprese di pesca.

Mari sani, comunità resilienti

Gli habitat ricchi di biodiversità, come barriere coralline, banchi di sabbia e praterie di fanerogame marine, sono il cuore pulsante della produttività ittica. Proteggerli non è solo un dovere ambientale, ma un investimento economico diretto. Un ecosistema marino equilibrato favorisce la riproduzione e la crescita delle specie commercialmente più rilevanti, rafforzando così la sostenibilità delle filiere.

La pesca sostenibile nei siti Natura 2000, quindi, non limita l’attività dei pescatori, ma ne tutela il futuro. Ridurre gli impatti sugli habitat significa preservare risorse e posti di lavoro, rafforzando il legame tra le comunità locali e il mare.

Strumenti concreti per gli Stati membri

Le nuove linee guida europee definiscono procedure chiare per valutare gli impatti delle attività di pesca sugli habitat e sulle specie protette. Gli Stati membri potranno adottare misure di conservazione nazionali o condivise a livello comunitario, basate su obiettivi specifici per ogni sito.

Questo approccio evita una gestione frammentata e favorisce un dialogo costruttivo con i pescatori, chiamati a contribuire attivamente alla definizione delle regole. La trasparenza e la partecipazione diventano così elementi chiave per costruire fiducia e corresponsabilità tra istituzioni e operatori del mare.

Un passo verso l’obiettivo 2030

Oggi oltre 3.000 siti marini Natura 2000 coprono più del 9% delle acque europee. L’obiettivo è arrivare al 30% entro il 2030, con una gestione realmente efficace e condivisa.

La Commissione europea sottolinea che la conservazione della biodiversità non può essere separata dalla sostenibilità economica della pesca. Solo attraverso un equilibrio tra protezione e produttività sarà possibile mantenere viva la cultura marittima europea e garantire un futuro competitivo alle imprese del settore.

Un modello europeo da rafforzare

Le nuove linee guida rappresentano un modello evolutivo di governance ambientale, capace di coniugare conoscenza scientifica, regolazione e partecipazione sociale. Se applicate con coerenza, potranno trasformare Natura 2000 da vincolo a risorsa, offrendo opportunità di innovazione e di riconversione sostenibile per la flotta europea.

Il futuro della pesca passa anche dalla capacità di preservare gli ecosistemi che la rendono possibile. Ed è proprio su questo terreno che l’Unione europea chiede oggi uno sforzo collettivo.

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Economie Bleu, cooperazione Italia-Algeria per la pesca sostenibile

Economie Bleu, cooperazione Italia-Algeria per la pesca sostenibile

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Economie Bleu

Venticinque rappresentanti del mondo cooperativo algerino, tra direttori di cooperative, funzionari pubblici, pescatori e operatori del settore ittico, sono arrivati oggi, 20 ottobre, a Roma per una visita studio in Italia nell’ambito del progetto Economie Bleu, promosso in collaborazione con Legacoop Agroalimentare e Halieus.

L’iniziativa, che si inserisce nel quadro della cooperazione tra le due sponde del Mediterraneo, prevede, dopo la visita in Algeria dei cooperatori italiani di Legacoop Agroalimentare, un articolato programma di incontri tra Roma, la Romagna e Chioggia, con l’obiettivo di favorire lo scambio di esperienze, conoscenze e buone pratiche nel settore della pesca e dell’acquacoltura cooperativa.

Dopo un primo momento istituzionale a Roma presso la sede nazionale di Legacoop Agroalimentare, la delegazione visiterà alcune tra le più significative realtà cooperative della pesca italiana: la Casa del Pescatore di Cattolica, la cooperativa Mare, la Cooperativa Lavoratori del Mare di Rimini, la Casa del Pescatore di Cesenatico, La Fenice di Cervia, la Copego di Goro e infine le cooperative di Chioggia.

Il percorso si concluderà nel fine settimana con una tappa dedicata alla conoscenza del mercato ittico di Chioggia e al confronto diretto con i rappresentanti delle marinerie locali.

«Questo progetto rappresenta un tassello importante nel rafforzamento del dialogo tra la sponda nord e la sponda sud del Mediterraneo», sottolinea Cristian Maretti, presidente di Legacoop Agroalimentare. «Con Economie Bleu vogliamo promuovere una visione condivisa del mare come spazio di cooperazione, scambio e crescita comune, in linea con lo spirito dell’Ocean Pact, che riconosce il Mediterraneo come luogo strategico non solo ambientale, ma anche politico, culturale ed economico. È fondamentale continuare a investire in percorsi di formazione, innovazione e partenariato che valorizzino il ruolo delle cooperative come motore di sviluppo sostenibile nei territori costieri».

La visita rientra in un più ampio programma di cooperazione euromediterranea volto a sostenere l’economia blu come leva per la crescita inclusiva, la gestione sostenibile delle risorse marine e la valorizzazione delle comunità costiere.

Il progetto Economie Bleu mira infatti a rafforzare le capacità delle organizzazioni cooperative algerine nel settore della pesca, promuovendo modelli di gestione partecipata, sostenibilità ambientale e creazione di filiere locali più resilienti.

In questo contesto, Legacoop Agroalimentare e Halieus, la struttura di Legacoop dedicata alla cooperazione internazionale allo sviluppo, svolgono un ruolo chiave nella formazione, nell’assistenza tecnica e nel trasferimento di competenze tra le cooperative italiane e quelle dei Paesi partner del Nord Africa.

«Il Mediterraneo deve tornare ad essere un mare che unisce», ha aggiunto Maretti. «La cooperazione tra Italia e Algeria, e più in generale tra Europa e Nord Africa, è un passo concreto verso un’economia del mare sostenibile, equa e capace di generare valore condiviso. È un impegno che si inserisce perfettamente nella visione europea di una diplomazia mediterranea multilivello e di lungo respiro».

L’iniziativa testimonia l’impegno di Legacoop Agroalimentare nel promuovere la diplomazia cooperativa del mare, in un momento in cui l’Unione Europea sta ridefinendo la propria strategia per il Mediterraneo. Un impegno che guarda al futuro, nella convinzione che il mare non sia solo confine, ma ponte tra culture, economie e persone.

Il progetto Economie Bleu Economie Bleu è un programma di cooperazione internazionale dedicato alla promozione di un modello di sviluppo sostenibile del settore ittico e costiero nei Paesi del Nord Africa, con particolare attenzione ad Algeria e Tunisia. Finanziato nell’ambito delle iniziative di partenariato euro-mediterraneo, il progetto coinvolge istituzioni, cooperative, centri di ricerca e organizzazioni della società civile, con l’obiettivo di rafforzare le competenze delle cooperative di pesca nella gestione economica e ambientale e di promuovere la trasformazione sostenibile dei prodotti ittici e la tracciabilità delle filiere. Allo stesso tempo vuole sostenere la nascita di reti di cooperazione e di partenariati tra imprese dei due Paesi e favorire lo scambio di esperienze e buone pratiche tra le comunità costiere del Mediterraneo. Infine vuole contribuire agli obiettivi del Patto per l’Oceano (Ocean Pact) e dell’Agenda per il Mediterraneo promossa dalla Commissione Europea.

Il progetto è realizzato con il supporto tecnico di Halieus la struttura di Legacoop dedicata alla cooperazione internazionale allo sviluppo e con la collaborazione del ministero dell’Agricoltura e delle Risorse Ittiche dell’Algeria, delle organizzazioni cooperative locali e di diversi partner italiani delle marinerie dell’Adriatico.

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