Le sirene dei pescherecci italiani suoneranno in omaggio a Papa Francesco

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Le sirene dei pescherecci italiani suoneranno in omaggio a Papa Francesco – Il mondo della pesca italiana si stringe nel cordoglio per la scomparsa del Santo Padre. Papa Francesco ha sempre dimostrato una profonda vicinanza al settore, riconoscendo nei pescatori italiani non solo il valore professionale, ma anche quello umano e ambientale.

In numerose occasioni pubbliche, interviste e udienze, il Pontefice ha sottolineato il ruolo essenziale delle marinerie nella salvaguardia del mare e nella custodia delle tradizioni locali. Un impegno che lo stesso Papa Francesco ha ribadito anche nell’ultimo incontro con i rappresentanti del settore, lo scorso 23 novembre 2024, affermando: «Siete custodi del mare, esempio di solidarietà e visione per il futuro».

Per rendere omaggio alla sua memoria e al suo messaggio, sabato 26 aprile alle ore 9:45, i pescherecci italiani suoneranno in contemporanea le sirene dei pescherecci in tutti i porti del Paese. Lo annunciano congiuntamente Federpesca, Alleanza delle Cooperative Italiane, Coldiretti Pesca, Fai CISL, Flai CGIL e Uila Pesca.

Le sirene dei pescherecci italiani suoneranno in omaggio a Papa Francesco

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USA: dazi contro le importazioni per rilanciare la pesca domestica

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USA: dazi contro le importazioni per rilanciare la pesca domestica – Il sistema ittico statunitense sta affrontando una revisione strutturale senza precedenti. Con l’ordine esecutivo “Restoring American Seafood Competitiveness”, l’amministrazione Trump introduce una strategia protezionistica mirata a ridurre la dipendenza dagli stock ittici importati, intervenendo con dazi elevati e un processo di semplificazione normativa a favore della produzione domestica.

Il focus è chiaramente sul comparto del gambero lungo la costa del Golfo, oggi schiacciato da una concorrenza internazionale a basso costo e da un sistema di regolamentazione interna considerato troppo penalizzante. Secondo i dati diffusi dal Dipartimento delle Risorse Marine del Mississippi, solo il 5-10% dei gamberetti consumati a livello nazionale proviene da catture statunitensi: il resto è frutto di importazioni che, in molti casi, non rispondono agli stessi standard qualitativi e sanitari richiesti ai produttori locali.

Il provvedimento, oltre a introdurre dazi sulle importazioni, avvia una revisione delle policy federali che secondo gli operatori di settore hanno contribuito al declino della pesca statunitense. L’obiettivo è duplice: da un lato, riequilibrare il mercato a favore dei produttori nazionali, dall’altro rafforzare la competitività di una filiera storicamente radicata, ma oggi in affanno.

Il quadro economico che ha spinto l’amministrazione a intervenire è chiaro. L’aumento dei costi operativi – primo fra tutti quello del carburante – e il crollo dei prezzi alla vendita hanno eroso la marginalità dei pescatori locali. Molte imprese familiari, anche storiche, si trovano oggi davanti a una scelta: chiudere, o riconvertire. L’ordine esecutivo si propone come un’ancora di salvezza per queste realtà, ma anche come un test di resistenza per l’intero settore.

Le conseguenze attese sono complesse. A breve termine, l’imposizione dei dazi potrebbe comportare un rialzo dei prezzi al consumo, soprattutto nel segmento Ho.Re.Ca., dove il prodotto ittico d’importazione è largamente utilizzato. Tuttavia, l’obiettivo dichiarato è quello di generare un vantaggio competitivo per il pescato locale, migliorandone la distribuzione e la percezione sul mercato interno.

Il caso americano apre una riflessione che tocca anche l’Europa e il Mediterraneo: è ancora sostenibile una filiera nazionale schiacciata da logiche globali? E quale ruolo può giocare la politica economica nella tutela delle risorse e del lavoro locale?

Se il modello USA funzionerà, potremmo assistere nei prossimi anni a una nuova stagione di interventi mirati alla salvaguardia delle economie costiere, in cui il valore del prodotto locale torni finalmente a pesare più del prezzo imposto dalla globalizzazione.

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Brodi e fondi di pesce. Una leva reddituale con la trasformazione di sottoprodotti

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Brodi e fondi di pesce. Una leva reddituale con la trasformazione di sottoprodotti – In una filiera dove ogni parte del pescato ha un costo operativo, la capacità di trasformare i sottoprodotti in referenze vendibili rappresenta una strategia di business ad alta efficienza. Brodi, fondi e fumetti di pesce, noti da sempre in ambito culinario, stanno trovando oggi una nuova collocazione all’interno della trasformazione alimentare su scala industriale, dove diventano strumenti concreti di marginalità e diversificazione.

La materia prima – teste, lische, carapaci, ritagli – è disponibile in abbondanza e ha un valore iniziale minimo. Con l’introduzione di processi codificati e tecnologie appropriate, può essere convertita in prodotti standardizzati, stabili, dal profilo sensoriale coerente e perfettamente collocabili sul mercato. L’industria non si limita più alla lavorazione primaria: attraverso linee dedicate, si struttura per produrre basi liquide, concentrate o disidratate, pronte all’uso per il food service, l’industria dei piatti pronti e, progressivamente, anche per il retail di fascia alta.

Le tecnologie oggi disponibili permettono una gestione efficiente del processo: estrazione termica a pressione controllata, cottura in sottovuoto per mantenere l’integrità organolettica, riduzione concentrata e, infine, stabilizzazione attraverso pastorizzazione, congelamento o disidratazione. Il confezionamento in ATM o in pouch asettici consente una shelf life prolungata e ampia flessibilità logistica.

I vantaggi sono sia tecnici che economici. Il prodotto finale è replicabile, facilmente porzionabile, integrabile in linee di trasformazione alimentare automatizzate. Sul piano economico, i costi di produzione restano contenuti, mentre il prezzo medio di vendita si colloca su fasce medio-alte, soprattutto nel caso dei fondi concentrati e dei fumetti gourmet destinati alla ristorazione.

Alcune realtà italiane – tra cui Goodas, Alfa Food e Well Alimentare – stanno già operando in questo segmento con linee dedicate, rivolte a target diversi (industria, horeca, GDO). Le formule vanno dal brodo granulare in barattolo alle paste concentrate, dai fondi surgelati ai fumetti “clean label” senza additivi, tutti esempi di come l’innovazione tecnologica possa valorizzare materia prima che, fino a pochi anni fa, veniva destinata solo al compostaggio o alla farina.

L’interesse del mercato è confermato anche dalla crescente domanda di basi pronte ad alto contenuto proteico, dal ritorno alla cucina “di fondo” nella ristorazione contemporanea e dall’esigenza, per l’industria dei piatti pronti, di garantire qualità e sapore autentico senza allungare i tempi di produzione.

È in atto una maturazione industriale del concetto di brodo di pesce, non come preparazione estemporanea ma come categoria commerciale strutturata, con sue dinamiche di prezzo, formati, canali e margini. In questa logica, la realizzazione di linee produttive dedicate ai brodi e fondi può rappresentare per le imprese ittiche un’estensione naturale e strategica del ciclo produttivo.

La vera innovazione non risiede nell’idea del brodo in sé – patrimonio della cucina da sempre – ma nella capacità di industrializzarne la produzione in modo efficiente, scalabile, normativamente conforme e pronto per l’inserimento nei diversi canali distributivi. In questo senso, la sinergia tra impianti di trasformazione e aziende di prima lavorazione può generare micro-filiere verticali ad alta redditività, contribuendo anche agli obiettivi di sostenibilità della filiera.

In definitiva, i brodi e fondi di pesce non sono più solo una risorsa gastronomica: sono un asset operativo, una voce di business da considerare in qualsiasi strategia moderna di valorizzazione del pescato.

Brodi e fondi di pesce. Una leva reddituale con la trasformazione di sottoprodotti

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Europêche spinge l’UE verso importazioni ittiche sostenibili

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Europêche spinge l’UE verso importazioni ittiche sostenibili – Con un comunicato ufficiale, Europêche – la principale organizzazione rappresentativa della pesca europea – ha preso una posizione netta sulla consultazione pubblica avviata dalla Commissione europea riguardo il futuro dei contingenti tariffari autonomi (ATQ). Il cuore del messaggio è chiaro: l’accesso preferenziale al mercato europeo per i prodotti della pesca non può più prescindere da criteri di sostenibilità ambientale e sociale.

L’attuale sistema ATQ consente l’importazione a dazio zero di oltre 900.000 tonnellate l’anno di prodotti ittici trasformati, provenienti da paesi terzi, in base al solo criterio dell’ordine di arrivo. Una modalità che, secondo Europêche, ha favorito pratiche commerciali distorsive, danneggiando la competitività delle flotte europee e favorendo paesi terzi non vincolati agli standard ambientali e lavorativi dell’UE.

Nel comunicato, Daniel Voces, direttore generale di Europêche, denuncia con forza l’incoerenza di una politica commerciale che “predica sostenibilità all’interno dei confini europei ma consente esenzioni tariffarie a prodotti che non rispettano gli stessi principi”. Secondo Voces, l’UE ha ora l’occasione storica di trasformare le ATQ da semplici strumenti economici a leve strategiche per promuovere una pesca globale più giusta, trasparente e rispettosa delle risorse marine.

A preoccupare l’associazione è anche l’impatto diretto su settori vulnerabili come quello del tonno, in cui ogni anno entrano in Europa 35.000 tonnellate di filetti importati in esenzione doganale da paesi asiatici, molti dei quali coinvolti in pratiche di pesca INN (illegale, non dichiarata, non regolamentata) e violazioni dei diritti dei lavoratori. Queste importazioni, evidenzia Europêche, finiscono per inondare il mercato europeo in pochi giorni, con effetti devastanti sui prezzi e sulla tenuta della flotta comunitaria.

Il comunicato definisce cinque priorità strategiche per una riforma coerente con i valori dell’Unione: sostenibilità obbligatoria per l’accesso ai dazi agevolati, esclusione dei paesi coinvolti nella pesca INN, sostegno concreto alla produzione interna, reciprocità commerciale e allineamento del regime ATQ con le altre politiche UE, incluse le nuove direttive sulla due diligence aziendale e sul controllo della pesca.

Javier Garat, presidente di Europêche, sottolinea che le quote tariffarie autonome devono diventare uno strumento per rafforzare l’autonomia strategica del settore ittico europeo, non per minarla. “Oggi stiamo concedendo vantaggi tariffari a paesi come la Cina senza alcuna contropartita in termini di trasparenza, sostenibilità o reciprocità. Questo deve finire.”

Con questa presa di posizione ufficiale, Europêche intende stimolare un’azione politica decisa da parte della Commissione europea. La sfida è quella di coniugare competitività e responsabilità, offrendo alle industrie europee di trasformazione materie prime accessibili, ma senza più sacrificare l’ambiente marino e la dignità del lavoro in nome del prezzo più basso.

La consultazione pubblica si chiuderà nelle prossime settimane, e i risultati potrebbero ridefinire i rapporti commerciali dell’UE con i partner globali del comparto ittico. Europêche, intanto, ha tracciato una linea netta: le esenzioni tariffarie devono diventare un premio per chi rispetta le regole, non un rifugio per chi le aggira.

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Il DNA dei pesci si adatta al cambiamento climatico

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Il DNA dei pesci si adatta al cambiamento climatico – La crisi climatica non è soltanto una questione di aumento delle temperature, scioglimento dei ghiacci o eventi meteorologici estremi. C’è un’altra battaglia silenziosa che si sta combattendo sott’acqua, una rivoluzione evolutiva che coinvolge le specie ittiche, e che potrebbe cambiare per sempre il modo in cui intendiamo l’equilibrio degli ecosistemi marini e d’acqua dolce.

Una recente tesi della prestigiosa Swedish University of Agricultural Sciences (SLU) ci porta in questo mondo sommerso, dove i pesci persici stanno riscrivendo il proprio codice genetico per adattarsi a un ambiente che si riscalda. Il ricercatore Jingyao Niu ha analizzato l’evoluzione di questi pesci in due ecosistemi vicini, ma profondamente diversi per temperatura: uno naturale e uno riscaldato artificialmente da più di quarant’anni. Il risultato è sorprendente.

Nei laghi più caldi, i persici crescono più in fretta, raggiungono prima la maturità sessuale e diventano adulti a una taglia minore. Un adattamento evolutivo rapido, dettato dalla necessità di sopravvivere e riprodursi in un ambiente instabile e imprevedibile. Ma non è solo questione di crescita accelerata: anche il DNA dei pesci cambia, evolvendosi in risposta alle nuove condizioni ambientali.

Non si tratta di ipotesi teoriche, ma di dati raccolti su campioni ossei antichi e muscoli freschi, e confermati da esperimenti sul campo. Le larve nate nei laghi riscaldati hanno sviluppato un comportamento alimentare diverso: selezionano meno prede, ma più grandi. Segno che la pressione selettiva sta spingendo anche sulle interazioni trofiche, modificando il delicato equilibrio tra predatori e prede.

Questo tipo di ricerca apre scenari nuovi e complessi per l’industria ittica e l’acquacoltura. L’evoluzione non è più un concetto da libro di biologia, ma un elemento da monitorare in tempo reale, perché può impattare su rese, taglie commerciali, strategie di allevamento e conservazione. L’adattamento genetico delle specie potrebbe rendere inefficaci alcune pratiche consolidate, o al contrario, suggerire nuove strade per la gestione sostenibile delle risorse.

Per un settore che dipende dalla stabilità ecologica, ignorare questi segnali sarebbe un errore strategico. Il cambiamento climatico non si limita a modificare la superficie: scende in profondità e trasforma il DNA stesso dei protagonisti del nostro comparto. Chi opera nel settore ittico, dalla pesca alla trasformazione, ha il dovere di restare aggiornato su queste dinamiche. Perché l’evoluzione non aspetta nessuno.

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