Etichette: marketing e trasparenza tra obblighi UE e innovazione

Etichette: marketing e trasparenza tra obblighi UE e innovazione

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In un mercato affollato e competitivo come quello ittico, un’etichetta non è mai un dettaglio marginale: è il primo messaggio che un’azienda comunica al consumatore. Prima ancora di aprire una confezione di pesce fresco, surgelato o trasformato, l’occhio si sofferma sull’etichetta. Colori, chiarezza grafica, ordine delle informazioni e leggibilità non sono solo scelte estetiche: sono strategie di marketing capaci di influenzare la decisione d’acquisto.

Un’etichetta ben progettata racconta fiducia, qualità e trasparenza. È lo spazio in cui un marchio può ribadire la propria attenzione verso il consumatore, sottolineare la provenienza del prodotto, valorizzare certificazioni e differenziarsi dai concorrenti. Nel settore ittico, dove la percezione di freschezza e origine è decisiva, la cura dell’etichetta può trasformarsi in un vantaggio competitivo reale, capace di consolidare la reputazione e favorire la fidelizzazione.

Contenuti obbligatori: la base normativa

Accanto alla dimensione comunicativa, l’etichetta ha una funzione imprescindibile di trasparenza e conformità normativa. Due testi europei regolano questo ambito: il Regolamento (UE) n. 1379/2013, dedicato ai prodotti della pesca e dell’acquacoltura, e il Regolamento (UE) n. 1169/2011, relativo alle informazioni alimentari per i consumatori.

Le informazioni obbligatorie che devono comparire includono:

  • la denominazione commerciale e scientifica della specie;
  • il metodo di produzione (“pescato”, “pescato in acque dolci” o “allevato”);
  • la zona FAO di cattura o il Paese di allevamento;
  • l’attrezzo di pesca utilizzato, per i prodotti pescati;
  • l’indicazione “scongelato” quando applicabile;
  • lotto e data di scadenza o termine minimo di conservazione;
  • ingredienti e allergeni, per i prodotti trasformati;
  • i valori nutrizionali, salvo le esenzioni previste per gli alimenti non trasformati.

Questi elementi garantiscono tracciabilità lungo la filiera, riducono il rischio di contestazioni e consentono al consumatore di compiere scelte consapevoli. Un’etichetta incompleta o poco chiara non solo espone a sanzioni, ma può minare la fiducia costruita dal marchio.

Aspetti tecnici: materiali, stampa e resistenza

Una volta definito cosa scrivere, resta da stabilire come comunicarlo al meglio. Qui entrano in gioco le soluzioni tecniche:

  • stampa termica diretta, rapida ed economica, ma poco resistente a freddo e umidità, adatta a prodotti a rotazione veloce;
  • trasferimento termico, più costoso ma ideale per surgelati e conservati, con maggiore durata e leggibilità.

La scelta del collante è altrettanto cruciale: adesivi specifici per freezer evitano il distacco delle etichette in ambienti umidi o gelidi. Infine, i materiali (carta, poliestere, polipropilene) determinano la resistenza a graffi, condensa e variazioni termiche, proteggendo l’integrità dell’informazione.

Marketing, tecnica e legge: un equilibrio strategico

L’etichetta, quindi, è al tempo stesso marketing, tecnologia e legge. Una grafica curata attrae lo sguardo e trasmette fiducia, la qualità tecnica garantisce resistenza e leggibilità lungo la catena del freddo, la normativa assicura trasparenza e tutela del consumatore. Solo integrando questi tre piani le aziende ittiche possono trasformare un obbligo in una leva strategica per distinguersi.

Nel comparto ittico, investire nell’etichetta significa investire nella reputazione, nella competitività e nella sostenibilità commerciale. È un ponte tra prodotto e consumatore, un narratore silenzioso che parla di origine, qualità e valori aziendali.

A chi desidera esplorare ancora più a fondo il tema, consiglio l’ascolto del podcast di Leonardo Volpi, che affronta con competenza il mondo delle etichette alimentari. L’ho trovato particolarmente interessante e ricco di spunti utili anche per chi opera nella filiera ittica.

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Circular economy in Italian companies 2025

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In recent years, sustainability has moved from being a slogan to becoming an industrial strategy. Today, the circular economy in Italian companies is no longer a long-term vision but a fast-growing reality, reshaping production processes, access to credit and competitiveness in international markets. This trend is confirmed by the latest Clean Technology Observatory 2025, which portrays a country where the ecological transition is consolidating despite geopolitical tensions and macroeconomic uncertainty.

The most striking data is the growth in investments: 72% of Italian companies allocated resources to sustainability projects, with a significant leap in the circular economy, rising from 16% in 2023 to 27% in 2025. Waste recycling, regenerated materials and energy efficiency are no longer isolated experiments but structural elements of corporate strategies.

This transformation is already delivering concrete results. Seven out of ten companies report cost savings, while more than a third have already improved profitability and access to credit. Benefits also extend beyond economics: six in ten businesses report a positive impact on brand reputation, proving how sustainability strengthens competitive positioning.

Innovation is the main driver of this transition. Seventy-two percent of companies see ESG criteria as a strategic factor and recognize the circular economy as an accelerator of process renewal. However, obstacles remain: high costs, lack of incentives and regulatory complexity slow down part of the production system, especially SMEs without structured industrial plans.

The National Recovery and Resilience Plan (PNRR) still represents a partially untapped opportunity. More than half of Italian companies see it as useful, but only 4% have accessed actual funding, highlighting a persistent bureaucratic gap.

The overall picture is clear: the circular economy in Italian companies is set to grow stronger, not only as a response to environmental and regulatory pressures but as a real engine of competitiveness. The challenge, however, requires targeted policies, simpler access to incentives and stronger technical skills.

For the seafood industry, these dynamics have a specific meaning: advanced waste management, recyclable packaging and energy optimization in cold chains are becoming real levers of competitiveness and innovation. These are decisive challenges for companies and processing plants investing in energy efficiency.

In conclusion, businesses that integrate sustainability into their industrial models will not only reduce costs but also gain an advantage in markets increasingly shaped by green criteria. Sustainability is no longer optional—it is the key to growth in a global economy demanding responsibility, innovation and long-term vision.

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Allarmante moria di vongole nel litorale emiliano-romagnolo

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Si moltiplicano le segnalazioni nell’Adriatico settentrionale: la moria delle vongole in Emilia-Romagna sta emergendo come un evento critico, con cali di resa e reti cariche di gusci vuoti. Le prime ricognizioni di bordo indicano un fenomeno concentrato in aree produttive chiave e in rapido peggioramento operativo per imprese e cooperative.

Coldiretti Pesca ha raccolto e rilanciato le preoccupazioni degli operatori, chiedendo misure di sostegno immediate e un’indagine tecnica coordinata. L’attenzione è rivolta alle cause prossime e alle concause di lungo periodo, per evitare letture monocausali e impostare risposte proporzionate al quadro reale.

Tra le ipotesi in valutazione figura l’ingresso massiccio di acqua dolce dai corsi fluviali dopo le recenti perturbazioni, con possibili effetti su salinità, ossigeno disciolto e assetti microbiologici degli habitat. In parallelo, l’elevata pressione del granchio blu rappresenta uno stress continuo su vongole e cozze, con impatti documentati anche su comprensori limitrofi e su produzioni di pregio. Per attribuire responsabilità causali servono campionamenti mirati, serie storiche ambientali e un confronto integrato tra istituti di ricerca e amministrazioni locali.

Il contesto, già fragile, amplifica gli effetti economici. La riduzione delle rese incide sulle uscite a mare e sulla sostenibilità di impianti e draghe idrauliche; nelle zone più colpite si registrano fermate tecniche e ricalendarizzazioni delle attività. L’onda d’urto tocca trasformazione e ristorazione costiera, con potenziali ripercussioni sul turismo di prossimità e sulla disponibilità di prodotto certificato.

Nel breve termine sono necessari sostegni selettivi, accesso alla liquidità e procedure snelle per eventuali fermi. In parallelo va attivato un piano di monitoraggio ad alta frequenza su salinità, temperatura, ossigeno, fitoplancton e patogeni, affiancato da protocolli per la gestione del granchio blu e per il ripristino degli habitat produttivi. Un sistema di allerta precoce, con comunicazioni tecniche chiare agli operatori, può ridurre l’incertezza e stabilizzare i flussi di fornitura.

In sintesi, la moria delle vongole in Emilia-Romagna è un indicatore di vulnerabilità sistemica. Una governance che unisca evidenze scientifiche, strumenti economici mirati e coordinamento di filiera è la condizione per riportare prevedibilità produttiva e tutela dell’occupazione.

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Seafood boil: trend globale, nuove sfide per la filiera italiana

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Il seafood boil in Italia non è più un’ipotesi isolata. Il format nato nel Sud degli Stati Uniti, simbolo della cucina Cajun e della convivialità di gruppo, sta trovando terreno fertile anche nel nostro Paese, sospinto da TikTok e Instagram che ne hanno amplificato l’appeal visivo.

La dinamica è nota: sacche colme di crostacei, molluschi, mais e patate vengono riversate in tavola o in ampie teglie, con guanti e utensili a supporto. È un rito collettivo, costruito sul gesto e sull’impatto scenografico tanto quanto sul sapore.

Le prime presenze italiane sono documentate con chiarezza. A Milano, Kusinela, ristorante filippino in zona Tolstoi, propone a menu — visibile su piattaforme ufficiali come TheFork — un “Seafood boil frutti di mare misti”, prova concreta e attuale della diffusione del format nel Paese.

Sempre a Milano, Crabland Seafood & Beer cavalca l’immaginario “American style”. Qui il boil non appare nei menu online, ma è mostrato con evidenza nei contenuti video più recenti su TikTok e Instagram, dove compaiono sacche e teglie con granchi, gamberi e mais serviti in stile statunitense.

A Prato, Okay Lab integra il seafood boil in una proposta gastronomica giovane e pop, raccontata soprattutto attraverso reel e contenuti generati dai clienti, che mostrano servizio con guanti, utensili e piatti da condividere. Anche in questo caso, la fonte è diretta: i social del locale confermano un’offerta pensata per viralità e convivialità.

Un fenomeno ancora di nicchia

La fotografia è chiara: il seafood boil in Italia esiste ma resta un fenomeno circoscritto, limitato a pochi indirizzi urbani e senza una catena specializzata a livello nazionale. La sua scoperta avviene più online che offline, con gli algoritmi social a fare da cassa di risonanza. Il piatto diventa spesso il “signature dish” di una carta etnica o fusion, piuttosto che il centro esclusivo di un modello di business.

Le sfide della filiera

Dietro la spettacolarità del servizio si nasconde un tema di sostanza: l’approvvigionamento. Specie come king crab, snow crab, astice, gamberi di grossa taglia e cefalopodi richiedono canali internazionali stabili, certificazioni e un controllo rigoroso della catena del freddo. La volatilità dei prezzi, soprattutto su mercati globali in tensione, obbliga a un’analisi puntuale del food cost e a una pianificazione attenta delle scorte.

Sul piano operativo, il format implica formazione di sala, standardizzazione delle salse e gestione ergonomica del servizio. È una cucina che vive di teatralità, ma la sostenibilità del modello dipende dalla capacità di trasformare il “caos organizzato” in efficienza e comfort per il cliente.

Prospettive per il mercato italiano

La traiettoria è in costruzione. In città con audience giovane e cosmopolita il seafood boil può crescere, soprattutto come proposta di gruppo ad alto impatto visivo. La sfida per gli operatori italiani sarà duplice: garantire filiera trasparente e approvvigionamenti sicuri, e al tempo stesso costruire un racconto gastronomico credibile che vada oltre il solo effetto social.

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Tonno bandito a scuola: sotto esame i limiti sul mercurio

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Sollecitata dalle analisi di BLOOM e Foodwatch, la questione del mercurio nel tonno in scatola entra con forza nell’agenda francese: otto città hanno annunciato il ritiro del tonno dai menù delle scuole come misura di precauzione per l’infanzia. Le amministrazioni hanno chiesto a governo e Parlamento di sostenere in sede nazionale ed europea un abbassamento dei limiti legali, allineandoli alle soglie più restrittive adottate per molte altre specie.

La mossa arriva dopo test indipendenti su 148 lattine acquistate in cinque Paesi europei. Mercurio è stato riscontrato in tutti i campioni, con oltre la metà delle lattine sopra 0,3 mg/kg e circa una su dieci oltre 1 mg/kg, il limite fissato per il tonno fresco. In un campione a marchio Petit Navire è stato misurato un valore record di 3,9 mg/kg, pari a circa tredici volte la soglia di 0,3 mg/kg applicata ad altre specie.

Il nodo è regolatorio. Il Regolamento (UE) 2023/915 fissa 0,3 mg/kg per molte specie di pesce e 0,5 mg/kg come valore generale per i prodotti ittici non specificati, ma mantiene 1,0 mg/kg per specie ad alto bioaccumulo, tra cui il tonno. Questo differenziale è al centro della contestazione avanzata dai comuni e dalle ONG.

C’è anche un aspetto tecnico da chiarire. La normativa definisce i tenori massimi sul prodotto a peso “fresco”, mentre la trasformazione in conserva concentra gli elementi presenti nel tessuto: il rapporto tra fresco e prodotto disidratato può far salire la concentrazione teorica in lattina fino a 2,7 mg/kg. È uno dei motivi per cui mercurio nel tonno in scatola torna oggetto di richiesta di armonizzazione fra fresco e trasformato.

Sul piano sanitario, l’EFSA ha fissato per il metilmercurio un TWI di 1,3 μg per kg di peso corporeo a settimana. Per un bambino di 30 kg significa 39 μg settimanali: una porzione di 60 g di tonno con 1 mg/kg apporta circa 60 μg, superando il TWI. Il rischio dipende dalle concentrazioni reali e dalla frequenza di consumo, ma l’esempio rende comprensibile l’approccio prudenziale adottato nelle mense
(European Food Safety Authority).

Il confronto resta aperto. Le autorità francesi hanno escluso falle nei controlli ufficiali e richiamato il rispetto dei limiti vigenti, mentre i comuni ribadiscono la priorità della tutela dei minori e chiedono di ridurre la soglia per il tonno a 0,3 mg/kg. In parallelo, le ONG sollecitano misure aggiuntive sulla filiera, dalla trasparenza nei test al ritiro dei prodotti oltre 0,3 mg/kg, fino a un’informazione più chiara al consumatore.

Per la ristorazione collettiva e la distribuzione, l’impatto è immediato su capitolati e assortimenti. Un’eventuale transizione verso specie con profili di contaminazione mediamente più bassi – come sardina, sgombro o merluzzo – consente di mantenere l’apporto proteico e di omega-3 riducendo l’esposizione nei gruppi vulnerabili, con un presidio rigoroso dei controlli di filiera e una comunicazione trasparente verso famiglie e stakeholder. In questo quadro, mercurio nel tonno in scatola diventa una leva strategica per riallineare standard, etichettatura e pratiche d’acquisto.

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