A Vigo tutto pronto per accogliere Aquafuture Spain 2025

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A Vigo tutto pronto per accogliere Aquafuture Spain 2025  – Vigo si prepara a diventare il cuore pulsante dell’acquacoltura globale con Aquafuture Spain 2025, la principale fiera internazionale del settore in Spagna, in programma dal 20 al 22 maggio presso il Centro Espositivo IFEVI. Un appuntamento che segna non solo una crescita esponenziale rispetto alle edizioni precedenti, ma anche il consolidamento di Vigo come punto di riferimento europeo per l’innovazione, la sostenibilità e la collaborazione nel comparto acquacoltura.

La presentazione ufficiale dell’evento, avvenuta lo scorso 22 aprile presso la sede di Afundación Abanca, ha evidenziato il forte supporto istituzionale e l’interesse sempre più marcato da parte degli operatori internazionali. Con 210 aziende provenienti da 26 Paesi – tra cui spicca la prima partecipazione di 12 aziende cinesi – Aquafuture Spain 2025 registra un incremento del 50% di espositori rispetto alla precedente edizione e si prepara ad accogliere oltre 8.000 visitatori, triplicando l’affluenza.

Il successo della scelta di un formato biennale e il trasferimento all’IFEVI nel 2023 hanno trasformato Aquafuture nella seconda fiera più grande d’Europa dedicata esclusivamente all’acquacoltura, rafforzando il ruolo strategico della Galizia come hub di sviluppo per il settore.

Focus su innovazione, sostenibilità e internazionalizzazione

Il programma tecnico di Aquafuture Spain 2025 si preannuncia ricco di contenuti di alto profilo. 40 relatori internazionali guideranno workshop e tavole rotonde su temi cruciali per il futuro dell’acquacoltura: dalla transizione sostenibile con l’applicazione della normativa CSRD, all’integrazione di tecnologia e intelligenza artificiale nei processi produttivi e di marketing, fino alle sfide della crescita globale sostenibile e della circolarità.

Non mancheranno approfondimenti su tendenze emergenti come le proteine alternative, l’espansione nei mercati esteri e la gestione responsabile delle risorse, con un focus particolare sulla fornitura sostenibile di semi di bivalvi in Galizia, in collaborazione con il programma ThinkInAzul Galicia Marine Sciences.

Vetrina internazionale per le eccellenze del settore

Accanto ai momenti di dibattito, l’evento offrirà due sale dedicate alla presentazione di nuovi progetti e tecnologie da parte di aziende, istituzioni e centri di ricerca di primo piano come Akva Group, Biomar, IRTA, CIIMAR, Grupo Eurored, Morenot e molti altri. Un’occasione unica per scoprire soluzioni innovative e stabilire connessioni strategiche con partner globali.

Grazie a un mix vincente di contenuti specialistici, networking e visibilità internazionale, Aquafuture Spain 2025 si conferma come appuntamento imperdibile per chi opera nell’acquacoltura e guarda al futuro del settore con una visione orientata alla sostenibilità, all’innovazione tecnologica e alla cooperazione globale.

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Our Ocean 2025: a Busan si discute di sostenibilità marina

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Our Ocean 2025: a Busan si discute di sostenibilità marina – Al via al BEXCO di Busan, nella Repubblica di Corea, la 10ª Conferenza Our Ocean – OOC – (28-30 aprile) appuntamento internazionale dedicato alla gestione sostenibile degli oceani e alla definizione di strategie condivise per la protezione degli ecosistemi marini. L’edizione 2025 si concentra sull’analisi dei risultati conseguiti nell’ultimo decennio e sull’identificazione delle priorità operative per il futuro.

Dal 2014, la piattaforma Our Ocean ha promosso oltre 2.600 iniziative, con impatti rilevanti in termini di istituzione di aree marine protette (AMP), contrasto alla pesca illegale, riduzione dell’inquinamento marino e sostegno alla ricerca scientifica applicata agli ecosistemi oceanici.

In occasione di questa edizione, il World Resources Institute (WRI) ha presentato la prima valutazione complessiva degli impegni assunti: dei 160 miliardi di dollari promessi attraverso le varie conferenze, circa 133 miliardi risultano già erogati o in fase di implementazione. I finanziamenti hanno riguardato prevalentemente la tutela della biodiversità marina, la lotta alla pesca INN (Illegale, Non dichiarata e Non regolamentata) e progetti legati alle soluzioni oceaniche per l’adattamento climatico e la riduzione delle emissioni.

Un focus rilevante è riservato al Trattato sull’alto mare, recentemente ratificato dalla Repubblica di Corea, che porta a 21 il numero di Stati aderenti. Il trattato necessita di ulteriori ratifiche per entrare in vigore, ma la conferenza di Busan rappresenta un momento di consolidamento politico e tecnico in vista della prossima Conferenza ONU sugli Oceani prevista a Nizza.

Dal punto di vista operativo, le discussioni si concentrano sull’efficacia delle aree marine protette, sull’implementazione di strumenti per il monitoraggio delle attività di pesca e sul rafforzamento delle misure contro le pratiche non sostenibili. Inoltre, viene evidenziato il fabbisogno di investimenti pari a circa 2.000 miliardi di dollari nei prossimi vent’anni per valorizzare il contributo delle soluzioni basate sull’oceano, in linea con gli obiettivi climatici al 2050.

Il settore della pesca e dell’acquacoltura è direttamente coinvolto in questo processo, con particolare attenzione alla tracciabilità, alla gestione delle risorse e alla prevenzione della sovrapesca. Le politiche discusse in ambito OOC influenzeranno la regolamentazione internazionale e i modelli produttivi futuri, con impatti sia sul piano ambientale che economico.

Tra le aree di intervento prioritarie figurano:

  • L’espansione e la gestione efficace delle AMP.
  • La riduzione delle attrezzature da pesca disperse in mare.
  • Il rafforzamento degli strumenti legali contro la pesca INN.
  • L’integrazione tra ricerca scientifica e applicazioni industriali per una governance più efficiente degli spazi marittimi.

Our Ocean 2025 si conferma quindi come una sede tecnica e politica per l’allineamento delle strategie globali, con l’obiettivo di garantire un equilibrio tra tutela ambientale e sviluppo sostenibile delle attività economiche legate al mare.

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Pesce per pet food: qualità e margini, un’opportunità per la filiera ittica

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Pesce per pet food: qualità e margini, un’opportunità per la filiera ittica – Nel dibattito comune si tende spesso a semplificare il concetto di sottoprodotto, associandolo erroneamente a materiale di scarsa qualità. In realtà, l’industria moderna del pet food, soprattutto nel segmento premium, si basa su una selezione rigorosa di materie prime, dove il pesce rappresenta un ingrediente strategico, apprezzato per le sue qualità nutrizionali e funzionali.

Il pesce destinato alla produzione di alimenti per animali domestici proviene principalmente da sottoprodotti di Categoria 3, come definiti dalla normativa europea. Si tratta di parti del pesce – teste, lische carnose, pelle, ritagli derivanti dalla filettatura – che non trovano impiego nel consumo umano per motivi commerciali o culturali, ma che restano perfettamente idonee sotto il profilo igienico-sanitario e altamente valorizzabili dal punto di vista nutrizionale.

Questo approccio consente alla filiera ittica di ottimizzare l’uso del pescato, integrando logiche di sostenibilità e efficienza produttiva. Non a caso, molte aziende specializzate nel pet food puntano su ingredienti marini per sviluppare formulazioni ipoallergeniche, ricche di omega-3, facilmente digeribili e in linea con le richieste di un consumatore sempre più attento alla salute dei propri animali domestici.

La crescente domanda di alimenti naturali e funzionali ha trasformato il settore in una leva economica rilevante per i produttori ittici. L’integrazione di linee produttive dedicate al pet food permette di generare valore da parti del pesce che, in passato, avrebbero avuto destinazioni meno remunerative. In questo contesto, il concetto di “sottoprodotto” si evolve: non più residuo da smaltire, ma materia prima secondaria di qualità, destinata a un mercato in piena espansione.

Il comparto globale del pet food supera ormai i 150 miliardi di dollari, con il segmento premium che registra tassi di crescita a doppia cifra. Aziende italiane come Mister Pet, Adragna, Eagle Pet Food e Naxos hanno già strutturato l’offerta inserendo pesce selezionato nelle loro linee, rispondendo alle esigenze di mercato con prodotti certificati e tracciabili.

In questo scenario, le certificazioni giocano un ruolo sempre più centrale. Oltre ai marchi noti come MSC per la pesca sostenibile e Friend of the Sea, anche l’ASC (Aquaculture Stewardship Council) ha esteso i propri standard al settore pet food. Questo garantisce che il pesce da acquacoltura utilizzato nelle formulazioni provenga da allevamenti gestiti in modo responsabile, rafforzando il posizionamento delle aziende che scelgono trasparenza e sostenibilità come elementi distintivi della propria offerta.

Per le aziende della filiera ittica, il segmento rappresenta una doppia opportunità: da un lato, ottimizzare la redditività attraverso l’uso intelligente delle risorse; dall’altro, accedere a un mercato meno volatile rispetto a quello del consumo umano, caratterizzato da continuità di domanda e maggiore predisposizione verso prodotti di fascia alta.

In conclusione, il pesce per animali domestici non è una destinazione secondaria, ma un settore che valorizza il lavoro della filiera attraverso una trasformazione consapevole e di qualità. Con le giuste strategie, le imprese ittiche possono consolidare una presenza stabile in un comparto in forte crescita, dove sostenibilità, innovazione e margini si incontrano.

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Canale di Sicilia, risorse ittiche al minimo: marinerie in stato di crisi

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Canale di Sicilia, risorse ittiche al minimo: marinerie in stato di crisi – La voce dei pescatori siciliani è diventata un grido che risuona tra i moli deserti e le reti vuote. A Lampedusa e Sciacca, due simboli della tradizione marinara del Mediterraneo, la pesca non è più garanzia di sostentamento. Nel Canale di Sicilia il pesce sta scomparendo e con esso il futuro di intere comunità che da generazioni vivono del mare.

Non si tratta di una crisi passeggera. I pescatori parlano chiaro: «Il pesce non c’è più». Non è solo un’impressione, ma la drammatica realtà confermata da settimane di uscite a vuoto, dove il carburante consumato vale più del pescato riportato a terra. Le cause sono molteplici e intrecciate in un quadro complesso. Il cambiamento climatico ha accelerato la tropicalizzazione del Mediterraneo, con temperature in costante aumento che alterano gli equilibri biologici e spingono molte specie a migrare verso acque più profonde o più fredde. A questo si aggiunge l’eredità di anni di sovrasfruttamento degli stock ittici e la persistente minaccia della pesca illegale nelle acque internazionali, dove controlli e regole sembrano non arrivare mai.

Totò Martello, presidente del Cogepa di Lampedusa, chiede con forza un fermo biologico lungo e retribuito, almeno sei mesi di pausa per consentire al mare di rigenerarsi. Una richiesta che si fa portavoce non solo delle marinerie pelagiche, ma di tutta la Sicilia e del Sud Italia. A Sciacca, la situazione non è diversa: le cooperative hanno proclamato lo stato di crisi e chiesto la dichiarazione di calamità naturale. Il gambero è sempre più raro, il pesce azzurro scompare, e la preoccupazione cresce ogni giorno che passa.

Questa crisi però non si misura soltanto in termini di mancate catture. È una crisi sociale, culturale ed economica. Le marinerie rischiano di svuotarsi, non solo di pesce, ma di uomini e donne che vivono di questo lavoro. Giovani che vedono svanire la prospettiva di continuare l’attività di famiglia, aziende dell’indotto che chiudono, economie locali che si impoveriscono.

Le soluzioni non possono più essere rinviate. Serve un intervento strutturale che unisca politiche di tutela ambientale a misure di sostegno concreto per i pescatori. Il fermo biologico deve essere parte di una strategia più ampia che comprenda il contrasto deciso alla pesca illegale, la cooperazione internazionale nel Mediterraneo e l’investimento in tecnologie per una pesca più selettiva e sostenibile. Allo stesso tempo, è necessario incentivare percorsi di diversificazione economica come l’ittiturismo o la trasformazione locale del pescato, per ridurre la dipendenza dallo sforzo di pesca diretto.

Il Canale di Sicilia, oggi, racconta una storia che non riguarda solo le marinerie di Lampedusa e Sciacca, ma tutto il Mediterraneo e l’idea stessa di sostenibilità nel settore ittico. Ignorare questo segnale significherebbe accettare che il mare diventi solo una distesa d’acqua senza vita. È il momento di ascoltare chi il mare lo conosce davvero e agire prima che sia troppo tardi.

Canale di Sicilia, risorse ittiche al minimo: marinerie in stato di crisi

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Pesca nordica e attrezzi sostenibili: il futuro è nella tracciabilità

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Pesca nordica e attrezzi sostenibili: il futuro è nella tracciabilità – Nelle acque fredde del Nord Europa, dove la pesca rappresenta da sempre una risorsa vitale, Groenlandia, Islanda, Isole Faroe e Norvegia stanno riscrivendo le regole della sostenibilità con un approccio innovativo alla gestione degli attrezzi da pesca a fine vita. Il recente rapporto pubblicato dal Consiglio dei ministri nordico fotografa un settore in evoluzione, dove l’economia circolare non è più un concetto astratto ma una necessità concreta per ridurre l’impatto ambientale e combattere la minaccia invisibile della pesca fantasma.

Le iniziative messe in campo raccontano di territori che, pur affrontando sfide logistiche e strutturali differenti, condividono l’obiettivo comune di trasformare un problema in opportunità. La Groenlandia, isolata geograficamente, ha saputo ottimizzare il trasporto degli attrezzi usati sfruttando i container vuoti, mentre Islanda e Isole Faroe hanno costruito reti locali per lo smantellamento, pur dovendo esportare i materiali da riciclare per mancanza di impianti adeguati. La Norvegia, invece, si conferma pioniera con l’obbligo di segnalazione delle apparecchiature perse e vere e proprie missioni di recupero che ogni anno riportano in superficie tonnellate di attrezzature abbandonate.

Tuttavia, il rapporto evidenzia una lacuna cruciale: l’assenza di un sistema completo di tracciabilità dall’acquisto allo smaltimento delle attrezzature. Senza questo collegamento continuo, prevenire lo smarrimento, incentivare il riciclo e ridurre i detriti marini rimane una corsa ad ostacoli. La soluzione passa attraverso tecnologie già disponibili, come la marcatura con QR code o tag RFID, che permetterebbero di identificare ogni singolo attrezzo, monitorarne il ciclo di vita e responsabilizzare i pescatori, creando un dialogo costante tra operatori e autorità.

Non si tratta solo di controllo, ma di costruire una cultura della sostenibilità che integri materiali alternativi, biodegradabili e facilmente smontabili, riducendo l’uso di componenti inquinanti come il dolly rope. Investire in impianti di riciclaggio locali e stabilire incentivi economici sono azioni indispensabili per rendere virtuoso un processo che oggi, per molti, è ancora un costo più che un’opportunità.

L’armonizzazione delle politiche tra i Paesi nordici potrebbe diventare il modello di riferimento globale per una gestione efficiente e sostenibile degli attrezzi da pesca. Un esempio concreto di come la cooperazione internazionale possa affrontare una delle problematiche più sottovalutate ma impattanti dell’industria ittica.

In un mondo sempre più attento alla salute degli oceani, la sfida lanciata dal Nord Europa non è solo tecnica, ma culturale ed economica.

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