Pesce allevato e antibiotici: tra realtà e falsi miti

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Il rapporto tra pesce allevato e antibiotici è spesso oggetto di dibattito, ma la realtà normativa e scientifica è molto diversa dalle percezioni comuni. Nell’Unione Europea, la legislazione vieta l’uso di antibiotici come promotori di crescita e proibisce trattamenti preventivi indiscriminati. I farmaci possono essere somministrati esclusivamente in presenza di una malattia diagnosticata e sotto la responsabilità del veterinario aziendale.

L’uso degli antibiotici avviene in maniera mirata, di solito tramite mangimi medicati, e sempre per un periodo limitato. Dopo ogni trattamento è obbligatorio rispettare i cosiddetti “tempi di sospensione”, ovvero l’intervallo minimo che deve trascorrere prima che i pesci possano essere commercializzati, così da garantire l’assenza di residui nei filetti destinati al consumo.

Valentina Tepedino, medico veterinario esperta in sicurezza alimentare, ricorda che non si tratta solo di un obbligo normativo ma anche di una questione economica: “Gli antibiotici hanno un costo elevato e un impiego complesso. Nessun produttore serio avrebbe convenienza a utilizzarli in maniera massiccia”.

A vigilare sulla sicurezza ci sono inoltre le autorità sanitarie competenti, che effettuano controlli regolari e analisi sui residui nei prodotti ittici. I rapporti EFSA confermano che la presenza di antibiotici nel pesce allevato europeo è estremamente rara e, quando rilevata, ben al di sotto dei limiti di legge.

L’acquacoltura oggi

Parallelamente, l’acquacoltura sta riducendo sempre più il ricorso ai farmaci grazie all’innovazione: lo sviluppo di vaccini specifici, la selezione genetica delle specie più resistenti, il miglioramento delle pratiche di allevamento e una gestione più attenta delle condizioni ambientali hanno portato a un calo significativo dei trattamenti antibiotici negli ultimi vent’anni.

Il risultato è un modello di produzione che non solo garantisce la sicurezza per i consumatori, ma rafforza anche la sostenibilità e la competitività delle imprese. Parlare di pesce allevato “pieno di antibiotici” significa ignorare l’evidenza scientifica e le trasformazioni reali di un settore sempre più orientato alla trasparenza e alla responsabilità.

Il tema del pesce allevato e antibiotici non può essere ridotto a stereotipi. Normative severe, controlli serrati e innovazioni tecnologiche hanno reso l’acquacoltura europea un sistema avanzato, dove il ricorso ai farmaci è minimo e sempre sotto stretto controllo veterinario.

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Unifrigo Gadus. Le donne? Il 40% dell’azienda. Quasi 1 su 2 è under 35.

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Competenze tecniche, qualità umane, relazioni tra persone: i tre pilastri del successo, anche economico, di Unifrigo Gadus, azienda di conserve ittiche fondata nel 1878 e oggi nel Registro delle Imprese Storiche Italiane. Tre pilastri che hanno portato l’azienda a raddoppiare il proprio fatturato in soli dieci anni raggiungendo quota 42 milioni di euro.

Partendo da questo presupposto è stato semplice approdare alla decisione di lavorare per conseguire la Certificazione di Parità di Genere UNI/PDR 125:2022, l’ennesimo mattone che si aggiunge all’edificio di sostenibilità condivisa già iniziato nel 2023 con Progetto25, la strategia triennale in partnership con l’Università Parthenope di Napoli.

“Siamo convinti che ogni persona, con la propria unicità, sia una risorsa preziosa” ha sottolineato l’Amministratore Delegato, Andrea Eminente, sesta generazione della famiglia che quasi 150 anni fa fondò l’azienda. “Per questo abbiamo scelto di costruire un’impresa dove il contributo delle donne è riconosciuto e valorizzato e dove un team giovane e motivato può crescere e fare la differenza. Siamo orgogliosi di avere una squadra dinamica che condivide i nostri valori di rispetto, collaborazione e responsabilità”.

Oggi, in azienda quasi il 40% del personale è donna, anche in ruoli di responsabilità importanti come l’ufficio produzione e qualità. Un segnale importante, soprattutto per la giovane età di molte delle collaboratrici: tra le donne presenti in azienda, circa il 45% è under 35, quasi una su due.

La decisione di Unifrigo Gadus di investire nel benessere delle persone, valorizzando la parità di genere assoluta, si inserisce in un percorso di sostenibilità ESG più ampio che nel 2025 porterà al primo Bilancio di Sostenibilità. “Ma soprattutto” sottolinea Eminente “è una scelta guidata da uno studio approfondito del mercato e dell’azienda: sono i numeri a sottolineare come il genere sia una variabile significativa che può influenzare positivamente la qualità dei processi aziendali e le performance complessive”.

Non una scelta casuale, dunque, ma guidata da una visione di futuro della filiera delle conserve ittiche, del mercato e soprattutto delle persone di riferimento i cui bisogni e desideri sono in continuo mutamento.

L’azienda di Eminente, infatti, non è nuova a questi investimenti strategici in innovazione e sostenibilità: solo per restare sul tema sociale e di rispetto verso le persone, Unifrigo Gadus già da tempo partecipa al programma di integrazione e inclusione di rifugiati politici provenienti, ad esempio, da Moldavia, Albania, Marocco e Ucraina. A questi soggetti, inseriti organicamente in azienda, è stata offerta formazione in lingua italiana e di professionalità spendibili sul mercato nazionale.

Dunque, di chi è il merito del successo di Unifrigo Gadus? “L’imprenditore, chi guida l’azienda, è certamente fondamentale. Ma non giriamoci intorno: da solo non può far niente. Quello a cui punto, personalmente, è la creazione di un ambiente produttivo in cui le persone siano felici di dare il meglio di sé. La crescita di quest’azienda è merito della lealtà che i miei collaboratori hanno per Unifrigo Gadus. Altrimenti, da solo, non sarei mai riuscito a raggiungere i risultati di cui oggi vado più orgoglioso”.

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Falcone porta in plenaria la risoluzione per il sostegno alla pesca e all’acquacoltura

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Il Parlamento europeo voterà in plenaria una risoluzione che mette al centro il sostegno alla pesca e all’acquacoltura, con misure concrete per imprese e comunità costiere. Il testo, promosso in Commissione Pesca dal gruppo Forza Italia-PPE su iniziativa dell’eurodeputato Marco Falcone, ha raccolto un ampio consenso trasversale, confermando la centralità del comparto nell’agenda europea.

Falcone ha sottolineato la specificità delle regioni insulari e periferiche dell’Unione, dove i costi di produzione e logistica sono più elevati e incidono direttamente sulla competitività delle imprese locali. Da qui la richiesta di linee di finanziamento più robuste e semplificate attraverso il FEAMPA, affinché le risorse europee possano davvero sostenere la vitalità economica e sociale dei territori marittimi.

Tra le priorità individuate emergono tre direttrici: il rinnovo della flotta, per garantire sicurezza e sostenibilità; ristori adeguati per i maggiori costi energetici, che pesano in maniera crescente sui margini; e il ricambio generazionale, indispensabile per preservare competenze e know-how in un settore ad alto rischio di abbandono da parte delle nuove generazioni.

La risoluzione pone inoltre attenzione alla lotta contro la pesca illegale e alla diffusione di specie invasive nel Mediterraneo, fenomeni che minacciano la redditività delle marinerie locali e la stabilità degli ecosistemi. Per affrontare tali sfide, secondo Falcone, serve un quadro normativo chiaro e strumenti più efficaci, senza caricare le imprese di burocrazia eccessiva.

Il messaggio politico è inequivocabile: il sostegno alla pesca e all’acquacoltura non deve rimanere una dichiarazione di principio, ma tradursi in misure concrete e finanziamenti adeguati. La plenaria sarà il banco di prova per capire se l’Unione sarà in grado di dare risposte tempestive a un comparto che rappresenta economia, cultura e presidio territoriale per l’intero Mediterraneo.

L’iniziativa di Marco Falcone si inserisce in un momento cruciale per il futuro della filiera. Garantire sostegno alla pesca e all’acquacoltura significa preservare imprese, comunità e tradizioni, ma anche rilanciare la competitività in un contesto globale sempre più complesso.

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Anchovy of Sciacca: tradition, crisis and global market resilience

Anchovy of Sciacca: tradition, crisis and global market resilience

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What was once a sea of abundance is now a horizon of uncertainty. The anchovy of Sciacca, a cultural and economic symbol of the Sicilian town, is living a delicate phase marked by climate change, unsustainable costs and a shrinking fleet.

In the past, up to 40% of Mediterranean anchovies came from these waters. Today, the local share has dropped to just 10–15%, while most of the fish now arrives from Tunisia, Croatia and Albania. Sciacca’s fleet has been reduced to about ten lampara boats, compared to forty fifty years ago—a sign of a struggling fishing tradition.

Climate plays a decisive role. With an average increase of two degrees in sea temperature, bluefish move towards cooler areas, reducing local availability. To this, one must add EU regulations, rising fuel costs, and the lack of generational turnover among fishermen.

But the story doesn’t end there. The anchovy of Sciacca continues to create value through the canning industry. Several companies carry forward a centuries-old expertise of salting, fillets in oil and fish sauces, generating significant revenue. Processing is long and complex: one kilo of fresh anchovies, purchased at about three euros, can be worth ten times more after months of manual maturation.

The international market is the true driver of this resilience. From Japan to the United States, and throughout European gourmet chains and restaurants, demand is rising. Exports sustain a sector that might otherwise disappear, turning the anchovy into a global ambassador of Sicily.

The contradiction remains: a supply chain successful abroad while local fishing declines. The future of the anchovy of Sciacca will depend on balancing sustainability, research and innovation, without losing the tradition that made it famous.

Sciacca thus sees the decline of its fishing fleet contrasted by the vitality of its canning industry and the growth of exports. The anchovy remains a living heritage, but a strategy is needed to ensure that the Sicilian sea does not lose one of its symbols.

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Economia circolare: le imprese italiane accelerano sulla sostenibilità

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Negli ultimi anni la sostenibilità è passata da slogan a strategia industriale. Oggi l’economia circolare nelle imprese italiane non è più una prospettiva di lungo periodo, ma una realtà in accelerazione che ridefinisce processi produttivi, accesso al credito e competitività sui mercati. A confermarlo è l’ultima edizione dell’Osservatorio Clean Technology 2025, che fotografa un Paese in cui la transizione ecologica si consolida nonostante tensioni geopolitiche e instabilità macroeconomiche.

Il dato più evidente è l’aumento degli investimenti: il 72% delle imprese italiane ha destinato risorse a progetti di sostenibilità, con un salto significativo sull’economia circolare, passata dal 16% del 2023 al 27% nel 2025. Riciclo degli scarti, utilizzo di materiali rigenerati ed efficienza energetica non sono più sperimentazioni isolate, ma elementi strutturali nelle scelte aziendali.

Questa trasformazione porta benefici concreti. Il 70% delle imprese dichiara di aver ottenuto risparmi sui costi, mentre oltre un terzo ha già migliorato redditività e condizioni di accesso al credito. I vantaggi non si fermano alla dimensione economica: sei aziende su dieci segnalano un impatto positivo anche sulla propria immagine, a conferma di quanto la sostenibilità incida sul posizionamento competitivo.

L’innovazione resta la leva principale di questa transizione. Il 72% delle imprese considera i criteri ESG un fattore strategico e riconosce nell’economia circolare un acceleratore per rinnovare i processi. Non mancano tuttavia ostacoli: costi elevati, carenza di incentivi e complessità normativa frenano una parte del sistema produttivo, soprattutto tra le PMI prive di piani industriali strutturati.

Il PNRR rappresenta un’opportunità ancora parzialmente inespressa. Più della metà delle imprese lo vede come strumento utile, ma solo il 4% è riuscito a intercettare finanziamenti effettivi, segno che il gap burocratico rimane un nodo da sciogliere.

Il quadro complessivo è chiaro: l’economia circolare nelle imprese italiane è destinata a rafforzarsi, non solo come risposta a pressioni normative e ambientali, ma come motore di competitività. A condizione, però, che la transizione venga sostenuta da politiche mirate, semplificazione nell’accesso agli incentivi e un rafforzamento delle competenze tecniche.

Per chi opera nella filiera ittica, queste dinamiche assumono un significato specifico: gestione avanzata degli scarti di lavorazione, packaging riciclabile e ottimizzazione energetica delle catene del freddo diventano leve concrete di competitività e innovazione. Temi che rappresentano una frontiera decisiva per le aziende del comparto e per gli stabilimenti che investono in efficienza energetica.

In sintesi, le aziende che sapranno integrare la sostenibilità nei propri modelli industriali non solo ridurranno i costi, ma si troveranno in vantaggio nell’affrontare mercati sempre più orientati a criteri green. La partita è aperta e l’Italia dispone già di un tessuto imprenditoriale capace di fare la differenza.

La sostenibilità non è più una scelta opzionale: è la chiave per crescere in un’economia globale che chiede responsabilità, innovazione e visione di lungo periodo.

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