Arabia Saudita. Ittico in crescita tra Vision 2030 e hi-tech

Arabia Saudita. Ittico in crescita tra Vision 2030 e hi-tech

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Il mercato ittico dell’Arabia Saudita ha raggiunto i 3,3 miliardi di dollari nel 2024 e, secondo le stime, arriverà a 4,3 miliardi entro il 2033, con una crescita media annua del 2,5% tra il 2025 e il 2033.

La traiettoria di sviluppo è parte integrante di Vision 2030, il piano strategico nazionale lanciato nel 2016 dal principe ereditario Mohammed bin Salman. L’obiettivo è ridurre la dipendenza dal petrolio e rafforzare settori alternativi come turismo, energie rinnovabili e filiere alimentari. Nel comparto ittico la Vision ha fissato un traguardo chiaro: raggiungere 600.000 tonnellate annue di produzione acquicola entro il 2030, rispetto a una capacità che nel 2018 era di appena 80.000 tonnellate.

L’acquacoltura rappresenta il motore della crescita. Nel 2024 la produzione ha superato le 450.000 tonnellate e la proiezione al 2033 è di oltre 800.000 tonnellate. Per sostenere questo salto, il governo saudita ha avviato un piano di investimenti da 4,7 miliardi di dollari, che include hatchery hi-tech, sistemi RAS, gabbie offshore e certificazioni di qualità come il marchio nazionale SAMAQ.

Parallelamente, la domanda interna evolve. I consumatori sauditi chiedono proteine più salutari, ricche di omega-3, e formati pratici per il consumo domestico. La distribuzione moderna – dai banchi frozen e chilled dei supermercati all’e-grocery – sta accelerando l’accesso a prodotti pronti e confezionati in modo innovativo. La sostenibilità, confermata come priorità anche a livello globale, spinge l’adozione di pratiche efficienti e tracciabili lungo tutta la filiera.

Per l’Italia si aprono prospettive concrete. Il know-how nazionale in hatchery, automazione, packaging sostenibile e trasformazione a valore aggiunto è in linea con le priorità saudite. Non si tratta soltanto di esportare prodotti, ma di proporre partnership industriali e tecnologiche in grado di contribuire alla competitività del settore locale.

Il mercato ittico dell’Arabia Saudita cresce con una traiettoria ordinata ma ambiziosa. Vision 2030 e tecnologia stanno ridisegnando la filiera, offrendo all’Italia la possibilità di inserirsi come partner industriale e innovativo.

Foto: National Aquaculture Group (NAQUA)

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Andalusia, coste fragili davanti al cambiamento climatico

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La crescente erosione costiera in Andalusia è oggi al centro di uno dei progetti più avanzati del Mediterraneo: ICCOAST. Lo studio, ancora in fase di validazione, adotta un approccio probabilistico per valutare inondazioni ed erosione lungo circa 1.000 chilometri di costa, con scenari previsionali che arrivano fino al 2100.

Basandosi sui dati del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC), ICCOAST elabora modelli capaci di rappresentare l’evoluzione della linea di costa in funzione dell’innalzamento del livello del mare. I ricercatori hanno così generato proiezioni che consentono di anticipare i rischi più rilevanti per i litorali andalusi, con particolare attenzione ai fenomeni di regressione delle spiagge.

I risultati sono chiari: entro il 2050 la perdita di spiaggia asciutta potrebbe oscillare tra 5 e 25 metri, con il rischio di scomparsa di oltre 30 arenili, soprattutto lungo la Costa del Sol e la costa occidentale di Cadice. Una prospettiva che solleva interrogativi cruciali non solo dal punto di vista ambientale, ma anche economico e sociale, vista la centralità delle spiagge andaluse per turismo, infrastrutture e attività legate al mare.

Lo studio fornisce inoltre strumenti tecnici a supporto della pianificazione costiera. Attraverso visualizzazioni digitali e layer georeferenziati, ICCOAST rende disponibili informazioni che possono essere integrate nei processi decisionali per la gestione del demanio pubblico costiero.

Ma il messaggio che arriva dall’Andalusia ha un respiro più ampio: nessuna costa mediterranea è davvero al riparo dal cambiamento climatico.  In Italia, secondo ISPRA, 54 comuni costieri su 644 hanno registrato un arretramento superiore al 50 % dell’intero tratto costiero di competenza. Un dato che conferma la natura sistemica di questa sfida, destinata a ridisegnare paesaggi e strategie di sviluppo in tutto il bacino.

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In Giappone il riccio di mare diventa lusso proibitivo

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Durante l’estate in corso i ricci di mare in Giappone sono diventati il simbolo di un settore ittico sotto pressione. Il crollo delle catture nell’Hokkaido, aggravato dal riscaldamento delle acque, ha fatto schizzare i prezzi al dettaglio a livelli senza precedenti.

Sull’isola di Rishiri, famosa per l’uni donburi – ciotola di riso con ricci bafun – i ristoranti offrono 100 grammi di prodotto a 15.000-18.000 yen (92-110 euro), circa il doppio rispetto a pochi anni fa. Secondo la Rishiri Fisheries Cooperative la causa è il dimezzamento delle catture rispetto al 2024.

Il fenomeno si inserisce in un quadro economico già critico. A livello nazionale, la spesa media delle famiglie giapponesi per il cibo ha raggiunto il 30% del budget, il livello più alto degli ultimi 43 anni. La debolezza dello yen ha gonfiato i costi delle importazioni, mentre l’aumento delle temperature marine mette a rischio le specie d’acqua fredda.

Gli scienziati segnalano un incremento medio di 5 °C nelle acque giapponesi negli ultimi anni, con conseguenze dirette: calo drastico di salmoni, calamari e luccioperca, il cui prezzo al chilo è quasi quintuplicato in due decenni. La regione di Tohoku, un tempo centrale per la produzione di salmone, ha perso il suo ruolo a causa dello spostamento verso nord della corrente calda.

Gli effetti sono tangibili anche sull’inflazione. Nel luglio 2025 i prezzi alimentari in Giappone sono saliti del 7,6% su base annua, accelerando rispetto al 7,2% di giugno. I prodotti ittici, sebbene rappresentino meno del 10% del paniere, contribuiscono alla pressione sui consumatori.

Le autorità di Tokyo guardano con preoccupazione a un fenomeno che non è più congiunturale. La Banca del Giappone ha riconosciuto che i prezzi dei prodotti freschi, inclusi pesce e frutti di mare, crescono più velocemente del resto dei beni alimentari, con impatti negativi soprattutto per le famiglie a reddito fisso.

In prospettiva, il governo punta ad aumentare il tasso di autosufficienza alimentare al 69% entro il 2030, rispetto all’attuale 60. Un obiettivo ambizioso, che rischia di scontrarsi con le nuove variabili climatiche. Regolamentazioni più stringenti sui tempi e sulle quantità di pesca potrebbero diventare inevitabili.

Risulta quindi chiaro come inflazione e cambiamento climatico possano convergere nel rendere inaccessibili anche i beni di lusso tradizionali. Per la filiera ittica globale, è un segnale d’allarme: la sostenibilità delle risorse marine e la resilienza economica dei consumatori non sono più temi separati.

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EUMOFA: acciuga conservata, specchio della filiera mediterranea

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La recente analisi EUMOFA sull’acciuga conservata offre una fotografia nitida di come la tradizione continui a influenzare la filiera ittica europea. Il confronto tra Italia, Spagna e Croazia mostra percorsi differenti, ma uniti dalla stessa esigenza: trasformare un prodotto povero del Mediterraneo in risorsa economica e identitaria.

Italia: l’artigianalità come segno distintivo

Nel contesto italiano, l’acciuga conservata mantiene un legame profondo con la manualità. Salatura, maturazione e filettatura manuale sono pratiche ancora centrali, capaci di garantire una percezione di autenticità che il mercato premia. Anche l’evoluzione dei contenitori, dal legno e dalla terracotta fino al vetro e alla latta, riflette un equilibrio tra innovazione e continuità. Per le imprese italiane, l’acciuga conservata è più di un prodotto: è un marchio culturale che rafforza il posizionamento della pesca mediterranea.

Spagna: tradizione e industria in sinergia

La Spagna ha costruito un modello diverso, in cui la tradizione artigianale convive con una filiera industriale di grande scala. La salatura e la filettatura manuale restano punti di partenza, ma sono inserite in un processo produttivo capace di sostenere mercati esteri e distribuzione globale. È un approccio che dimostra come la valorizzazione culturale possa integrarsi con la logica industriale, generando competitività internazionale senza disperdere le radici gastronomiche.

Croazia: identità adriatica e resilienza

In Croazia, l’acciuga conservata è legata soprattutto all’Adriatico e alle necessità storiche di sussistenza delle comunità costiere. La salatura e la stagionatura nascono come risposta alla scarsità di risorse, ma nel tempo si sono trasformate in tratti distintivi di un’identità nazionale. Oggi queste pratiche rappresentano un capitale culturale che, pur in un contesto produttivo più ridotto rispetto a Italia e Spagna, contribuisce a differenziare l’offerta nel mercato europeo.

Un filo rosso europeo

Dal confronto emerge un punto chiave: l’acciuga conservata non è solo un prodotto alimentare, ma un veicolo di memoria collettiva e un fattore strategico per la filiera. In Italia l’accento è sulla manualità, in Spagna sull’integrazione industriale, in Croazia sulla resilienza culturale. Tre modelli diversi che, letti insieme, raccontano come il Mediterraneo riesca a unire pratiche locali e prospettive comunitarie.

Per EUMOFA, l’interesse va oltre la tradizione. Analizzare prodotti come l’acciuga conservata significa comprendere come la filiera possa coniugare identità, competitività e innovazione. Nel contesto europeo, dove la domanda di tracciabilità e autenticità cresce, queste specificità diventano leve strategiche per rafforzare il valore dei prodotti ittici mediterranei.

Lo studio EUMOFA dimostra che l’acciuga conservata è un caso emblematico di come la filiera mediterranea sappia tenere insieme memoria culturale e capacità di mercato. Italia, Spagna e Croazia offrono modelli diversi, ma complementari, che evidenziano le potenzialità di una strategia europea basata sulla valorizzazione delle identità locali.

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Mediterranean Red Mullet: a humble fish that tells the story of the sea

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It is one of the rare species that manages to be both a popular staple and a refined ingredient for haute cuisine. For centuries, red mullet has appeared in coastal markets, fried in taverns or elevated in fine dining dishes. Its reputation does not depend on size or high commercial value compared to more prized species, but on the perfect mix of delicate flesh, quick cooking, and unmistakable flavor. It is one of those products that carry the taste of the sea even to those who only know it from the plate.

Nutritional values: light yet substantial

From a nutritional standpoint, red mullet belongs to the category of lean fish, with about 123 kcal per 100 g (raw) and a high protein content. It is a good source of phosphorus, selenium, zinc, and vitamin B12. While it is not marketed as a trendy “superfood,” red mullet is a balanced raw material, perfectly suited to the Mediterranean diet as well as modern menus.

Two species, two stories

The most common species are Mullus barbatus, known as the “striped red mullet” or “surmullet,” and Mullus surmuletus, called the “rock red mullet.” The first inhabits sandy and muddy bottoms, often beyond 200 meters depth; the second prefers mixed or rocky seabeds closer to the coast and is recognizable by its yellow stripes along the flanks. At the table, differences are subtle, but markets often value the “rock mullet” more, thanks to its stronger aroma and evocative name.

From frying to fish stew: culinary versatility

The unifying feature of red mullet recipes is speed. This fish does not tolerate long cooking or complex preparations. Fried whole, oven-baked with breadcrumbs and herbs, or simmered in tomato and caper stew, it always preserves its bold character. Across Italy, it plays a central role in traditional recipes: Tuscan cacciucco, Sicilian zuppa di pesce alla trapanese, and mixed Adriatic fry-ups. Chefs choose it not for luxury, but for authentic Mediterranean flavor.

Anatomy and feeding behavior

Red mullet has a slim body, reddish-pink color, pale belly, and two barbels under the chin. These sensory barbels make it unique: the fish uses them to probe the seabed, detecting textures and movements invisible to the human eye, feeding on crustaceans, marine worms, and small mollusks. This benthic diet directly explains the intensity of its flavor.

Distribution and ecological role

Red mullet is found throughout the Mediterranean and the eastern Atlantic. Mullus barbatus lives down to 300 meters, while Mullus surmuletus stays closer to the coast. Both play an essential ecological role: by stirring sediment, they recycle nutrients and also serve as prey for larger predatory fish. In short, they are key players in the ecological balance linking seabed, coastal areas, and the marine food chain.

Reproduction and fishing rules

Red mullet’s reproductive cycle occurs between spring and summer, with peaks between May and July for M. surmuletus. Eggs and larvae are pelagic, carried by marine currents. In commercial fishing, the key rule is the minimum conservation size: 11 cm total length in the Mediterranean, as set by Regulation (EC) 1967/2006. Far from being a bureaucratic detail, this rule ensures juveniles are not harvested too early, protecting both the resource and the reputation of the supply chain.

More than an ingredient: a piece of Mediterranean culture

The Mediterranean red mullet is more than just a fish. It is part of cultural identity, an ecological actor, and a symbol of popular cuisine that has stood the test of time. Knowing its biology, nutritional values, and fishing regulations allows us to truly appreciate it — turning a “humble” fish into a story of sea, cuisine, and sustainability.

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