Riflessioni sullo stato attuale della pesca. Pt 2 – Dopo l’approfondimento di ieri, oggi, con l’intervista a Francesca Biondo, direttore di Federpesca, apriamo la seconda parte del nostro scandagliamento con il quale ci proponiamo di tracciare un quadro esaustivo dello stato attuale del settore della pesca in Italia.

In un contesto caratterizzato dall’emanazione di nuove normative, sfide inedite sul fronte del mercato e crescenti preoccupazioni legate al cambiamento climatico, ci siamo posti l’obiettivo di analizzare attentamente le dinamiche che hanno plasmato questo periodo cruciale. Con il contributo delle più rappresentatite associazioni nazionali del settore pesca, intendiamo fornire una comprensione approfondita di come tali fattori abbiano contribuito a modellare il panorama della pesca a livello nazionale.

Quali sono le sfide più significative che l’industria della pesca ha affrontato durante il 2023?

Negli ultimi anni, il settore ittico italiano ha dovuto affrontare sfide senza precedenti. La pandemia di Covid-19 prima e la crisi energetica causata dall’aggressione militare russa in Ucraina dopo, hanno pesantemente colpito le imprese di pesca nazionali, ponendo un’ulteriore sfida alla conduzione dell’attività ittica. I nostri pescatori hanno dovuto reagire riducendo i giorni trascorsi in mare o interrompendo l’attività, con gravi conseguenze sociali ed economiche per le proprie famiglie, imprese e per tutta la filiera ittica italiana. Nel corso del 2023, purtroppo, la situazione non è migliorata nonostante una lieve riduzione dei costi energetici rispetto all’anno precedente.

Il settore sta dunque vivendo una fortissima crisi, la quale sta piegando l’attività di intere marinerie, con pesanti ripercussioni sulla capacità produttiva, sulla sostenibilità aziendale delle imprese e sulla capacità delle stesse di garantire l’approvvigionamento di prodotto per i mercati italiani. Diventa quindi di emergenza assoluta sostenere il settore nel riorientamento commerciale e – a monte – nella rimodulazione della produzione in mare rispetto al mutato quadro di riferimento. È questa la sfida del momento, è questo il ruolo che le associazioni e le istituzioni possono e devono assolvere per assicurare la “continuità aziendale” che consenta alle imprese di restare sul mercato e sopravvivere alle difficoltà odierne.

Nella dimensione che è maggiormente chiamata a garantire reddito alle imprese ed al lavoro, ad uniformarsi al sistema di regole per la sostenibilità dell’ambiente marino e degli stock ittici, ad approvvigionare i mercati con prodotti di elevata qualità nell’interesse dei consumatori italiani ed a sostegno dell’enogastronomia turistica, la perdita di competitività non è ulteriormente protraibile e deve essere fermata da un’azione di Governo forte e responsabile e con politiche industriali adeguate a sostenere questo settore.

Le proposte di Federpesca per una gestione strategica della pesca sono volte a superare la fase di emergenza e dare un nuovo slancio al settore ittico italiano e intendono confermare la necessità di predisporre una strategia nazionale dell’economia del mare che valorizzi il ruolo delle imprese di pesca e di tutta la filiera ittica nell’economia nazionale, che definisca la strada da intraprendere per garantire che il settore della pesca possa avere un futuro sostenibile, dal punto di vista economico, sociale e ambientale.

Come valutate l’impatto delle normative che regolano il settore pesca sull’intero sistema produttivo?

Sotto il profilo giuridico-legale, la flotta peschereccia di dimensioni maggiori opera in buona parte al di fuori delle acque territoriali nazionali, in un regime di mare libero, esposto al prelievo concorrente da parte di altre flotte (UE ed extra-UE). Le relazioni con le istituzioni comunitarie e con gli organismi internazionali non hanno prodotto, salvo poche eccezioni, un regime ordinato di pesca e commercializzazione a tutela dell’ambiente marino e degli stock ittici innanzitutto, ma anche degli interessi nazionali e imprenditoriali. Sino alla definizione di misure gestionali condivise tra tutti i Paesi che hanno accesso agli stessi stock ittici, la regolazione unilaterale dello sforzo di pesca in capo alla flotta peschereccia italiana si traduce in un danno enorme, per effetto dell’altrui dumping ambientale, sociale ed economico.

In secondo luogo, le misure gestionali europee introdotte con cadenza ravvicinata ed in assenza di una visione di lungo periodo, non garantiscono stabilità e sono state adottate su risultanze scientifiche superate e dati statistici di settore non aggiornati, con scarsa attitudine al coinvolgimento attivo delle categorie economiche e sociali e delle loro rappresentanze. Negli ultimi tre anni la riduzione del numero autorizzato di giornate di pesca, che interagisce con la rigidità del calendario e le condizioni meteomarine, ha determinato una pericolosa contrazione dei margini di redditività, ad un livello ormai prossimo al limite della sostenibilità economica e sociale delle imprese. Secondo Federpesca, è necessario cambiare prospettiva assegnando un congruo numero di giornate di pesca (plafond di giornate) ad ogni impresa. In questo modo le imprese sarebbero messe in condizione di poter di poter scegliere il calendario delle attività, in coerenza con le dinamiche dei processi di smercio, individualmente, come anche nell’ambito di piani di gestione locale condivisi fra produttori, senza altri vincoli, se non quelli dettati dalle opportunità commerciali e di mercato. Restituire all’imprenditore la possibilità di gestire la sua attività, pur in un limite quantitativo predeterminato nel rispetto delle risorse biologiche, senza improduttive rigidità gestionali, potrà rivelarsi la vera innovazione di cui il settore ha bisogno, capace, se ben realizzata, di ridare fiducia e dignità a questo comparto e provare a modificare un destino di marginalizzazione, a cui le imprese unitamente a quanti vi lavorano, sembrano inesorabilmente e incolpevolmente segnati.

In che modo state promuovendo pratiche sostenibili nel settore della pesca?

In questi ultimi anni, il settore della pesca italiano ed europeo –perché purtroppo nel resto del mondo non funziona allo stesso modo–, ha fatto dei passi da gigante rispetto alla tutela del mare, della biodiversità, del rispetto del ripopolamento delle risorse biologiche.
Le imprese di pesca associate operano nel rispetto delle normative sulle possibilità di pesca, della sicurezza e del Contratto collettivo nazionale, assicurando una sostenibilità sia tipo ambientale che sociale.
In molte marinerie italiane Federpesca ha promosso progetti di raccolta dei rifiuti dal mare realizzando protocolli d’intesa con le amministrazioni locali e isole ecologiche in cui conferire correttamente i rifiuti, con l’obiettivo di contribuire alla pulizia dei mari senza sovraccaricare di oneri e costi le imprese di pesca.
Federpesca partecipa ad alcuni progetti LIFE con l’obiettivo di sensibilizzare gli operatori al rispetto di pratiche sostenibili in materia di selettività degli attrezzi e tutela della biodiversità.
Inoltre quest’anno Federpesca ha sottoscritto un memorandum of understanding con il Marine Stewardship Council al fine di avvicinare le imprese associate alle migliori pratiche di sostenibilità per avviare un percorso volto alla certificazione delle attività.
Infine, nell’anno 2023 Federpesca ha promosso anche una campagna social (in particolare su Facebook) proprio per trasmettere il proprio l’impegno in questa direzione, che diventa base di ogni iniziativa, attività e obiettivi. Di fatti, tutti i convegni, workshop e incontri di alto livello del 2023, sono stati organizzati da Federpesca sotto il nome “Pesca Futuro”. Un futuro sostenibile del settore nel quale Federpesca crede e per il quale vuole impegnarsi perché le imprese ittiche e le loro famiglie possano averlo.

Quali opportunità vedete per la crescita e lo sviluppo del settore?

Federpesca considera la transizione energetica, digitale ed ecologica come un’opportunità di crescita e di sviluppo per il settore. Un cambiamento necessario per garantire un futuro al settore ittico, che necessita però di essere accompagnato da strumenti di politica industriale e creditizia per mettere le imprese in condizione di poter investire.
Dobbiamo uscire dall’assioma della Commissione Europea per cui, ad esempio, un ammodernamento della flotta corrisponde necessariamente ad un aumento dello sforzo di pesca. Competitività e sostenibilità non sono concetti in contraddizione. Solo partendo da questa rinnovata consapevolezza si potrà garantire un futuro al settore in termini di ammodernamento, digitalizzazione, decarbonizzazione e ricambio generazionale.
Inoltre, per rafforzare il settore, è fondamentale aiutare le imprese a competere sulla qualità e non sulla quantità, attraverso investimenti nella prima trasformazione e nella valorizzazione e tracciabilità dei prodotti.

Come affrontate i problemi ambientali e la pressione per ridurre l’impatto ecologico delle attività di pesca?

Da tempo Federpesca è impegnata nel contrasto ai rifiuti marini. Federpesca ha difatti preso parte a progetti che prevendono il recupero, lo stoccaggio e la trasformazione di rifiuti marini accidentalmente pescati.
Grazie all’adozione della Legge Salva Mare nel giugno 2022, questi progetti possono avere un impatto reale e incoraggiare i pescatori a tenere a bordo i rifiuti marini accidentalmente catturati durante la loro attività in mare. Federpesca ha fortemente incoraggiato l’adozione di questa legge e costantemente monitorato i lavori.

Inoltre, come accennato sopra, per ridurre l’impatto di Co2 è fondamentale incentivare un ammodernamento della flotta (e non solo dei motori) che, tuttavia, il Feampa non prevede.
Parliamo di transizione ecologica ma gli unici incentivi ai giovani pescatori sono riferiti all’acquisto di imbarcazioni usate, spesso con più di 30 anni. Vi sembra coerente? A noi, no.

In che modo state collaborando con le istituzioni governative per influenzare le politiche che riguardano il settore?

Federpesca è in costante contatto con la Direzione Generale della Pesca con cui c’è un confronto quotidiano e costruttivo, nell’interesse di migliorare le condizioni in cui operano i pescatori italiani e sostenere l’intero comparto produttivo nell’interesse del Paese.
Il Ministro Lollobrigida è molto attento a questo settore e in ascolto rispetto alle problematiche e alle soluzioni proposte dal sistema associativo.
Allo stesso tempo, Federpesca viene spesso invitata a presentare le proprie proposte e osservazione sia alla Camera che al Senato.

Quali iniziative avete messo in campo o metterete in campo per migliorare la qualità e la sicurezza dei prodotti ittici offerti sul mercato?

Siamo convinti che la sfida della sovranità alimentare debba partire innanzitutto dal rendere la filiera ittica più competitiva, a partire dalla prima fase di produzione, dalle imprese della pesca. La pesca rappresenta in questo senso una sfida e un’opportunità per il Paese, essendo un settore agroalimentare che può garantire sicurezza alimentare e un approvvigionamento alimentare equo, salutare, sostenibile e resiliente, di prodotti freschi e locali. Ed è per questo che le nostre imprese si sentono orgogliose e protagoniste di questa sfida, impegnandosi per garantire sicurezza, qualità, sostenibilità, dignità del lavoro, approvvigionamento alimentare equo, salutare, sostenibile. Tutte caratteristiche distintive del settore della pesca italiano, anche e soprattutto nel confronto con prodotti di importazione che hanno metodi di produzione, sicurezza alimentare e del lavoro, tutele, tracciabilità molto diverse dalle nostre e che noi dobbiamo difendere. Per sostenere le nostre imprese è quindi fondamentale valorizzare queste caratteristiche e non lasciarle sole nel mare magnum di un mercato globalizzato e troppo spesso spregiudicato.
Per questo Federpesca, ha portato avanti azioni volte promuovere la qualità dei prodotti italiani del Mediterraneo, soprattutto attraverso attività di comunicazione. Tra queste, di rilievo è stato il programma su RAI 1 “Linea Blu Discovery”, visto da oltre 1, 5 milioni di persone, il cui obiettivo è stato anche quello di far conoscere al grande pubblico televisivo il lavoro svolto dai pescatori che si impegnano ad offrire ogni giorno i migliori prodotti con passione, dedizione e sacrificio.

Come state incoraggiando l’innovazione nel settore, sia dal punto di vista tecnologico che delle pratiche commerciali?

L’attuale congiuntura economica ed energetica pone con forza l’attenzione verso la necessità di un rinnovo complessivo della flotta peschereccia italiana, al fine di renderla più resiliente, competitiva e sostenibile, riducendo il fabbisogno di gasolio, introducendo motori meno energivori e, contribuendo a raggiungere gli obiettivi legati alla transizione verde e all’Agenda 2030. Azioni volte a finanziare investimenti di ammodernamento e sostituzioni delle imbarcazioni in un’ottica di maggiore sostenibilità e innovazione potrebbero invece garantire un miglioramento della competitività delle imprese garantendo un impatto positivo in termini di sostenibilità ambientale e sociale, oltre che economica, senza tuttavia sfruttare le risorse in maniera più intensiva, ma anzi garantendo maggiore controllo e qualità del prodotto. Purtroppo, i dati Eurostat mostrano che quella italiana è tra le flotte europee più datate: la percentuale di imbarcazioni con età superiore ai 25 anni è del 73% per l’Italia, dato più elevato rispetto alla media dell’Unione Europea, pari al 68%. L’avvio di un processo di modernizzazione della flotta peschereccia nazionale rappresenta quindi una precondizione per permettere al settore di mantenere un livello di significatività e di competitività in ambito europeo e mediterraneo e per ridurre il fabbisogno di carburante, attraverso l’utilizzo di motori meno energivori.

Ad esempio, il 25 novembre 2020, Federpesca ha firmato con Fincantieri – il principale e più avanzato polo cantieristico europeo – un MoU per promuovere il rinnovamento della flotta peschereccia italiana. Federpesca suggerisce di sviluppare ulteriormente questo tipo di collaborazione a livello nazionale e comunitario e una sinergia tra i settori della blue economy, in quanto ciò rappresenta una grande opportunità per affrontare la sfida dello sviluppo della blue economy e della transizione tecnologica, ecologica ed energetica nei settori della pesca e della blue economy.

In che modo affrontate la questione della pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (IUU) e come potrebbe essere migliorata la collaborazione tra il settore privato e le autorità governative per contrastarla?

Vogliamo dire molto chiaramente che coloro che pescano illegalmente vanno senza dubbio stigmatizzati e sanzionati, anche perché arrecano un danno oltre che all’ambiente anche alla maggior parte dei pescatori che operano nelle regole. Tuttavia, in questi anni, abbiamo assistito ad una criminalizzazione generalizzata del settore che non è giustificata né tollerabile.
Le nostre imprese operano nella regolarità nonostante la concorrenza sleale di flotte extra europee nello stesso mare. Non è possibile che le regole valgano solo fino a 12 miglia.
È innanzitutto necessario definire misure gestionali condivise tra tutti i Paesi che hanno accesso agli stessi stock ittici. Il Mediterraneo infatti non può essere pensato come un luogo di confini da difendere, ma come uno spazio di cooperazione dove i singoli Paesi rispettano le stesse regole di gestione sostenibile, tracciabilità del prodotto e garanzie sociali al fine di tutelare un patrimonio comune. In questo senso, il settore ittico può avere un ruolo di mediazione e cooperazione fondamentale nel Mediterraneo, dove il mare viene ripensato come una risorsa preziosa e un luogo di cooperazione privilegiato. La tutela della biodiversità del Mediterraneo, il contrasto al sovrasfruttamento della pesca, alla pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (INN) e al cambiamento climatico dovrebbero diventare obiettivo comune e condiviso, in modo tale da creare un’occasione di cooperazione e dialogo necessari per rafforzare la fiducia tra Paesi rivieraschi. Promuovere una gestione sostenibile e coordinata del settore ittico tra tutti i Paesi rivieraschi, significa valorizzare in termini economici il patrimonio di risorse offertoci dal mare, con tutti i conseguenti effetti sul benessere delle comunità, dell’occupazione, della sicurezza alimentare, delle condizioni reddituali di famiglie e imprese, dunque della sostenibilità dello sviluppo di ciascun paese. Italia e Stati rivieraschi hanno il dovere di custodire e proteggere le risorse naturali condivise, obiettivo che può essere raggiunto in un mare semichiuso solo attraverso la cooperazione, poiché il Mediterraneo ci rende naturalmente interdipendenti.

 

Quali sono le vostre prospettive sulla digitalizzazione nel settore della pesca, e quali benefici o sfide prevedete per i vostri associati?

La sfida della transizione digitale ed energetica sta mettendo a dura prova il settore della pesca e ne minaccia la redditività complessiva, la sostenibilità e la resilienza. È certamente necessario diventare più efficienti dal punto di vista energetico e digitale, in linea con gli obiettivi di un’economia blu. Allo stesso tempo, Federpesca sostiene che la transizione dovrebbe rispondere non solo ai requisiti ecologici, ma sullo stesso piano anche economici e sociali, per garantire un futuro al settore della pesca che risponda ai tre pilastri della sostenibilità. Gli investimenti per la transizione non dovrebbero tenere in grande considerazioni gli impatti economici e sociali sul settore.

Federpesca è ad oggi già impegnata nell’obiettivo di una transizione digitale, energetica e decarbonizzazione nel settore della pesca, attraverso il supporto a progetti, come “Smart fishing – Remote Monitoring and Predictive Maintenance of Fishing Vessels”. Questo progetto mira a offrire una soluzione di piattaforma hardware e software da collocare a bordo del peschereccio, che consenta il monitoraggio via satellite dello status dell’imbarcazione e l’ottimizzazione delle attività svolte dai pescherecci. Attraverso i dati raccolti, è possibile predire eventuali problematiche, migliorare la manutenzione e le operazioni di lavoro della nave, aumentando così l’efficienza e la produttività delle attività di pesca, garantendo la sicurezza dell’equipaggio e monitorando e riducendo l’impatto ambientale della nave.

Quali azioni avete previsto per “ringiovanire” il settore e renderlo attrattivo per le nuove generazioni?

Il futuro della pesca passa da una riqualificazione dell’intero comparto: una flotta tecnicamente moderna, equipaggi preparati e conformi alle regole di sicurezza a bordo, rispetto delle risorse biologiche acquatiche e valorizzazione del prodotto. Per immaginare una strategia nazionale che guardi al nostro Paese nei prossimi 20 anni, è dunque imprescindibile favorire il ricambio generazionale e rendere il settore ittico maggiormente attrattivo per i più giovani, anche attraverso la promozione di percorsi di formazione e digitalizzazione. Va da sé che una nuova generazione di pescatori sarà certamente più propensa ad investire in termini di innovazione e sostenibilità. Il Fondo europeo per gli Affari Marittimi, la Pesca e l’Acquacoltura (FEAMPA) 2021-2027, anche se continua a mantenere vincoli paradossali, diventa così un veicolo per promuovere il ricambio generazionale e il diritto dei giovani alla formazione culturale e professionale nel settore della pesca e dell’acquacoltura, favorendone il primo insediamento. Ora più che mai è necessario creare opportunità di sviluppo e lavoro per un comparto che rappresenta un’eccellenza della filiera agroalimentare italiana, con uno sguardo diretto alla salvaguardia delle risorse marine e a una gestione sostenibile delle stesse.

Tuttavia, mentre per le imprese agricole condotte da giovani sono previsti specifici interventi di sostegno, non sono attualmente disponibili misure di sostegno per i giovani che conducono imprese ittiche o che volessero intraprendere un’attività in questo settore. Alla luce delle disposizioni stabilite dal Regolamento FEAMPA, è quindi necessario introdurre misure per favorire l’ingresso dei giovani nel settore della pesca e acquacoltura, così come agevolazioni fiscali e incentivi alla formazione per facilitare l’ingresso dei giovani nel settore.
Inoltre, al fine di promuovere il diritto dei giovani alla formazione culturale e professionale nel settore della pesca e dell’acquacoltura, una quota del Fondo per le politiche giovanili e del Fondo per il credito ai giovani potrebbe essere destinata a coloro che intendono seguire un percorso di formazione relativo alla pesca e all’acquacoltura.

Al fine di contribuire altresì alla realizzazione dell’obiettivo “Rafforzare le attività̀ di pesca sostenibili dal punto di vista economico, sociale (ad eccezione di quelle beneficiarie di un sostegno a norma dell’articolo 17 del Reg. FEAMPA)” e promuovere il ricambio generazionale nonché migliorare l’attrattività del settore della pesca si propone di favorire il primo insediamento nel settore della pesca di giovani pescatori attraverso la corresponsione di un premio e incentivando, mediante l’erogazione di risorse finanziarie, la costituzione e lo sviluppo di imprese competitive, rispettose dell’ambiente e integrate nel territorio costiero. Si tratta di mutare il successo, rinveniente da diverse programmazioni, della misura “pacchetto multimisura giovani” applicata in agricoltura.

Resta chiaro, a conclusione, che se non si interviene sulla competitività delle imprese da un lato e sugli incentivi in termini di sostenibilità e modernizzazione dall’altro, sarà difficile garantire ai più giovani salari e condizioni di lavoro a bordo adeguate. Dobbiamo fare presto a invertire questa rotta!

L’approfondimento segue domani con l’intervista a Gennaro Scognamiglio di Unci Agroalimentare.

Riflessioni sullo stato attuale della pesca. Pt 2 

 

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