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Nel cuore della ricerca internazionale sul benessere animale in acquacoltura, una ricerca condotta dall’istituto norvegese Nofima illumina una delle sfide più pressanti per il settore: i pidocchi di mare. Da anni, questi parassiti minano la salute dei salmoni allevati, aumentando i costi di produzione e sollevando interrogativi sulla sostenibilità delle pratiche attuali. Ma le risposte, forse, arrivano proprio da chi la natura l’ha già scritta da sé: alcune specie del Pacifico come il salmone coho mostrano una sorprendente capacità di difesa, che oggi potrebbe guidare un’evoluzione concreta nell’allevamento del salmone atlantico.
I risultati, pubblicati nell’ambito del progetto CrispResist, svelano un meccanismo tanto semplice quanto efficace: quando il pidocchio si attacca, il salmone coho reagisce rapidamente con una risposta immunitaria localizzata, innescando una potente infiammazione entro le prime 48 ore. Questo ostacola l’insediamento del parassita e, di fatto, lo costringe a lasciar perdere l’ospite. Secondo gli scienziati, è proprio la precocità della reazione a fare la differenza, ancor più che la sua intensità.
Un altro elemento chiave osservato è l’alta densità di cellule mucose nella pelle delle specie resistenti. Queste cellule creano una barriera naturale che rende la superficie della pelle ostile all’attacco del pidocchio. Tanto che, in ambiente controllato, è stato necessario anestetizzare i pesci per permettere ai parassiti di agganciarsi.
La resistenza del salmone ai pidocchi di mare, finora considerata un tratto biologico specifico, assume ora un valore strategico per tutta la filiera ittica. L’obiettivo del progetto CrispResist, infatti, è trasferire queste conoscenze alla genetica del salmone atlantico, che rappresenta il perno della produzione globale. La chiave potrebbe essere in una combinazione di selezione genetica, tecniche di biotecnologia e nuovi approcci nutrizionali per stimolare risposte simili anche nei ceppi meno reattivi.
Per le imprese italiane e mediterranee che operano nell’acquacoltura, queste evidenze offrono spunti molto pratici. Investire in ricerca genetica, monitorare in modo sempre più preciso le fasi precoci dell’infestazione e testare integratori capaci di rafforzare la mucosa cutanea sono percorsi realistici e complementari. Inoltre, la comprensione dei meccanismi immunitari locali può aprire la strada a vaccini topici o trattamenti meno invasivi, riducendo l’uso di antiparassitari e aumentando l’accettabilità sociale dei prodotti allevati.
Il parassita Lepeophtheirus salmonis è oggi responsabile di milioni di euro di perdite ogni anno, non solo per le mortalità, ma anche per l’aumento degli scarti, le spese veterinarie e i trattamenti ambientali. Capire come e perché il salmone coho riesce a “scrollarselo di dosso” con naturalezza può rappresentare la chiave di volta per un’itticoltura più sana, più efficiente e più sostenibile.
In sintesi, la sfida dei pidocchi di mare non è solo un problema tecnico da risolvere, ma un banco di prova per la capacità della filiera ittica di tradurre la scienza in innovazione concreta. Osservare la natura, interpretarla e adattarla non è mai stato così urgente.
Il settore è pronto a raccogliere il testimone? Le opportunità ci sono, ma richiedono visione, alleanze tra ricerca e impresa, e la volontà di cambiare rotta prima che siano i parassiti a farlo al posto nostro.
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L’articolo Solo 48 ore per reagire: la difesa naturale del salmone contro i pidocchi di mare proviene da Pesceinrete.
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