Mese: Ottobre 2025

Italy’s Mussel Market: Trends from EUMOFA Report

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The latest EUMOFA case study offers a clear snapshot of the Italian mussel market, a sector that still holds a leading role in Europe but shows contrasting signals.

Declining production

Italy is currently the second-largest European producer of mussels, accounting for 17% of total EU output, behind Spain, which leads with 45%. Over the long term, however, Italian mussel farming has been losing momentum: between 2014 and 2023, volumes fell by 10%. This decline is less severe than Spain’s, yet still significant for a sector that has always been a pillar of Italy’s maritime tradition.

Rising imports

On the supply side, Italy ranks as the third European market by value for mussel imports from non-EU countries, with 13% of the EU total. Between 2020 and 2024, imports rose by 8% in value, reflecting the growing dependence on extra-European flows, particularly driven by supplies from Chile.

Competitive exports

While domestic production retreats, Italy is strengthening its export position. With 11% of the value of extra-EU exports, the country ranks second in Europe after Spain and ahead of France. Switzerland, the United States, and the United Kingdom remain key markets, continuing to absorb Italian mussels both fresh and processed.

Intra-EU trade: a stable market

Within the EU, Italy stands among the main destinations, accounting for 14% of total intra-community trade value. This figure confirms the vitality of domestic demand, still strongly tied to the consumption of live and fresh mussels, typical of Mediterranean tradition.

A challenge for the future

Italy therefore remains a central player in Europe’s mussel trade flows, even as it faces a decline in domestic production. The sector’s dual challenge lies in supporting national mussel farming through innovation and sustainability while consolidating its strategic position in the import-export dynamics that make the country a key hub in the Mediterranean.

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Mediterraneo bollente, pesca e acquacoltura italiane nel mirino delle ondate di calore

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Il Mar Mediterraneo non è mai stato così caldo e imprevedibile. Le ondate di calore marine nel Mediterraneo stanno diventando un nuovo fattore strutturale che condiziona ecosistemi e attività umane, in particolare pesca e acquacoltura.

Il Copernicus Ocean State Report 9, pubblicato a settembre, fotografa un bacino che si riscalda più della media globale: +0,41 °C per decennio dal 1982, con valori ancora più elevati in Egeo, Levantino e Adriatico. Non si tratta solo di numeri: dietro ci sono filiere produttive italiane che rischiano di perdere stabilità, redditività e futuro.

Dal Delta del Po alla Sicilia: due emergenze simbolo

Tra il 2022 e il 2023, il Mediterraneo ha registrato la più lunga ondata di calore marina degli ultimi quarant’anni, con temperature fino a 4,3 °C sopra la norma. Nel Delta del Po, l’effetto è stato devastante: le venericolture hanno visto crolli produttivi fino al 100%. A rendere la situazione più drammatica è stato il dilagare del granchio blu, specie invasiva che ha approfittato delle nuove condizioni ambientali per consolidare la propria presenza.

Spostandosi in Sicilia, un’altra minaccia si è fatta concreta. L’espansione del vermocane barbuto, favorito dalle acque più calde, ha colpito biodiversità, piccola pesca e persino la salute umana. Due casi emblematici che mostrano come il cambiamento climatico non sia più un tema teorico, ma un fattore che altera gli equilibri economici e sociali della filiera ittica mediterranea.

Acquacoltura mediterranea sotto pressione

Se la pesca paga gli effetti delle trasformazioni ecologiche, l’acquacoltura vive una pressione altrettanto forte. Nel 2024, il 17% degli allevamenti di molluschi europei è stato colpito da ondate di calore estreme. Tutte le regioni oceaniche adiacenti ai Paesi con produzioni superiori a 5.000 tonnellate annue mostrano oggi riscaldamento e acidificazione sopra la media globale.

Per l’Italia, dove la molluschicoltura rappresenta un asse portante del comparto, queste cifre significano rischi diretti per imprese, cooperative e occupazione. L’aumento delle temperature riduce la resa e altera la qualità del prodotto, mentre l’acidificazione minaccia i cicli vitali dei bivalvi.

Politica e gestione: la partita si gioca ora

Il messaggio dell’OSR9 è chiaro: non basta la consapevolezza, servono risposte operative. A livello europeo, la Missione Restore Our Ocean and Waters 2030 punta a rafforzare monitoraggi, innovazione e governance. Per l’Italia la sfida è integrare questi dati nella gestione concreta, dalle concessioni in acquacoltura ai piani di pesca, fino alle strategie assicurative per coprire i rischi climatici.

Lo strumento più innovativo introdotto dal report è lo Starfish Barometer, un cruscotto che ogni anno fotograferà lo stato di salute dell’oceano e le pressioni umane. Una base utile per politiche più informate, ma anche per imprese e associazioni che devono ricalibrare i propri modelli.

Le ondate di calore marine nel Mediterraneo non sono un evento passeggero, ma un nuovo contesto con cui la filiera ittica italiana deve imparare a convivere. Ignorarle significa lasciare imprese e comunità costiere esposte a shock sempre più frequenti. Affrontarle con dati e strategie significa, invece, trasformare una crisi in un’opportunità di adattamento e resilienza.

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Fermo pesca nel Tirreno e nello Ionio, Coldiretti: “Pesce italiano garantito”

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È scattato oggi 1 ottobre il fermo pesca nel Tirreno e nello Ionio, con lo stop alle attività a strascico che durerà fino al 30 ottobre. La misura, prevista dal nuovo calendario del fermo biologico, riguarda anche le isole, mentre in Adriatico le marinerie hanno ripreso le uscite in mare dopo il blocco tra luglio e agosto.

Secondo Coldiretti Pesca, nonostante la sospensione temporanea delle flotte coinvolte, sulle tavole italiane il pesce nazionale non mancherà. A garantire continuità ci penseranno la piccola pesca costiera, le draghe, l’acquacoltura e le zone non soggette a fermo.

L’Italia sempre più dipendente dall’import

Il fermo pesca nel Tirreno e nello Ionio riporta al centro un dato strutturale: negli ultimi quarant’anni la dipendenza dell’Italia dalle importazioni ittiche è cresciuta dal 30% al 90% del consumo complessivo.

Nel 2024 sono arrivati nel nostro Paese circa 840 milioni di chili di pesce straniero, a fronte di una produzione interna di appena 130 milioni di chili. Numeri che confermano come il mercato nazionale viva sempre più legato alle dinamiche internazionali, con ricadute dirette su prezzi, disponibilità e competitività della filiera.

Etichette e stagionalità come strumenti di scelta

Coldiretti invita i consumatori a leggere con attenzione le etichette in pescherie e supermercati per distinguere l’origine del pesce e fare scelte consapevoli. Una corretta informazione consente di sostenere il prodotto nazionale e ridurre la pressione dell’import.

Seguire la stagionalità resta fondamentale: in questo periodo i mari italiani offrono una grande varietà di specie tra cui alici, sarde, sgombri, sugarelli, ricciole, cefali, triglie, gallinelle, scorfani, seppie, calamari e polpi. Più difficile invece trovare merluzzi, naselli, sogliole e rombi, più frequentemente provenienti dall’estero.

Una misura biologica con risvolti economici

Il fermo pesca nel Tirreno e nello Ionio è una misura pensata per salvaguardare gli stock ittici, ma al tempo stesso mette in luce le fragilità strutturali della produzione nazionale. Per la filiera italiana, il tema non è soltanto garantire sostenibilità ambientale, ma anche rafforzare le basi produttive e ridurre l’eccessiva dipendenza dai mercati esteri.

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Stati Generali delle Isole Minori: anche la pesca nel dibattito di Lipari

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Ieri, nel corso della conferenza stampa di presentazione degli Stati Generali delle Isole Minori, il Ministro Nello Musumeci ha delineato i temi che saranno affrontati nell’appuntamento di Lipari, in programma dal 10 al 12 ottobre. L’iniziativa, che vedrà la partecipazione di esponenti del Governo, istituzioni europee e rappresentanti delle comunità locali, punta ad accendere i riflettori sulle fragilità e sulle potenzialità del mondo insulare italiano.

Accanto a sanità, mobilità, istruzione e turismo, il Ministro ha richiamato anche la pesca nelle isole minori, citandola insieme all’agricoltura tra le attività tradizionali oggi in forte declino. La riduzione degli addetti in questi settori non rappresenta solo un dato economico, ma un rischio culturale e sociale che si somma al problema dello spopolamento.

Pesca, agricoltura e turismo: un equilibrio fragile

Il confronto di Lipari si preannuncia cruciale per analizzare la transizione in atto. Mentre il turismo cresce in modo irregolare, pesca e agricoltura arretrano, con effetti sulla stabilità economica delle comunità. Questo squilibrio rischia di compromettere l’identità stessa delle isole, tradizionalmente legata al rapporto diretto con il mare e la terra.

Infrastrutture e prospettive di sviluppo

Musumeci ha ricordato anche gli interventi previsti per migliorare le infrastrutture portuali, con risorse dedicate pari a 30 milioni di euro. Una misura che, oltre a favorire la mobilità, può incidere sul futuro della pesca nelle isole minori, settore che necessita di collegamenti rapidi ed efficienti per garantire competitività e valorizzazione del prodotto.

Una sfida che riguarda l’identità

Gli Stati Generali non si limiteranno a fotografare criticità già note, ma si propongono di definire strategie di medio e lungo periodo. La pesca nelle isole minori, pur non essendo il tema centrale, entra nel quadro complessivo come elemento che definisce la fragilità e allo stesso tempo l’identità delle comunità insulari. Senza politiche mirate, il rischio è che il turismo stagionale prevalga, lasciando scoperte le radici produttive e culturali che hanno sempre caratterizzato queste realtà.

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