Mese: Ottobre 2025 Pagina 8 di 32

Tonno in busta, l’innovazione diventa strategia

Tonno in busta, l’innovazione diventa strategia

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Il mercato delle conserve ittiche sta cambiando. A guidarlo non sono soltanto le mode alimentari, ma un consumatore diverso, più attento, veloce, esigente interessato a prodotti sostenibili, pratici e coerenti con i propri ritmi di vita.
La grande distribuzione si trova quindi a ripensare non solo ai formati, ma anche al modo stesso di presentare e raccontare un prodotto.

Il tempo medio dedicato alla spesa diminuisce, ma cresce l’attenzione verso ciò che semplifica la vita: confezioni leggere, facili da aprire, da smaltire, pensate per l’uso quotidiano.
Il punto vendita, di conseguenza, non è più soltanto un luogo di assortimento ma un ambiente di scelta rapida, dove visibilità e immediatezza contano quanto la qualità.

Secondo NielsenIQ e Circana, la domanda di alimenti ready-to-eat è in costante aumento.
Parallelamente, cresce la preferenza per packaging sostenibili e si moltiplicano le occasioni di consumo “fuori casa”.
Il consumatore non esplora più il reparto, ma si lascia guidare da ciò che cattura l’occhio e promette semplicità.
In questo contesto, ripensare la categoria delle conserve diventa una priorità per mantenere attenzione e valore sullo scaffale.

Il packaging come leva di competitività

In un mercato dove la qualità è ormai un requisito di base, la differenza si gioca altrove.
Il packaging diventa strumento strategico: comunica, semplifica, ottimizza.
Ridurre materiali, agevolare lo stoccaggio e rendere più intuitivo l’utilizzo non è più un dettaglio tecnico, ma un modo per trasformare un prodotto in un servizio.

Unifrigo Gadus: il tonno in busta come risposta industriale a un mercato che evolve

È in questo scenario che si inserisce l’innovazione firmata Unifrigo Gadus: il Tonno in Busta Marca Scudo Genova. Un prodotto che conserva la qualità e gli standard di lavorazione tipici del marchio, ma propone una nuova esperienza d’uso e di vendita, pensata per le abitudini di consumo di oggi e per le esigenze della distribuzione moderna.
Il passaggio dal contenitore rigido al pouch flessibile rappresenta una vera svolta tecnica e funzionale.
Il nuovo packaging, dal peso medio di appena 22 grammi contro gli 81 della lattina convenzionale, consente una riduzione del 73% dei materiali impiegati, con benefici misurabili lungo tutta la filiera e un impatto ambientale concreto: circa 30 tonnellate di CO₂ in meno nella produzione dei materiali e oltre 5 tonnellate risparmiate in logistica, grazie alla maggiore densità di carico e alla riduzione del trasporto a vuoto (Life Cycle Assessment).

Ma non si tratta solo di efficienza ambientale.
Il pouch flessibile apre alla GDO nuove possibilità operative, rendendo più semplice la gestione degli spazi, migliorando la rotazione e permettendo modalità espositive più dinamiche.
Un’evoluzione che traduce in pratica la logica della sostenibilità: meno peso, meno sprechi, più libertà per chi vende e più comodità per chi compra.

Euroforo: un dettaglio tecnico che cambia la visibilità

Il formato da 65 g del Tonno in Busta Marca Scudo Genova è dotato di euroforo, il piccolo foro standard nella parte superiore della confezione che permette l’esposizione verticale su ganci o supporti.
Un dettaglio apparentemente semplice, ma che cambia il punto di vista della vendita: la confezione può essere collocata fuori dal reparto conserve, vicino alle casse o in aree di passaggio, dove cattura l’attenzione e stimola acquisti d’impulso.

La versione da 300 g, invece, si presta a un posizionamento più tradizionale, ma con una migliore resa a scaffale grazie al minor ingombro.
Per la GDO, il vantaggio è duplice: più efficienza espositiva e maggiore fluidità di gestione.
Sul piano strategico, questa scelta si integra con le politiche ESG — ovvero le linee guida Environmental, Social e Governance che promuovono la riduzione dell’impatto ambientale, la responsabilità sociale lungo la filiera e la trasparenza gestionale.
Il packaging, in questo caso, diventa parte concreta di un percorso di sostenibilità, non solo comunicato ma realmente messo in pratica.

Nuovi percorsi d’acquisto e valorizzazione della categoria

Il formato flessibile consente quindi alla distribuzione di ripensare i percorsi d’acquisto, introducendo un linguaggio più contemporaneo anche in una categoria storica.
Non si tratta solo di cambiare confezione, ma di ridisegnare l’esperienza del consumatore: dal cross-merchandising con insalate e snack fino all’esposizione in aree di impulso, il tonno in busta apre nuove possibilità di relazione tra prodotto e persona.
Questa flessibilità espositiva restituisce centralità a un segmento maturo, offrendo alla GDO una nuova leva di comunicazione e differenziazione, capace di rendere le conserve ittiche nuovamente protagoniste dello scaffale moderno.

L’evoluzione del mercato delle conserve ittiche racconta molto più di un cambio di formato: descrive un nuovo modo di pensare il prodotto, la vendita e il rapporto con il consumatore.
Il Tonno in Busta Marca Scudo Genova di Unifrigo Gadus ne è la sintesi più concreta — un’innovazione silenziosa ma profonda, che unisce responsabilità ambientale, efficienza distributiva e qualità percepita.

In un settore abituato alla stabilità, questa nuova forma dimostra che innovare non significa rompere con la tradizione, ma dare continuità al valore in un linguaggio più attuale.
Perché anche nel mondo delle conserve, oggi, la forma conta quanto la sostanza.

 

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Il falso mito del “dumping” nel caso del gambero rosso nordafricano

Il falso mito del “dumping” nel caso del gambero rosso nordafricano

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Ciclicamente si torna a parlare di “dumping” a proposito delle esportazioni di gambero rosso dei Paesi del Nord Africa, in particolare Tunisia, Egitto, (Libia per altre vie) verso l’Europa. Alcuni operatori del settore ittico italiano e spagnolo (maggiori consumatori) denunciano la concorrenza di questi prodotti a prezzi inferiori, ritenendola una pratica sleale. Tuttavia, a un’analisi più attenta, la definizione di dumping, quella autentica, economica, sembra qui del tutto inappropriata.

Dumping: cosa significa davvero

Per parlare di dumping, in senso tecnico, occorre che un Paese esporti un prodotto a un prezzo inferiore rispetto a quello praticato nel proprio mercato interno, oppure addirittura al di sotto del loro costo di produzione. È una pratica che, quando accertata, giustifica misure di difesa commerciale a livello internazionale. Ma nessuna di queste due condizioni sembra verificarsi nel caso del gambero rosso nordafricano.

Assenza di mercato interno e alta efficienza produttiva

Innanzitutto, il gambero rosso non fa parte delle tradizioni gastronomiche dei Paesi magrebini. Non esiste quindi un “mercato interno” di riferimento con cui confrontare i prezzi di esportazione. I gamberi vengono pescati esclusivamente per l’esportazione nei Paesi dove trovano domanda e valorizzazione.

In secondo luogo, l’ipotesi che le aziende nordafricane vendano “al di sotto dei costi di produzione” è altrettanto infondata. Le imprese di pesca di quella regione hanno raggiunto livelli di efficienza elevatissimi, grazie a minori costi operativi e a una struttura produttiva snella. Sarebbe insostenibile, per qualunque azienda, operare stabilmente in perdita: se lo facessero, semplicemente non potrebbero resistere a lungo.

Non dumping, ma regole diverse

Il problema, semmai, è un altro. Le flotte italiane ed europee sono soggette a regolamenti stringenti: limiti sui quantitativi pescabili, dimensioni minime, giorni di fermo biologico, aree interdette. Tutte misure necessarie per garantire la sostenibilità degli stock marini. I Paesi extra-UE, pur essendo spesso membri di organizzazioni internazionali come la GFCM (General Fisheries Commission for the Mediterranean) operano sotto regimi normativi differenti, stabiliti in modo sovrano.
Questo squilibrio normativo può generare distorsioni di mercato, ma non può essere confuso con il dumping. È una questione politica e diplomatica, non commerciale.

Serve cooperazione, non accuse

Invece di puntare il dito contro i nostri “vicini”, forse dovremmo cogliere l’occasione per rafforzare la cooperazione. È significativo, in questo senso, l’esempio di un imprenditore mazarese che ha recentemente costituito una società mista con partner magrebini. Una scelta intelligente e lungimirante, che apre la strada a modelli di sviluppo condiviso e a nuove opportunità per l’imprenditoria italiana.

Mettere tutti gli attori del settore attorno a un tavolo (produttori, governi, organismi internazionali) è la via maestra per definire regole comuni eque e sostenibili. Sospendere giudizi affrettati e spesse volte anche offensivi verso i nostri dirimpettai, collaborare per una gestione razionale delle risorse, è l’unico modo per garantire un futuro alla pesca mediterranea.

D’altronde, sarebbe ipocrita dimenticare che proprio noi, per decenni, abbiamo praticato forme di pesca intensiva ben lontane dalla sostenibilità. Oggi il mondo è cambiato, servono alleanze, non barriere. E il gambero rosso può diventare, da motivo di contesa, un’occasione di dialogo.

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Franco Andaloro: trent’anni di errori che hanno piegato la pesca italiana nel Mediterraneo

Franco Andaloro: trent’anni di errori che hanno piegato la pesca italiana nel Mediterraneo

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Durante la XXXIV Rassegna del Mare di Trapani, conclusasi ieri a Trapani, Franco Andaloro, componente del Comitato Scientifico della Fondazione Italiana Biologi (FIB), ha pronunciato uno degli interventi più lucidi e disarmanti dell’intera manifestazione.
Con la schiettezza di chi conosce il settore dall’interno, ha ripercorso tre decenni di pesca italiana nel Mediterraneo, riconoscendo gli errori di un sistema in cui la ricerca scientifica, la politica e le stesse associazioni di categoria hanno contribuito, seppure in modi diversi, al progressivo impoverimento del comparto.
Non un atto d’accusa, ma una riflessione collettiva: “abbiamo sbagliato tutti”, è il messaggio che Andaloro ha consegnato al pubblico.

Un modello costruito su presupposti sbagliati

Secondo Andaloro, la pesca italiana nel Mediterraneo è stata gestita per trent’anni come se questo mare fosse un oceano.
Le politiche comunitarie, i piani di gestione e la ricerca hanno adottato modelli nati per contesti a biomassa elevata, come quelli atlantici o nordici, fondati sul principio del Maximum Sustainable Yield.
Applicati al Mediterraneo, mare chiuso e multispecifico, questi modelli si sono rivelati non solo inefficaci, ma devastanti.
L’Italia ha ridotto di oltre il 50% la propria flotta, ha demolito centinaia di pescherecci e disperso competenze storiche, senza ottenere l’aumento delle catture né il recupero degli stock ittici promessi.
È il paradosso di una gestione che ha scelto la matematica al posto dell’ecologia.

Scienza, politica e rappresentanza: un’alleanza mancata

Nel suo intervento, Andaloro ha puntato il dito anche contro la frammentazione delle responsabilità.
La scienza, ha spiegato, ha preferito produrre dati “comodi”, facilmente spendibili nei tavoli tecnici, anziché farsi interprete della complessità del Mediterraneo.
La politica ha privilegiato la logica delle deroghe e degli ammortizzatori sociali, rinunciando a una programmazione strutturale.
Le associazioni di categoria, infine, troppo spesso si sono fermate alla gestione del quotidiano, difendendo il contingente invece di investire in visione e innovazione.
Il risultato è stato un sistema che, per trent’anni, ha agito come se la fine della pesca fosse un evento annunciato e inevitabile.

Un Mediterraneo fragile e dimenticato

Andaloro ha ricordato che la crisi della pesca non è solo questione di flotta o di licenze.
È il sintomo di un mare alterato, in cui la somma di fattori ambientali e antropici ha cambiato in modo irreversibile gli equilibri ecologici.
L’inquinamento costiero, le microplastiche, l’acidificazione e l’aumento della temperatura hanno modificato la distribuzione delle specie.
Le correnti hanno spostato le zone di riproduzione e il pesce azzurro, un tempo cuore pulsante dello Stretto di Sicilia, oggi mostra dinamiche di collasso dovute al combinarsi di pressioni biologiche e climatiche.
In questo scenario, la ricerca ha continuato a descrivere fenomeni senza tradurli in strumenti gestionali efficaci, e la politica ha reagito con lentezza.

La tempesta perfetta e l’accaparramento del mare

La pesca italiana nel Mediterraneo vive oggi una “tempesta perfetta”: a una crisi strutturale si è aggiunto il nuovo fronte dell’accaparramento dello spazio marittimo.
Andaloro ha richiamato l’attenzione sui 134 progetti di impianti eolici offshore presentati in assenza di un reale coinvolgimento delle comunità costiere.
La pianificazione dello spazio marittimo, prevista dalle direttive europee, è rimasta sulla carta o è stata elaborata con logiche burocratiche che ignorano le economie locali.
È un fenomeno che rischia di marginalizzare ulteriormente la pesca, confinandola ai margini di un mare che non riconosce più come proprio.

Il Mediterraneo come ecosistema, non come statistica

Andaloro ha concluso con un appello alla responsabilità condivisa.
Il Mediterraneo non può essere governato con gli stessi strumenti applicati agli oceani, né la pesca può essere ridotta a numeri da compensare con sussidi.
Serve una gestione ecosistemica, basata su conoscenza reale, partecipazione e adattamento.
Scienza, istituzioni e associazioni devono tornare a lavorare insieme, superando la frammentazione che ha indebolito il settore.
Il mare, ha ammonito, “non si governa con modelli astratti, ma con consapevolezza, etica e rispetto”.

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A Trapani due tavole rotonde su governance del mare e crisi della pesca

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Si è svolta ieri, nel Chiostro di San Domenico, la seconda giornata della XXXIV Rassegna del Mare, promossa da Mareamico con il patrocinio del Senato della Repubblica, della Camera dei Deputati e del Ministero del Turismo.

La mattinata si è aperta con gli interventi del sindaco di Trapani Giacomo Tranchida, del presidente di Mareamico Roberto Tortoli, del presidente dell’ISPRA Stefano Laporta, del presidente del Comitato Scientifico di Mareamico Leonardo Damiani e della presidente di Generazione Mare Daniela Addis.
Un’apertura istituzionale e di visione, che ha posto l’accento sulla necessità di un equilibrio tra innovazione, sviluppo sostenibile e tutela delle identità costiere, in una fase cruciale per il futuro del Mediterraneo.

La prima tavola rotonda, dedicata al tema “Patto Europeo per gli Oceani”, ha visto confrontarsi Ludovica D’Apote, Eugenio Falcone, Maria Lorella Grippa, Daniela Mainenti, Daniele Paesani e Jean Louis Morelli.
Dal dibattito sono emerse riflessioni sul ruolo del Mediterraneo nelle strategie europee, sulla governance ambientale e sulle nuove sfide geopolitiche e tecnologiche legate al mare.
Dalla proposta di riconoscere al Mediterraneo una personalità giuridica al richiamo sull’importanza della restaurazione ecologica e delle praterie di Posidonia oceanica, fino al concetto di turismo rigenerativo, gli interventi hanno delineato un Mediterraneo da tutelare e da ripensare come spazio condiviso di cooperazione e responsabilità.

La seconda tavola rotonda, intitolata “Cause del declino e riflessioni sul futuro della pesca in Italia e in Sicilia”, ha riunito Giovanni Basciano, Natale Amoroso, Franco Andaloro, Lucrezia Cilenti, Antonio Di Natale e Ignazio Monterosso.
La discussione ha messo in luce le difficoltà strutturali della pesca mediterranea: ricambio generazionale, sostenibilità economica, carenza di dati, effetti del cambiamento climatico e impatto delle specie aliene.
La giornata si è chiusa con un messaggio condiviso: il futuro del mare passa dalla convergenza tra scienza, imprese e governance pubblica, in una prospettiva di sviluppo sostenibile che tenga insieme tutela ambientale, economia e cultura.

Oggi, sabato 25 ottobre, la Rassegna proseguirà sempre al Chiostro di San Domenico con due nuove sessioni dedicate all’energia pulita da fonti rinnovabili offshore e al turismo crocieristico e portualità, temi chiave per la blue economy e la transizione ecologica nel Mezzogiorno.
Qui il programma completo della XXXIV Rassegna del Mare.

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Turning Fish Waste into Feed: The Cuban Aquaculture Revolution

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Enhancing the value of fish processing waste by transforming it into valuable resources for feed production—thus improving the efficiency of the Cuban aquaculture chain—is the milestone achieved in the city of Sancti Spíritus by the Department of Agricultural, Food, Environmental and Forestry Sciences and Technologies (DAGRI) of the University of Florence. The project was developed in collaboration with Cuba’s Ministry of Food Industry (MINAL), the Grupo Empresarial de la Industria Agroalimentaria (GEIA), and the fishery company PESCASPIR. It marks the culmination of extensive research and field experimentation aimed at securing sustainable protein sources for animal nutrition in a context challenged by embargo restrictions and limited raw materials.

Funded by the Italian Cooperation (Ministry of Foreign Affairs and International Cooperation – MAECI, and the Italian Agency for Development Cooperation – AICS), the IPEPAC Project (Enhancement of Productivity and Efficiency of Agro-Industrial Processing in Cuba, also through Environmental Protection and Loss Reduction) led to the creation of a processing line capable of handling up to 10 tons of fish residues per day—heads, skins, bones, tails, and viscera. These materials are transformed into silage through an acidification process and blended with flours to produce animal feed, increasing yields sustainably and locally.

This innovative circular economy model is now ready to be replicated across the island to meet protein needs and improve lipid intake—both essential for fish health and, consequently, for the Cuban population’s nutrition.

To share the results of the project, launched in 2019 with GEIA, a public event will be held on October 28 at the Hotel Plaza in Sancti Spíritus, offering an opportunity to showcase this initiative as a pilot model for freshwater and marine fisheries, adaptable to other regions.

Armando Guerra Borrás, Cuban project director from GEIA, emphasized:

“The strength of the project lies in creating a local resource network that allows Cuban aquaculture to become self-sufficient. Transforming food industry by-products into feed reduces environmental impact and ensures independence from imported raw materials.”

Giuliana Parisi, DAGRI professor and project coordinator, added:

“Our goal was to increase fish availability in Cuba, a country with significant potential in this area. In the future, even saltwater aquaculture could expand. This project can be replicated in other regions to boost access to healthy and sustainable food. A special thanks to AICS, not only for financial support but for acting as a vital bridge with our Cuban partners.”

Researcher Francesco Garbati concluded:

“We’ve all learned something valuable from this project. We developed something original that can serve as a benchmark for similar initiatives worldwide, starting from Cuba itself. Despite technical and logistical challenges, Cuban engineers demonstrated outstanding skill and adaptability, mastering the techniques and technology we introduced.”

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