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La moratoria norvegese sull’estrazione mineraria in acque profonde rappresenta uno dei blocchi più significativi decisi da un Paese artico negli ultimi anni, con potenziali ripercussioni anche per le politiche europee e internazionali di tutela degli oceani.
La decisione del Parlamento norvegese sospende ogni attività legata al mining nei fondali profondi dell’Artico almeno fino all’autunno del 2029, termine dell’attuale legislatura. Per i prossimi quattro anni non saranno quindi rilasciate licenze di esplorazione né di sfruttamento, un segnale politico netto verso una maggiore prudenza ambientale. Contestualmente, il governo ridurrà in maniera significativa i finanziamenti destinati alla mappatura dei fondali, una componente chiave per l’eventuale apertura dell’industria mineraria in acque ultra-profonde.
La Deep Sea Conservation Coalition (DSCC), una delle principali organizzazioni globali impegnate nella difesa degli ecosistemi abissali, ha accolto con favore la scelta norvegese. Secondo Sofia Tsenikli, Direttrice della Campagna Globale del DSCC, si tratta di “una grande vittoria per l’oceano, il clima e la natura”, sottolineando come il blocco totale di esplorazioni e attività minerarie “rappresenti un altro chiodo nella bara di un’industria inutile, sconsiderata e altamente distruttiva”. La moratoria viene interpretata come l’unico strumento in grado di garantire che i benefici forniti dagli ecosistemi profondi—dalla regolazione climatica alla biodiversità—possano essere preservati per le generazioni future.
La posizione sorprende anche perché la Norvegia, fino ad ora, è stata tra i sostenitori più convinti dello sviluppo del settore, sia nelle proprie acque nazionali sia in sede internazionale, in particolare presso l’Autorità Internazionale per i Fondali Marini (ISA). Il cambio di direzione appare invece pienamente coerente con i pareri scientifici che, negli ultimi anni, hanno evidenziato rischi ambientali elevatissimi e ancora non quantificabili: dalla distruzione irreversibile degli habitat profondi alla dispersione di sedimenti ricchi di metalli pesanti, con possibili impatti sulle catene trofiche e sui cicli biogeochimici globali.
Per la DSCC e per numerosi organismi scientifici, la decisione norvegese rappresenta un precedente politico di grande peso. L’organizzazione invita il governo di Oslo – e la comunità internazionale nel suo complesso – a unirsi ai 40 Paesi che hanno già formalizzato misure precauzionali, sostenendo una moratoria globale che impedisca danni permanenti a uno degli ultimi ambienti incontaminati del pianeta.
In un contesto in cui gli oceani sono sempre più al centro delle strategie economiche, energetiche e alimentari, la sospensione norvegese apre una riflessione politica più ampia: rallentare oggi può essere la condizione necessaria per evitare, domani, un impatto irreversibile sugli equilibri degli ecosistemi profondi.
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