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Da anni la filiera del pesce bianco vive sospesa fra due immagini speculari: da un lato la tradizione, consolidata e rassicurante, del merluzzo; dall’altro, la crescente consapevolezza che affidarsi quasi esclusivamente a una sola specie rappresenti una vulnerabilità per il mercato, per gli stock e per la stessa capacità del settore di offrire continuità ai consumatori europei. Nel mezzo, una realtà complessa, fatta di dinamiche biologiche che non sempre si piegano alle esigenze dell’industria e di oscillazioni di disponibilità che impongono nuove riflessioni.
Per molto tempo il merluzzo ha impersonato la stabilità. La sua storia commerciale è legata a filiere solide, a volumi prevedibili, a una presenza costante nei mercati all’ingrosso e sugli scaffali della distribuzione moderna. Le abitudini dei consumatori europei si sono modellate su quel profilo inconfondibile: carne bianca, sapore delicato, resa affidabile.
Ma il mercato, come spesso accade, si evolve più rapidamente delle sue certezze.
Nel corso dell’ultimo decennio, il sistema ha iniziato a mostrare tensioni sottili ma evidenti. Le oscillazioni nelle disponibilità, la crescente competizione internazionale e la sensibilità crescente verso la sostenibilità hanno rivelato quanto fragile possa essere un modello basato su una specie cardine. La domanda non si è ridotta; al contrario, si è ampliata, e la filiera ha cominciato a interrogarsi su come affrontare un futuro in cui la stabilità non può più essere data per scontata.
È in questo contesto che entra in scena un elemento apparentemente semplice ma profondamente trasformativo: la decisione normativa italiana di estendere ufficialmente la denominazione “merluzzo” a Molva molva e Brosme brosme. Una norma che, di per sé, non riscrive il mercato da un giorno all’altro, ma modifica la cornice entro cui il mercato stesso può muoversi. E a volte, è proprio la cornice a determinare la direzione.
Molva e Brosme non sono specie emergenti né nuove scoperte. Sono pesci ben conosciuti agli addetti ai lavori, che da sempre ne riconoscono la vicinanza — biologica e gastronomica — al merluzzo tradizionale. La differenza non è nella loro natura, bensì nella loro visibilità: per decenni sono rimasti sullo sfondo, pur possedendo tutte le caratteristiche necessarie per assumere un ruolo più centrale.
La loro inclusione nella categoria “merluzzo” restituisce loro dignità commerciale e offre alla filiera qualcosa che oggi vale più del semplice aumento dell’offerta: una possibilità concreta di ridisegnare il concetto stesso di pesce bianco.
Diversificare non significa spezzare una tradizione; significa renderla più solida. Molva e Brosme portano con sé carni bianche, compatte, pulite nel gusto, naturalmente predisposte alla trasformazione industriale e alla distribuzione moderna. Sono specie che garantiscono una buona resa in filetti, che reagiscono bene ai processi di lavorazione e che presentano una costanza qualitativa elevata. Sono, in altre parole, ciò che il mercato del pesce bianco chiede da sempre: affidabilità.
Eppure, per emergere, avevano bisogno di un riconoscimento formale. La normativa lo ha finalmente fornito.
Ma la norma, come spesso accade, non arriva nel vuoto: arriva dopo che qualcuno ha già iniziato a tracciare un percorso.
In questo caso, quel percorso porta il nome di Unifrigo Gadus.
L’azienda ha lavorato per anni su una convinzione semplice ma controcorrente: il futuro del pesce bianco non può essere prigioniero dell’inerzia. Servono alternative credibili, coerenti, in linea con ciò che l’industria richiede e con ciò che i consumatori riconoscono come qualità. Molva e Brosme, per Unifrigo Gadus, non sono mai state “specie secondarie” o “ripieghi”. Sono state — e oggi lo sono ancor di più — un tassello strategico per proteggere la stabilità della filiera, ridurre la dipendenza da oscillazioni cicliche e costruire un equilibrio più armonico tra domanda e disponibilità.
Il fatto che la normativa le riconosca come merluzzo non fa che formalizzare un’identità già evidente: si tratta di pesci bianchi pienamente allineati al profilo gastronomico e industriale che il mercato conosce e apprezza. E questo riconoscimento offre un vantaggio aggiuntivo: consente agli operatori di comunicare in modo più trasparente, riducendo l’ambiguità e permettendo ai consumatori di orientarsi con maggiore chiarezza.
Se si osserva attentamente il quadro generale, l’impatto della norma appare ancora più significativo. Non riguarda solo l’etichettatura: riguarda la possibilità, per l’intera filiera, di respirare. Di non trovarsi intrappolata nella dipendenza da una sola specie. Di costruire un futuro in cui la stabilità non sia una coincidenza, ma il risultato di scelte consapevoli.
Il contributo di Unifrigo Gadus in questo processo non consiste nel cavalcare un cambiamento, ma nell’averlo anticipato. L’azienda ha creduto nella diversificazione del pesce bianco prima che diventasse una necessità, ha lavorato sui prodotti, sulla comunicazione e sulla cultura di filiera in un momento in cui l’argomento sembrava secondario. Oggi, quella visione si rivela centrale.
Molva e Brosme, diventati ufficialmente merluzzi, rappresentano una nuova pagina nella storia del pesce bianco. Una pagina che non cancella la tradizione, ma la estende; non interrompe un ciclo, ma ne apre uno nuovo; non sostituisce un protagonista, ma ne affianca altri due, capaci di portare equilibrio in un settore che della stabilità ha un bisogno vitale.
La normativa ha fornito il linguaggio. Ora spetta al mercato usarlo per costruire un futuro più solido, e a realtà come Unifrigo Gadus il compito — già avviato — di trasformarlo in realtà industriale.
L’articolo La nuova classificazione del merluzzo: dentro anche Molva e Brosme proviene da Pesceinrete.
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