Europêche avverte l’UE: senza fondi dedicati la pesca è a rischio collasso

Europêche avverte l’UE: senza fondi dedicati la pesca è a rischio collasso

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Venerdì scorso, sotto la presidenza danese, si è tenuto a Bruxelles un incontro ad alto livello tra Europêche, il Commissario Costas Kadis e i rappresentanti alla pesca di dodici Stati membri. Un confronto che ha messo a nudo le tensioni profonde che attraversano la filiera comunitaria. Mai come oggi, sostenere il settore della pesca europea appare una sfida cruciale per il futuro del comparto e delle comunità costiere.

Una politica comune senza un fondo non è più una politica

La proposta della Commissione europea per il bilancio 2028-2034 ha lasciato l’industria ittica sgomenta. La dotazione finanziaria destinata alla pesca verrebbe ridotta di due terzi, passando a circa 2 miliardi di euro. Una cifra giudicata insufficiente per affrontare la transizione verde, le sfide tecnologiche e l’urgenza di attrarre nuova forza lavoro a bordo delle flotte.

Secondo Europêche, accorpare i fondi per la pesca in macro-strumenti finanziari condivisi con altri settori significherebbe esporre gli operatori a una competizione impari e privare la Politica Comune della Pesca della sua identità. La riduzione del budget, unita alla libertà concessa agli Stati membri di fissare autonomamente le aliquote d’aiuto, rischia di creare disparità e concorrenza interna, minando uno dei principi cardine dell’Unione: la parità di condizioni.

La richiesta del presidente Javier Garat è stata chiara: il prossimo quadro finanziario deve includere un fondo pienamente dedicato alla pesca, capace di sostenere innovazione, sicurezza sul lavoro e sostenibilità ambientale, senza scaricare tutto il peso delle scelte sui singoli Paesi.

Le opportunità di pesca 2026 e l’equilibrio fragile delle flotte

Se il tema dei fondi preoccupa, quello delle prossime opportunità di pesca rischia di diventare esplosivo. Europêche ha accolto con favore il riconoscimento, da parte della Commissione, dei progressi nella gestione degli stock, ma ha criticato l’impostazione di alcune proposte che prevedono catture zero o riduzioni ulteriori.

Nel Mar Baltico, dove la crisi del merluzzo e dell’aringa è aggravata da fattori ambientali come l’inquinamento, la scarsità di ossigeno e la predazione di foche e cormorani, ulteriori tagli appaiono più simbolici che risolutivi. Nel Mediterraneo, invece, l’industria rivendica gli sforzi già compiuti, con una riduzione dello sforzo di pesca superiore al 40% in pochi anni, chiedendo in cambio giorni di attività aggiuntivi e l’esclusione del gambero rosso dal regime delle quote.

Ancora più teso lo scenario dell’Atlantico nord-orientale, dove le raccomandazioni scientifiche vengono giudicate eccessivamente prudenziali. Le proposte di cattura zero per merluzzo, eglefino e merlano, denunciano le associazioni, avrebbero un impatto devastante su porti e famiglie che vivono di pesca. Europêche invita Bruxelles a non fermarsi alla matematica biologica, ma a valutare anche gli effetti socioeconomici delle decisioni.

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L’Europa tra controlli, accordi e competitività globale

Il confronto di Bruxelles ha toccato anche due dossier delicati: i nuovi accordi commerciali e il rafforzamento delle misure di controllo. L’obiettivo dichiarato è garantire tracciabilità e sostenibilità lungo tutta la filiera, ma il timore del settore è che l’Europa imponga ai propri pescatori regole più severe di quelle applicate ai concorrenti internazionali.

Europêche chiede dunque coerenza: chi esporta prodotti ittici nel mercato europeo deve rispettare gli stessi standard ambientali e di sicurezza alimentare imposti alle flotte dell’Unione. Solo così si potrà parlare di concorrenza leale e di una vera politica di sostenibilità globale.

La responsabilità di non arretrare

Il dialogo con la Commissione è aperto, ma il tempo stringe. Per Europêche, il successo del prossimo bilancio e delle misure per il 2026 dipenderà dalla capacità dell’UE di trasformare le promesse in strumenti concreti. Difendere e sostenere il settore della pesca europea significa proteggere non solo le imprese e i posti di lavoro, ma anche la sovranità alimentare e la presenza marittima del continente.

Perché senza un fondo forte e regole eque, la Politica Comune della Pesca rischia di diventare una cornice vuota: una politica comune senza politica.

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Amazon entra nella grocery con un marchio unico: e il pesce finisce nel mirino

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Amazon, solo pochi giorni fa, ha annunciato il lancio di Amazon Grocery, un marchio unico che riunisce e sostituisce Amazon Fresh e Happy Belly, due etichette private già note ai clienti del gruppo.
Il nuovo brand propone oltre 1.000 prodotti alimentari, dai generi base ai freschi, fino a carne e pesce, con la maggior parte degli articoli a un prezzo inferiore ai 5 dollari.
L’obiettivo, dichiarato dall’azienda, è offrire “qualità e valore senza compromessi” e rendere più semplice la scoperta dei prodotti alimentari a marchio Amazon.

Il lancio segna un ampliamento importante della presenza del colosso di Seattle nel food, sia online che nei punti vendita Amazon Fresh.
Può essere letto come una dichiarazione d’intenti per il mercato alimentare globale: Amazon punta a consolidare un’offerta di prodotti freschi e confezionati sotto un’unica identità, in linea con la crescita costante del proprio comparto grocery.
Tra le categorie centrali figurano anche i prodotti ittici, accanto a carne, latticini, snack e prodotti da forno.

Il packaging è parte integrante della strategia. L’azienda ha ridotto l’uso di plastica — ad esempio, le confezioni di mele Amazon Grocery contengono il 50% di plastica in meno rispetto al passato — e ha introdotto un design più leggibile e trasparente per aiutare i clienti a compiere scelte consapevoli.

La nuova frontiera del private label

L’iniziativa conferma l’intenzione di Amazon di rafforzare la propria strategia MDD (marca del distributore), già diffusa in altri segmenti come la casa, la cura personale e il baby care.
Con Amazon Grocery, la private label entra pienamente nella sfera dei prodotti freschi, un terreno tradizionalmente dominato dai retailer fisici.

Negli Stati Uniti, dove la penetrazione delle MDD è storicamente inferiore rispetto all’Europa, Amazon punta a guadagnare fiducia e volumi grazie al proprio ecosistema: logistica integrata, dati di consumo e un posizionamento di prezzo altamente competitivo.
Ogni prodotto viene presentato con una valutazione media superiore a quattro stelle, a conferma del focus sulla reputazione verificata più che sulla notorietà del brand.

Amazon Grocery e settore ittico italiano: un collegamento inevitabile

A prima vista, un lancio oltreoceano potrebbe sembrare lontano dal contesto italiano. In realtà, i segnali che arrivano dagli Stati Uniti anticipano tendenze destinate a riflettersi anche nel mercato europeo.
Amazon è già presente in Italia con Amazon Fresh, attivo nelle principali aree metropolitane, e dispone di un’infrastruttura logistica che consente la consegna di prodotti freschi e surgelati in giornata.

Se il format Amazon Grocery venisse progressivamente esteso ai Paesi europei, il pesce rientrerebbe naturalmente tra le categorie chiave, accanto a carne e latticini.
Il modello di pricing americano — la soglia dei 5 dollari — si tradurrebbe in Europa in prezzi target tra i 3,99 e i 4,49 euro, con un impatto diretto sui segmenti più esposti del mercato: conserve, surgelati e seafood ready-to-eat.

Per i produttori italiani, significa confrontarsi con una nuova forma di concorrenza che non arriva dal discount ma da un operatore globale capace di combinare convenienza, logistica e reputazione digitale.
In questo scenario, il valore del prodotto non potrà più basarsi solo sull’origine o sul prezzo, ma anche sulla capacità di differenziarsi attraverso tracciabilità, sostenibilità del packaging e storytelling autentico.

Prezzo, qualità e sostenibilità: il triangolo competitivo

Il mercato europeo registra una crescita costante delle MDD: nel 2024 la quota valore ha raggiunto circa il 39% del grocery complessivo, con l’Italia in aumento del 2,4% rispetto all’anno precedente.
La tendenza è chiara: i consumatori riconoscono alle marche private un rapporto qualità-prezzo sempre più convincente.

In questo contesto, Amazon si inserisce come nuovo attore ibrido, in grado di unire la forza del digitale alla percezione di affidabilità tipica dei brand globali.
Il seafood, categoria finora protetta da barriere di filiera e da competenze produttive specifiche, entra così nel radar del commercio elettronico alimentare di massa.

La sfida per la filiera italiana è duplice: mantenere la leadership sulla qualità percepita e presidiare con professionalità i canali digitali.
Ogni recensione, ogni dato di reso, ogni commento del consumatore diventa parte integrante del valore del prodotto, tanto quanto la certificazione ASC, MSC o la provenienza FAO.
In altre parole, la reputazione online diventa una nuova forma di tracciabilità.

Le prospettive per la filiera

Per i produttori italiani di pesce conservato e trasformato, il segnale è chiaro: occorre anticipare i cambiamenti.
Chi lavora solo sul prezzo rischia di essere assorbito nella fascia bassa del mercato, mentre chi saprà comunicare origine, sostenibilità e affidabilità potrà consolidare la propria posizione anche di fronte a un colosso come Amazon.

L’arrivo di Amazon Grocery non va letto come una minaccia immediata, ma come un promemoria: la battaglia per il valore nel seafood non si gioca più soltanto nei supermercati, ma anche sugli schermi dei consumatori.
Chi presidia oggi la narrazione digitale del pesce — dai contenuti di prodotto alle recensioni — definirà il proprio spazio nel mercato di domani.

Il più grande operatore mondiale dell’e-commerce ha scelto di unificare il proprio marchio alimentare, includendo il pesce tra le categorie protagoniste.
Per la filiera italiana è un segnale preciso: il seafood sta entrando nella nuova geografia del grocery globale, dove prezzo, sostenibilità e reputazione contano quanto — e talvolta più — dell’etichetta.

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“Fermo pesca scelta obbligata per salvare ecosistemi marini”

Indennità e scelte condivise per scongiurare collasso biologico ed economico, la parola al Presidente

«Il fermo pesca non è un ostacolo per il settore, ma uno strumento fondamentale per rigenerare gli stock ittici, tutelare gli habitat marini e garantire la sopravvivenza delle comunità costiere. Tuttavia, senza un adeguato sostegno economico e senza una governance realmente partecipata, rischiamo di trasformarlo in un peso insostenibile per migliaia di imprese e lavoratori del mare». Con queste parole Mario Serpillo, presidente dell’UCI – Unione Coltivatori Italiani, richiama l’attenzione sulla necessità di un cambio di passo nelle politiche di gestione della pesca.

Fermo pesca per motivi biologici

Il quadro normativo è stato aggiornato con il Decreto n. 124436 del 18 marzo 2025 sul fermo obbligatorio, il Decreto Direttoriale n. 142369 del 27 marzo 2025 sugli aiuti alle imprese e il Decreto Interministeriale n. 1222 del 17 aprile 2025, che prevede un’indennità giornaliera di 30 euro per i lavoratori. «Si tratta di passi nella giusta direzione – spiega Serpillo – ma ancora insufficienti: le risorse coprono appena il 20-25% del reddito reale e i ritardi nei pagamenti aggravano una situazione economica già complessa. Non possiamo permettere che una misura nata per la sostenibilità diventi una condanna per chi vive di pesca.»

L’importanza del fermo biologico è confermata dalle evidenze scientifiche, che dimostrano come la sospensione temporanea dell’attività consenta alle specie di riprodursi e agli ecosistemi di recuperare. Per questo, secondo il presidente, Mario Serpillo, la gestione di questo strumento deve essere integrata in un sistema decisionale più ampio e condiviso, in cui marinerie, organizzazioni del settore e comunità scientifica collaborino per calibrare i periodi di fermo sulle esigenze reali degli stock e sulle condizioni socioeconomiche dei territori.

La necessità di agire con urgenza è confermata anche dai dati più recenti diffusi dal Consiglio Internazionale per l’Esplorazione del Mare (ICES), secondo cui la situazione di alcune specie è ormai «precipitata a un livello da cui sarà difficile riprendersi». Lo sgombro, uno dei pesci azzurri più apprezzati e consumati in Italia, con oltre 25.000 tonnellate l’anno, ha visto la biomassa scendere sotto la soglia critica. Le catture superano del 39% le raccomandazioni scientifiche e, per evitare il collasso, sarà necessario ridurle del 77% entro il 2026. Allarmi analoghi riguardano il melù, per cui è richiesta una riduzione del 41%, e l’aringa atlanto-scandinava, che necessita di una gestione delle quote conforme alle evidenze scientifiche.

«Questi dati dimostrano in modo inequivocabile che è arrivato il momento di cambiare rotta – dichiara Serpillo . Oggi la biomassa dello sgombro è sotto la soglia critica e per evitarne il collasso serve ridurre drasticamente le catture. Ignorare questi segnali significa mettere a rischio non solo le risorse marine ma anche la stabilità di intere filiere e l’economia dei territori costieri. Il fermo pesca resta uno strumento imprescindibile, ma deve essere parte di una strategia più ampia, fatta di politiche coraggiose e lungimiranti, capaci di coniugare la tutela degli ecosistemi con la dignità del lavoro e la sostenibilità economica delle imprese.»

Pescherecci fermi nei porti

Il presidente dell’UCI richiama infine la necessità di superare lo stallo politico che da anni rallenta l’adozione di misure strutturali a livello europeo. «Non possiamo più permetterci decisioni parziali o dettate da interessi di breve periodo. Se vogliamo garantire un futuro alla pesca, servono indennità proporzionate alle perdite reali delle imprese, tempi certi nei pagamenti e un sistema decisionale partecipato. Solo così – conclude Serpillo – il fermo pesca potrà diventare ciò che deve essere: uno strumento di tutela del mare e, al tempo stesso, un pilastro per la competitività e la resilienza della pesca italiana.»

Stoccafisso e Baccalà: tradizione che si rinnova tra Italia e Norvegia

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Ci sono sapori che attraversano i secoli, resistono alle mode e sanno adattarsi alle nuove abitudini senza perdere autenticità. In Italia, stoccafisso e baccalà appartengono a questa categoria speciale: prodotti che hanno plasmato la cultura gastronomica e continuano a rappresentare un ponte vivo con i mari del Nord.

Secondo i dati diffusi dal Norwegian Seafood Council, l’Italia è oggi il principale mercato mondiale per queste specialità, con importazioni di prodotti lavorati a base di merluzzo che nel 2025 hanno raggiunto un valore di 275 milioni di euro, segnando una crescita dell’11% in volume rispetto all’anno precedente. Un risultato che assume ulteriore significato se si considera che, nello stesso periodo, la Norvegia ha adottato quote di pesca più restrittive per tutelare la sostenibilità degli stock ittici.

Consumi in evoluzione

Lo stoccafisso conferma una tendenza positiva soprattutto nei canali retail, dove la domanda è in crescita e la pressione promozionale si è ridotta. Un segnale che riflette la crescente percezione di qualità da parte dei consumatori. Parallelamente, il baccalà si consolida come prodotto premium: nonostante un prezzo medio superiore, rimane apprezzato per origine e tracciabilità, soprattutto nella grande distribuzione.

Accanto ai piatti iconici delle cucine regionali, trovano spazio sempre maggiore i formati ready to eat e ready to cook. Soluzioni che intercettano nuove fasce di consumatori, attratte dalla praticità ma attente a gusto e autenticità.

Eventi che raccontano un legame

Il ruolo di stoccafisso e baccalà nella cultura italiana non si misura soltanto nei numeri, ma anche nella capacità di animare comunità ed eventi. A Roma, la sesta edizione di Roma Baccalà ha trasformato la capitale in un palcoscenico dove storia, gastronomia e convivialità si sono intrecciate, offrendo al pubblico un viaggio tra tradizione e nuove interpretazioni culinarie.

In Liguria, il borgo di Badalucco ha celebrato la 53ª edizione del Festival dello Stoccafisso, con oltre nove quintali cucinati secondo la ricetta “a Baücogna” nei tradizionali paioli di rame. Una festa che è insieme memoria e futuro: mette in dialogo generazioni, rinsalda comunità e rinnova un legame storico con le isole Lofoten, da dove proviene lo stoccafisso IGP protagonista della manifestazione.

Una tradizione che guarda avanti

Tra cucine domestiche e feste popolari, stoccafisso e baccalà restano ambasciatori di un dialogo gastronomico che unisce passato e futuro. La loro storia continua a intrecciarsi con quella delle comunità che li celebrano: piatti che hanno sfamato generazioni, oggi diventano simboli di identità condivisa e di rinnovata creatività. Non più soltanto eredità di ricette antiche, ma chiavi per leggere come il cibo sappia costruire ponti tra culture lontane, trasformando ogni tavola in un luogo di incontro e di memoria viva.

 

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POWER4MED: The Mediterranean’s Green Transition

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The Mediterranean, one of the busiest maritime areas in the world, is now at the center of a crucial challenge: maritime decarbonization in the Mediterranean. Every year, millions of passengers and tons of goods cross its routes, but the environmental cost remains high. Ship emissions impact coastal communities, marine ecosystems, and economic competitiveness.

A complex yet urgent transition

International targets set climate neutrality by 2050 and a 55% emissions reduction by 2030. Within this framework, the maritime sector must speed up its energy transition. Major shipping companies are investing in low-emission technologies, but it is small operators — fishing vessels, commercial boats, and marinas — that face the greatest challenges.

This is where POWER4MED comes in — a project funded by the European Union and co-financed by the European Maritime, Fisheries and Aquaculture Fund (EMFAF). Running from November 2023 to July 2025, with a budget of €798,043 and 80% EU contribution, the initiative provides technical support, practical tools, and targeted training to help maritime SMEs shift to zero-carbon fuels and sustainable technologies.

From research to operational tools

POWER4MED followed a structured, three-phase approach: first collecting data on operators’ needs and available energy options, then conducting pilot studies on infrastructures and vessels, and finally developing six practical toolkits, transition strategies, and a digital support hub — the ECA4Med platform, accessible to anyone interested in applying tested solutions.

This approach successfully combined research, field application, and legacy-building through replicable materials for the fisheries, transport, and maritime tourism sectors.

A greener and more competitive Mediterranean

The project’s impact extends beyond the EU, involving partners from Algeria, Egypt, Turkey, and Libya. According to coordinator Mario Dogliani (SDG4MED), POWER4MED’s strength lies in its focus on practical collaboration among diverse Mediterranean countries, preparing small maritime operators for the environmental transition.

Aligned with the European Green Deal and the Fit for 55 package, POWER4MED demonstrates that even small fleets can play a decisive role in tackling climate change. EU support has been key in strengthening energy partnerships across fisheries and aquaculture, paving the way for a scalable and sustainable model throughout the Mediterranean and beyond.

A shared route toward the future

Maritime decarbonization is not only an environmental goal but also an economic strategy. Sustainable ports and fleets enhance competitiveness, attract investors, and protect coastal communities. The project’s legacy will continue through ECA4Med, the permanent digital hub supporting operators and policymakers in the years to come.

Step by step — ship by ship, port by port, community by community — the Mediterranean is building a model that blends innovation, cooperation, and sustainability.

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