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AquaFarm 2026 ritorna con numerose novità e la consueta leadership nell’innovazione del cibo sostenibile

AquaFarm 2026 ritorna con numerose novità e la consueta leadership nell’innovazione del cibo sostenibile

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AquaFarm, la mostra-convegno internazionale dedicata ad acquacoltura, pesca sostenibile, produzione di alghe e colture innovative annuncia le date della nona edizione: l’appuntamento è per il 18 e 19 febbraio alla Fiera di Pordenone.

Il 2026 segna il decennale “solare” della manifestazione, che aveva avuto una sospensione forzata dovuta alla pandemia e festeggia il traguardo con diverse novità. La sessione d’apertura sarà dedicata al ruolo dell’acquacoltura nella conservazione e gestione delle risorse acquatiche, sia marine che di terra. Si parlerà di Trattato dell’Alto Mare, che indirettamente vede nell’allevamento di pesci, come ripetutamente ricordato dalla FAO, lo strumento fondamentale per preservare il patrimonio ittico mondiale, minacciato dalla pesca industriale indiscriminata perseguita da alcune nazioni. L’acquacoltura è chiamata a fare il suo ruolo nel contrasto e nell’adattamento ai cambiamenti ambientali, anche se spesso si dimentica che ne è vittima incolpevole. AquaFarm insisterà sul tema della gestione del regime delle acque, ma anche sulle specie invasive, sulla necessità di ricollocare gli allevamenti per adattarsi al riscaldamento delle acque superficiali, sull’inquinamento antropico.

Non si parlerà solo di ambiente a Pordenone, ma anche delle tematiche più “calde” della ricerca di base e applicativa nel settore: lo sviluppo di acquacolture non “monocolture”, con l’arrivo degli allevamenti multi-trofici integrati e di quelli rigenerativi; di tecnologie emergenti, dalla robotica all’intelligenza artificiale fino all’alimentazione di precisione. Non mancherà il focus sulle microalghe, con AlgaeFarm, spazio tematico da sempre punto di forza della manifestazione, e il focus sulle colture innovative con NovelFarm, in cui tra l’altro si tornerà a parlare di coltivazione di funghi in ambiente controllato, che sta avendo un vero e proprio boom anche in Italia.

Un’estensione inedita dei temi della manifestazione sarà AquaFishery, la nuovissima area tematica dedicata alla pesca artigianale e professionale, un’iniziativa nata per valorizzare le filiere del mare e delle acque interne, promuovere l’innovazione e la crescita sostenibile del comparto ittico. AquaFishery rappresenta un punto di incontro nazionale e internazionale tra aziende, istituzioni, associazioni di categoria e operatori economici: l’obiettivo è offrire una panoramica sulle sfide e le trasformazioni del comparto, creando un dialogo costruttivo tra i vari players.

Il ricco programma di conferenze si affianca all’ampia area espositiva internazionale, in mostra tutte le migliori innovazioni e soluzioni di nuova generazione del settore. Confermata anche l’area dedicata alle Università e ai centri di ricerca con la possibilità di esporre poster scientifici, e l’Arena AquaFarm, sala “aperta” destinata alla presentazione a “ciclo continuo” dei progetti di ricerca finanziata e dei workshop autogestiti di aziende ed associazioni, e infine l’Arena show cooking dove degustare le eccellenze produttive nazionali.

Insomma, nel suo decennale, la manifestazione di Pordenone conferma il suo ruolo di leadership a livello nazionale e soprattutto internazionale.

AquaFarm è l’unica mostra-convegno internazionale in Italia sull’acquacoltura e l’industria della pesca sostenibile, organizzata da Pordenone Fiere in collaborazione con le associazioni del settore, e con Studio Comelli – Conferences&Communication, che cura i contenuti delle conferenze e l’ufficio stampa. Nata nel 2017, da sempre estende la sua attenzione a tutte le aree della produzione innovativa e sostenibile di cibo. Al suo interno tre aree tematiche che la accompagnano: NovelFarm, dedicata alle nuove colture, indoor e vertical farming, AlgaeFarm, dedicata alla coltivazione delle microalghe e degli altri microorganismi e la nuova arrivata AquaFishery, dedicata alla pesca artigianale e professionale. La partecipazione all’evento è gratuita previa registrazione online sul sito: www.aquafarmexpo.itPesceinrete è media partner dell’evento.

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Borriello: “Serve un tavolo tecnico per garantire continuità e futuro alla flotta a strascico”

Borriello: “Serve un tavolo tecnico per garantire continuità e futuro alla flotta a strascico”

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Dopo la conferma delle giornate di pesca per il 2025, Coldiretti Pesca guarda già al 2026 e chiede l’attivazione urgente di un tavolo tecnico per la pesca a strascico con il Ministero competente. L’obiettivo è arrivare al prossimo Consiglio Agrifish di dicembre con una posizione condivisa, in grado di tutelare la flotta nazionale senza compromettere gli obiettivi di sostenibilità ambientale.
La pesca a strascico, che assicura oltre il 70% del pescato nazionale, continua a muoversi in equilibrio tra vincoli europei e sostenibilità economica. Dopo anni segnati da aumenti dei costi, restrizioni e fermi temporanei, il settore attende una programmazione più stabile, capace di coniugare tutela dell’ambiente e continuità produttiva.
Ne abbiamo parlato con Daniela Borriello, responsabile nazionale di Coldiretti Pesca, che ha argomentato le priorità dell’associazione in vista del 2026.

Coldiretti Pesca ha chiesto l’attivazione urgente di un tavolo tecnico sulla pesca a strascico per arrivare al Consiglio Agrifish di dicembre con una posizione condivisa. Quali sono, a suo avviso, le priorità tecniche e politiche che l’Italia dovrebbe portare al tavolo europeo per tutelare la flotta nazionale senza compromettere gli obiettivi di sostenibilità ambientale?

La questione nasce dal Consiglio Agrifish di dicembre 2024, quando grazie alle misure di compensazione siamo riusciti ad azzerare la riduzione delle giornate di pesca per il 2025. Dovevamo subire un taglio del 38%, ma con l’intervento del Ministero e il nostro lavoro congiunto le giornate del 2025 sono rimaste uguali a quelle del 2024.
Con il nuovo anno il Ministero ha poi adottato le prime misure di compensazione e le abbiamo comunicate a marzo alla Commissione Europea, che però a luglio ne ha respinte alcune. A quel punto i nostri pescatori hanno potuto continuare a lavorare, ma si è reso necessario individuare soluzioni alternative. L’obiettivo ora è definire per il 2026 un sistema più razionale, che assegni a ciascuna imbarcazione un proprio quantitativo di giornate da gestire, evitando nuovi stop imposti dall’alto.

Negli ultimi anni il comparto ha dovuto affrontare aumenti dei costi di gestione, limitazioni normative e fermi temporanei che hanno inciso sulla redditività. In questo contesto, quanto è ancora sostenibile l’attività della flotta a strascico italiana e quali interventi ritiene prioritari per garantirne la continuità operativa?

L’arrivo di un ulteriore mese di fermo a novembre è stato sicuramente un problema. Le alternative, però, sarebbero state ancora più penalizzanti: da un lato la sospensione totale dell’attività fino a fine anno, dall’altro l’obbligo di aumentare la distanza minima di pesca da 3 a 4 miglia, che per le nostre imbarcazioni sarebbe insostenibile nei mesi invernali.
Dopo un confronto con le marinerie, l’ulteriore fermo di novembre è stato considerato il male minore: un mese di fermo biologico aggiuntivo, comunque retribuito come quello di ottobre. In parallelo, le Regioni hanno manifestato la disponibilità a sostenere ulteriormente le imprese attraverso i fondi FEAMPA. Non si tratta della soluzione definitiva, ma di un passaggio necessario in attesa di un sistema più equo e sostenibile.

La programmazione della pesca nel Mediterraneo è sempre più orientata alla sostenibilità, ma spesso con misure percepite come penalizzanti dalle marinerie. Quali strumenti di pianificazione o modelli gestionali potrebbero consentire di conciliare tutela ambientale e redditività, superando la logica dei fermi generalizzati?

Chiediamo di avviare un confronto tecnico vero, che porti a una gestione basata su criteri oggettivi, scientifici ma anche economici. La proposta di calcolare le giornate di pesca su base individuale per imbarcazione va proprio in questa direzione.
Ogni barca potrebbe gestire le proprie giornate in modo autonomo, pianificando l’attività in base alle condizioni meteo e al mercato, evitando fermi collettivi che penalizzano tutti indistintamente. È una richiesta di buon senso, che consente di coniugare sostenibilità ambientale e continuità produttiva.

La flotta italiana continua a ridursi, ma resta un presidio economico e sociale per molte comunità costiere. Quali leve — economiche, formative o normative — possono restituire fiducia agli operatori e favorire un ricambio generazionale stabile nel settore?

I nostri pescatori non vogliono vivere di sussidi, ma semplicemente poter lavorare. È questo il messaggio principale.
Le imprese hanno bisogno di regole chiare, di tempi certi e di una programmazione pluriennale che permetta loro di investire e di garantire un futuro ai giovani. Per questo chiediamo che il Ministero convochi quanto prima il tavolo tecnico, così da costruire insieme un modello gestionale per il 2026 che assicuri equilibrio tra ambiente, economia e occupazione.

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Scognamiglio: “L’Europa punisce chi vive di mare. Serve una cabina di regia stabile tra Roma e Bruxelles”

Scognamiglio: “L’Europa punisce chi vive di mare. Serve una cabina di regia stabile tra Roma e Bruxelles”

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Dopo il comunicato diffuso nei giorni scorsi, in cui ha denunciato come “l’Unione europea ancora una volta penalizzi la pesca italiana con il prolungamento del fermo temporaneo nel Tirreno”, il presidente nazionale di UNCI AgroAlimentare, Gennaro Scognamiglio, approfondisce con Pesceinrete — in questa intervista esclusiva — le conseguenze economiche e politiche del provvedimento europeo.

Nel comunicato, Scognamiglio aveva evidenziato come solo la mediazione del Governo italiano abbia evitato che il blocco si protraesse fino al nuovo anno, consentendo la ripresa dell’attività nel mese di dicembre. Una decisione che, pur limitando i danni, lascia aperto il tema del rapporto tra Bruxelles e il comparto della pesca mediterranea, sempre più esposto a politiche uniformi e penalizzanti.

Parallelamente, il 30 ottobre scorso, UNCI AgroAlimentare ha inviato un documento ufficiale al Ministero dell’Agricoltura, alle Commissioni parlamentari competenti e alle Regioni costiere, chiedendo l’attivazione di misure di compensazione socio-economica a valere sul FEAMPA.

La proposta, legata all’attuazione del Regolamento UE 2025/219, riguarda oltre 700 unità da pesca con palangaro e reti da posta, distribuite in otto regioni italiane, e stima un fabbisogno complessivo di circa 5 milioni di euro. L’obiettivo è garantire sostegno al reddito e continuità di impresa, superando la logica emergenziale e avviando una risposta strutturale che integri sostenibilità, innovazione e coesione sociale.

In questo quadro, Scognamiglio delinea la sua visione per il futuro della pesca italiana.

Presidente, il prolungamento del fermo pesca nel Tirreno rappresenta un nuovo colpo per la flotta italiana. Qual è la reale portata economica e occupazionale di questa misura e quanto può incidere sull’equilibrio già precario delle imprese cooperative del comparto?

Il prolungamento del fermo, anche se ridotto grazie alla mediazione, resta un colpo durissimo per la nostra flotta, in particolare per le imprese cooperative. Sono oltre duemila i pescatori coinvolti e le perdite dirette si stimano in decine di milioni di euro, senza contare gli effetti sull’intera filiera: lavorazione, commercializzazione, servizi portuali e logistica.
Le cooperative e gli armatori, già alle prese con margini operativi ridotti, si trovano ora a gestire gravi tensioni di liquidità, difficoltà nel coprire i costi fissi e nel mantenere gli investimenti.
L’impatto occupazionale è pesante: migliaia di marittimi e operatori a terra sono senza stipendio, con periodi di disoccupazione forzata che minacciano la tenuta delle comunità costiere. Il rischio maggiore è la fuga dei giovani, scoraggiati da un contesto instabile e da una mancanza di prospettive.
Questo genera un effetto domino sull’intero sistema: meno prodotto fresco nei mercati, ritardi nei pagamenti e crescente dipendenza da indennizzi pubblici.

Lei parla di una deriva punitiva delle politiche comunitarie nei confronti della pesca italiana. È una mancanza di conoscenza o una precisa scelta ideologica che trascura la sostenibilità sociale?

Non è solo mancanza di conoscenza – che pure esiste – ma una scelta ideologica che guarda al Mediterraneo con schemi pensati per altre aree europee.
L’Unione europea continua ad applicare modelli di conservazione astratti, spesso calibrati sull’Atlantico, che non tengono conto delle peculiarità di un mare semichiuso, multiespecie e fortemente artigianale come il nostro.
Questo approccio ignora le buone pratiche già adottate in Italia e finisce per colpire le marinerie più fragili. La sostenibilità, invece, deve essere ambientale, economica e sociale insieme.
Oggi si tende a individuare nella pesca la causa principale del degrado marino, trascurando fattori ben più rilevanti: inquinamento terrestre, sversamenti di rifiuti e cambiamento climatico.
Non si tutela l’ambiente demolendo il tessuto sociale che lo presidia. La pesca italiana, per tradizione e necessità, è custode del mare e merita di essere riconosciuta come tale.

La mediazione del governo ha ridotto la durata del blocco e consentirà di tornare in mare a dicembre. È un segnale politico di rinnovata attenzione o un episodio isolato?

È un segnale politico importante, frutto della determinazione del ministro Lollobrigida, del sottosegretario La Pietra e della dirigenza del MASAF.
Questa mediazione dimostra che una trattativa fondata su competenze tecniche e dati scientifici può incidere sulle decisioni di Bruxelles. Ma non basta: serve una cabina di regia permanente tra Roma e Bruxelles, che riunisca rappresentanti istituzionali, scientifici e del settore, con il compito di definire una linea italiana unitaria.
Solo così potremo passare dalla logica della penalità a quella della coprogrammazione, presentando soluzioni alternative basate su selettività degli attrezzi, innovazione tecnologica, piani di gestione locali e valorizzazione della ricerca nazionale.
Il settore non chiede deroghe, ma regole equilibrate, che riconoscano le differenze territoriali e garantiscano continuità di lavoro e di reddito.

Lei ha più volte indicato le vere cause del degrado marino: inquinamento, sversamenti e cambiamento climatico. In che direzione dovrebbero cambiare le politiche ambientali europee?

Le principali cause del degrado non sono nella pesca, ma nell’inquinamento di origine terrestre, negli sversamenti chimici e plastici e negli effetti del cambiamento climatico.
Per affrontarle serve una Gestione Ecosistemica Integrata, che valuti l’impatto cumulativo di tutti i fattori e non si limiti a misurare lo sforzo di pesca.
Le priorità sono tre: investire in depurazione efficiente e gestione dei rifiuti costieri e portuali, promuovere una ricerca scientifica inclusiva e multidisciplinare, e applicare con rigore il principio “chi inquina paga”, coinvolgendo industria, agricoltura e turismo.
La pesca non può continuare a essere l’unico settore a sostenere il prezzo della conservazione ambientale. Serve equilibrio tra tutela del mare e diritto al lavoro.

Quali direttrici strategiche indica per restituire competitività alle imprese ittiche italiane e dignità sociale ai lavoratori del mare?

Le direttrici sono chiare e devono essere sostenute da scelte politiche coerenti.
Innovazione e transizione 4.0: destinare in modo mirato i fondi del FEAMPA per ammodernare attrezzature, migliorare la selettività e sostenere la transizione energetica delle imbarcazioni.
Valorizzazione della filiera: puntare su tracciabilità, certificazioni e marchi di qualità, aumentando il valore aggiunto del prodotto italiano. Le De.Co., se ben coordinate con le politiche locali, possono diventare strumenti efficaci di identità e promozione territoriale.
Formazione e ricambio generazionale: rendere il mestiere del pescatore attrattivo, sicuro e stabile, con percorsi professionali aggiornati e un sistema di welfare e previdenza adeguato.
Riconoscimento sociale: attribuire al pescatore il ruolo di custode del mare, valorizzando il contributo che già offre nella raccolta dei rifiuti marini e nella tutela dell’ambiente.

La pesca non è un problema da contenere, ma una risorsa da governare con intelligenza. Come diceva Parmenide, “Ciò che è, è.”
Il mare è eterno e generativo, ma l’essenza della pesca non è solo prelievo: è equilibrio tra necessità e limite, tra nutrimento e rispetto. Negare la pesca significa negare la vita stessa delle comunità costiere. La vera sostenibilità non è l’assenza dell’uomo, ma la sapienza del suo abitare il mare.

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Nel Regno Unito cresce l’interesse per specie ittiche alternativa

Nel Regno Unito cresce l’interesse per specie ittiche alternativa

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La crescente domanda di pesce alternativo nel Regno Unito sta ridisegnando il panorama del consumo ittico. Aldi, tra i principali protagonisti di questo cambiamento, ha registrato un aumento del 50% nelle vendite di basa (Pangasius bocourti), specie d’acqua dolce originaria del Vietnam, simile al pangasio. Il dato riflette la volontà dei consumatori di esplorare nuovi sapori, preferendo varietà meno comuni ma più sostenibili e accessibili.

Anche sgombro e tonno pinna gialla mostrano un incremento a doppia cifra, mentre il merluzzo e il salmone, per anni dominatori dei banchi pescheria, perdono terreno. Con una quota del 12,9% del mercato del pesce fresco, in crescita dell’11% rispetto all’anno precedente, Aldi è oggi il terzo rivenditore del Regno Unito per volume di vendite.

Più varietà, stesso budget

Ciò che si registra è un’espansione culturale del gusto. Il consumatore britannico medio non spende di più, ma sceglie in modo più consapevole. Il basa, per esempio, offre una carne bianca delicata e un prezzo competitivo, mentre lo sgombro si afferma come opzione locale, ricca di omega-3 e con un profilo ambientale favorevole.

Aldi ha compreso la direzione del mercato, introducendo referenze “Specially Selected” che abbinano qualità e convenienza. Tra queste, anche l’aragosta, inserita come elemento d’attrazione stagionale nella gamma natalizia, ma in un contesto di offerta complessiva accessibile.

Un consumatore giovane e attento alla salute

Secondo Lumina Intelligence, la crescita del consumo di pesce, carne e pollame freschi è trainata soprattutto da acquirenti tra i 25 e i 34 anni. Giovani coppie con figli, più propense a cucinare in casa e a sperimentare. La loro scelta si orienta su alimenti proteici, leggeri e tracciabili, percepiti come parte di uno stile di vita equilibrato.

La salute resta il principale driver di acquisto, ma si afferma anche la ricerca di esperienze culinarie domestiche più varie. Il pesce diventa così il simbolo di una dieta evoluta, in cui gusto e responsabilità si incontrano.

Un segnale anche per la filiera europea

L’esperienza di Aldi in UK rappresenta un caso di studio per tutta la filiera ittica europea. Il futuro sembra dipendere dalla capacità di proporre pesce alternativo di qualità, sostenibile e facilmente riconoscibile dal consumatore.

Per i produttori italiani ed europei, questa evoluzione suggerisce l’importanza di diversificare l’offerta, puntare sulla tracciabilità e comunicare in modo chiaro l’origine e il valore nutrizionale del prodotto. L’innovazione, unita alla capacità di raccontare la qualità, può essere la chiave per intercettare la nuova generazione di consumatori consapevoli.

La crescita del basa e di altre specie meno comuni segna  la maturità del mercato. Il Regno Unito diventa il laboratorio di una tendenza che parla all’Europa: rendere il pesce più accessibile, vario e sostenibile, senza sacrificare la qualità.

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Salmone in scatola: un mercato da 7,7 miliardi di dollari entro il 2035

Salmone in scatola: un mercato da 7,7 miliardi di dollari entro il 2035

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Secondo il report “Canned Salmon Market Analysis, 2025–2035” pubblicato da Fact.MR, il mercato del salmone in scatola è destinato a raddoppiare nei prossimi dieci anni, passando da 3,7 miliardi di dollari nel 2025 a 7,7 miliardi entro il 2035. Un’espansione trainata dal mutamento delle abitudini alimentari, dalla ricerca di fonti proteiche sostenibili e dalla crescente richiesta di prodotti ittici pratici e a lunga conservazione.

Nuove abitudini, nuovi protagonisti

Il consumo di salmone in scatola cresce perché risponde a un bisogno concreto: alimenti sani, tracciabili e di facile utilizzo. I consumatori riconoscono nel salmone un alleato per la salute cardiovascolare e cerebrale, grazie al contenuto di omega-3 e proteine di alta qualità.
Il prodotto si è emancipato dall’immagine di “alternativa economica” per assumere un’identità moderna, funzionale e coerente con i ritmi di vita contemporanei.

La sostenibilità come leva competitiva

Le credenziali ambientali sono ormai un fattore decisivo per il posizionamento dei brand. Il mercato premia chi adotta politiche di pesca responsabile, certificazioni riconosciute e packaging riciclabili.
Leader globali come Thai Union Group, Trident Seafoods e Mowi ASA investono in tracciabilità digitale, riduzione dell’impronta di carbonio e diversificazione delle fonti di approvvigionamento.
Il salmone in scatola, soprattutto se proveniente da stock gestiti in modo sostenibile o da acquacoltura certificata, diventa così un simbolo di equilibrio tra industria e ambiente.

Distribuzione e consumo in evoluzione

La vendita al dettaglio resta la principale via di commercializzazione, ma la ristorazione avanza con forza. Hotel, mense e catering scelgono sempre più spesso il salmone in scatola per la sua qualità costante, la conservabilità e il buon rapporto costo-prestazione.
Parallelamente, la crescita dell’e-commerce e dei canali specializzati amplifica la portata del prodotto, rendendolo accessibile anche nei mercati emergenti. In Asia-Pacifico, in particolare, la diffusione di diete occidentalizzate e la rapida espansione della classe media stanno ridisegnando la mappa dei consumi ittici.

Un mercato globale in pieno fermento

Nord America, Europa e Asia restano i poli principali. Gli Stati Uniti e il Canada guidano la domanda, sostenuti da marchi consolidati e da un consumatore sempre più attento alla provenienza del pesce.
Nel Vecchio Continente la crescita è spinta da Regno Unito, Germania e paesi nordici, dove il consumo di prodotti ittici fa parte della cultura alimentare. La Cina, invece, si conferma il mercato con la traiettoria più dinamica, grazie alla digitalizzazione e al rafforzamento della catena del freddo.

Innovazione e valore aggiunto

La competizione si gioca sull’innovazione. Le aziende che introducono nuove formulazioni e imballaggi ecologici riescono a differenziarsi in un segmento sempre più affollato.
Un esempio è Mowi ASA, che ha lanciato nel 2025 la linea “Blue Ocean”: un salmone in scatola eco-certificato con tracciabilità integrale e confezioni riciclabili, sintesi perfetta delle tendenze che guideranno il mercato nel prossimo decennio.

Le prospettive per la filiera ittica

Il mercato del salmone in scatola rappresenta un laboratorio evolutivo per tutto il comparto ittico. Mostra come la domanda globale premi l’unione tra sostenibilità, praticità e qualità sensoriale.
Per le imprese italiane di trasformazione, si aprono opportunità di collaborazione e scambio tecnologico con i grandi player internazionali, specialmente sul fronte della ricerca, del packaging e dei nuovi canali digitali.

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