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Scognamiglio: alta adesione sciopero pescatori contro UE

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“Lo sciopero in bianco dei pescatori, andato in scena ieri in tutto il Mar Mediterraneo, ha avuto riscontri molto significativi. Numerose le imbarcazioni che hanno lanciato un segnale di protesta contro l’Unione europea e le sue politiche del settore, che penalizzano imprese e lavoratori, soprattutto italiani. Una protesta civile, con il suono delle sirene, per dire no agli ulteriori provvedimenti restrittivi che rischiano di abbattersi sulle attività in mare”. Così Gennaro Scognamiglio, presidente nazionale dell’Unci AgroAlimentare.
“Non è che una prima manifestazione – prosegue il dirigente dell’associazione del mondo cooperativistico – per impedire che un segmento importante dell’economia agroalimentare del Paese e un fiore all’occhiello della filiera della cucina italiana, proclamata patrimonio immateriale dell’umanità, venga di fatto annientata, a causa di un atteggiamento ostile dei burocrati dei Palazzi europei, non giustificato affatto dall’obiettivo dichiarato di proteggere la biodiversità e gli stock ittici. A smentire la linea di Bruxelles infatti sono i numeri della riduzione dello sforzo di pesca registrati negli ultimi anni e mesi, ma anche i sacrifici e gli sforzi compiuti sinora dalle marinerie e dagli operatori del comparto, che confermano la propria disponibilità a impegnarsi per una pesca sostenibile, amica del mare e attenta agli equilibri ecologici, ma che tenga conto anche della sostenibilità economica e occupazionale, che riguarda intere comunità costiere.
Da parte nostra continueremo con determinazione e coerenza a difendere il diritto al lavoro, in tutte le forme, ricordando il valore dello stesso, così come sancito dalla Costituzione, e la libertà dell’azione sindacale, nel rispetto dei ruoli di tutti gli attori sociali e istituzionali, ma senza cedere un millimetro nell’esercizio del nostro ruolo in piena autonomia, sempre pronti a confrontarci sulle questioni, nell’interesse delle imprese cooperative e dei lavoratori del settore e tenendo conto dell’interesse generale”.
“Esprimiamo apprezzamento – conclude Scognamiglio – per la posizione assunta dal ministro Lollobrigida durante la riunione di ieri dell’organismo Ue, Agrifish, e per il costante impegno del sottosegretario La Pietra, per creare le condizioni per una ragionevole e accettabile mediazione con la Commissione europea, che salvaguardi la pesca italiana, senza rinunciare ad una visione volta alla sostenibilità ambientale”.

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Più trasparenza per chi mangia pesce al ristorante

Più trasparenza per chi mangia pesce al ristorante

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La cucina italiana è appena stata riconosciuta patrimonio culturale immateriale UNESCO, un traguardo che celebra l’identità gastronomica del Paese e il valore delle sue filiere agroalimentari. Tra queste, l’acquacoltura gioca un ruolo sempre più centrale, non solo nella costruzione delle tradizioni culinarie regionali, ma anche nella capacità del sistema Italia di garantire qualità, sicurezza e sostenibilità.

In questo contesto si inserisce l’iniziativa congiunta di APIAssociazione Piscicoltori Italiani – e AMAAssociazione Mediterranea Acquacoltori, che rappresentano circa il 90% dei produttori di pesci e molluschi allevati. Le due organizzazioni hanno presentato al Ministro Lollobrigida una richiesta formale per rafforzare la trasparenza informativa nei servizi di ristorazione, proponendo di introdurre un obbligo chiaro e uniforme sull’indicazione dell’origine dei prodotti ittici serviti nell’Ho.Re.Ca.

La motivazione è semplice e strutturale: mentre la tracciabilità dei prodotti ittici è garantita lungo tutta la filiera fino alla ristorazione, manca ancora l’ultimo passaggio verso l’acquirente. E questo è particolarmente rilevante se si considera che oltre il 50% del consumo di pesce in Italia avviene fuori casa.

In un momento storico in cui il consumatore chiede sempre più trasparenza – e in cui le eccellenze italiane sono riconosciute patrimonio UNESCO – l’informazione sull’origine diventa un valore culturale prima ancora che commerciale.

Negli ultimi giorni anche il comparto delle carni bovine ha avanzato un’analoga richiesta al MASAF, chiedendo di inserire nella Coltivaitalia una norma sulla tracciabilità delle carni servite nella ristorazione. API e AMA ritengono necessario che lo stesso principio sia applicato ai prodotti ittici, garantendo così omogeneità normativa e pari tutela per tutte le filiere agroalimentari.

La proposta presentata al Ministro è chiara: “Gli esercenti di hotel, ristoranti, trattorie, pizzerie, bar e simili, nonché del catering, forniscano all’acquirente informazioni chiare e trasparenti sull’origine e sul metodo di produzione dei prodotti ittici somministrati.”

L’obiettivo è tutelare i cittadini, rafforzare la fiducia nelle produzioni nazionali e valorizzare il prodotto ittico allevato italiano, già oggi riconosciuto per standard di qualità e sostenibilità tra i più elevati in Europa.

API e AMA hanno ribadito al MASAF la massima disponibilità a collaborare alla definizione della norma, convinte che la trasparenza sia un elemento decisivo per sostenere un settore che contribuisce alla sicurezza alimentare del Paese e alla sua identità culturale – la stessa identità che l’UNESCO, in questi giorni, ha voluto celebrare come patrimonio dell’umanità.

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Prodotti ittici dal Vietnam: percezione e impatti sul mercato italiano

Prodotti ittici dal Vietnam: percezione e impatti sul mercato italiano

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Per chi opera negli acquisti ittici, conoscere la percezione del prodotto vietnamita in Italia non è un esercizio teorico, ma un passaggio decisivo per la gestione delle linee d’importazione. L’origine Vietnam, oggi centrale nelle forniture globali di vannamei, Pangasio e preparazioni surgelate, arriva sul mercato italiano con una reputazione ambivalente, che un buyer deve interpretare con precisione per evitare letture superficiali e per costruire politiche di acquisto coerenti con la domanda effettiva.

L’Italia rimane un Paese in cui l’origine non è un dettaglio tecnico, ma un parametro valoriale che condiziona comportamenti, preferenze e, in alcuni casi, percezioni di rischio. Comprendere come si articola questa sensibilità permette di modulare assortimenti, strategie di pricing e approcci di comunicazione con maggiore consapevolezza.

Una diffidenza radicata verso le origini extra-UE: fattore culturale, non commerciale

Il consumatore italiano manifesta da sempre una certa cautela nei confronti delle provenienze extra-UE, soprattutto quando riguarda alimenti percepiti come “delicati” dal punto di vista igienico-sanitario. Nel caso del Vietnam, questa cautela assume una dimensione culturale che precede qualsiasi valutazione oggettiva del prodotto. È una reazione legata a filtri consolidati: il timore che i sistemi di controllo non siano comparabili ai nostri, la narrazione ricorrente sulla pesca illegale in Asia, la distanza geografica interpretata come distanza normativa.

Per un buyer, questa premessa è fondamentale. L’origine Vietnam non entra nel mercato italiano in termini neutri. Porta con sé un bagaglio percettivo che può rallentare l’accettazione del prodotto se non accompagnato da un adeguato supporto informativo.

La forza del prodotto standardizzato: regolarità e convenienza come leve di accettazione

Nonostante la diffidenza iniziale, il mercato italiano ha consolidato negli anni una domanda stabile per diverse categorie provenienti dal Vietnam. I prodotti lavorati e surgelati, vengono percepiti come coerenti nel calibro, nel comportamento in cottura e nella presentazione. La standardizzazione tecnica, unita a una competitività di prezzo significativa, rappresenta un fattore di rassicurazione per una fascia ampia di consumatori.

Chi compra per la GDO o per la ristorazione commerciale sa perfettamente che stabilità e prevedibilità operativa sono spesso determinanti quanto l’origine geografica. E in questo assetto il prodotto vietnamita si inserisce con efficienza, garantendo rese e comportamenti regolari che molte alternative europee non sono in grado di offrire agli stessi livelli di prezzo.

Tracciabilità e trasparenza: i due elementi che determinano l’accettabilità reale del prodotto

La percezione del consumatore italiano cambia profondamente quando viene messo in condizione di comprendere il prodotto che acquista. La tracciabilità non è più un requisito tecnico, ma un valore comunicativo. È il ponte che consente al consumatore di superare la diffidenza e di riconoscere la legittimità dell’origine. Per questo un buyer deve ragionare con estrema attenzione sulla qualità documentale del fornitore. Le certificazioni internazionali – ASC, MSC, GLOBALG.A.P., BAP – non sono un accessorio. Sono la chiave d’entrata nel mercato italiano contemporaneo. Dove il processo è descritto in modo chiaro, la percezione migliora. Dove l’etichetta appare generica o incompleta, l’origine Vietnam torna immediatamente sotto esame.

Il ruolo degli scaffali: l’insegna come mediatore di fiducia

In Italia, la grande distribuzione svolge una funzione quasi para-istituzionale: filtra, seleziona e implicitamente certifica ciò che rende disponibile al pubblico. Quando un retailer inserisce un prodotto vietnamita sotto il proprio marchio, il consumatore interpreta quella scelta come un’assunzione di responsabilità. Di fatto, la reputazione dell’origine passa attraverso la reputazione dell’insegna.

Per un buyer questa dinamica ha un impatto concreto: un prodotto vietnamita presentato con coerenza, supporto informativo e posizionamento corretto può superare resistenze che, senza il filtro della distribuzione moderna, rimarrebbero attive.

Il tema della pesca IUU: percezioni semplificate che influenzano la domanda

Sebbene la maggior parte dei consumatori non sia in grado di spiegare nel dettaglio la normativa europea sulla pesca IUU, il tema della legalità delle catture è penetrato nella sensibilità del mercato. L’associazione, spesso generica, tra Asia e rischio di pescato non tracciato influenza anche la percezione del prodotto vietnamita, indipendentemente dalla conformità dei singoli operatori.

Da qui la necessità, per chi acquista, di lavorare con fornitori provvisti di documentazione impeccabile. La qualità amministrativa diventa una dimensione commerciale a tutti gli effetti.

Un’origine che richiede competenza, non prudenza

Il prodotto ittico vietnamita non è né un’opportunità priva di rischi né un’origine da evitare. È un’offerta che richiede competenza tecnica nella selezione del fornitore, controllo sulla tracciabilità e capacità di interpretare la sensibilità del mercato italiano. Dove la filiera è trasparente, il prodotto viene accettato e valorizzato. Dove la trasparenza manca, la distanza percepita dal consumatore diventa un ostacolo.

Per un buyer, la questione non è “se” importare dal Vietnam, ma “come” farlo in modo coerente con la domanda italiana contemporanea. Ed è in questa capacità di interpretazione che si misura oggi la professionalità degli operatori del settore.

Sabrina Benini, Direttore Commerciale e Responsabile Vendite Extracee/Europa di Magic Foods 

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Federpesca: “Il riconoscimento Unesco premia anche le nostre filiere ittiche”

Federpesca: “Il riconoscimento Unesco premia anche le nostre filiere ittiche”

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“Esprimiamo con orgoglio e soddisfazione le nostre più sentite congratulazioni al ministro Francesco Lollobrigida per il prestigioso riconoscimento conferito alla cucina italiana”.

Lo dichiara la direttrice di Federpesca Francesca Biondo, commentando l’iscrizione della cucina italiana alla Lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità dell’Unesco.

Questo risultato storico – la prima volta al mondo che una “cucina nazionale” ottiene tale titolo nella sua interezza – è la prova concreta della straordinaria qualità, ricchezza e varietà della tradizione gastronomica italiana: un mosaico di territori, di profumi, di saperi, di saper vivere, tramandati di generazione in generazione.

“In questo contesto – ha proseguito la direttrice – vogliamo sottolineare come anche il comparto del prodotto ittico italiano rappresenti un’eccellenza pienamente in linea con i valori che questa nuova denominazione Unesco intende valorizzare: professionalità degli operatori, filiere di pesca responsabili, sicurezza alimentare, qualità e salubrità del prodotto, rispetto per l’ambiente e per il lavoro, approvvigionamento equo e consapevole.”

“Il riconoscimento della cucina italiana come patrimonio immateriale rappresenta anche un’opportunità unica per rafforzare e promuovere le nostre filiere agroalimentari e ittiche, valorizzando non solo i piatti, ma le comunità, i territori, le tradizioni, le storie di famiglie e imprese che ogni giorno rendono viva la nostra cultura alimentare”, ha concluso la direttrice.

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Pesca nel Mediterraneo, il settore all’attacco dell’Unione Europea

Pesca nel Mediterraneo, il settore all’attacco dell’Unione Europea

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La proposta UE per la pesca nel Mediterraneo per il 2026 della Commissione europea riaccende la tensione tra Bruxelles e il settore. A prendere posizione sono le parti sociali europee della pesca, vale a dire Europêche, che riunisce le associazioni di armatori e imprese di pesca, la Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (ETF), che rappresenta i sindacati dei pescatori, e Cogeca, che dà voce alle cooperative del comparto. In un documento congiunto queste organizzazioni parlano di “profonda preoccupazione” e di “ferma opposizione” a un pacchetto di misure giudicato tra i più severi di sempre, con il rischio concreto di spingere fuori dal mercato un settore che da anni opera al limite della sostenibilità economica.

Nel mirino ci sono soprattutto le nuove riduzioni dello sforzo di pesca. Secondo le stime diffuse dalle stesse parti sociali, la proposta della Commissione comporterebbe tagli molto consistenti ai giorni di attività per le flotte a strascico di Francia, Spagna e Italia, con un livello di riferimento estremamente basso in assenza di misure compensative. A queste riduzioni si aggiungono nuove restrizioni per i pescherecci con palangari diretti al nasello, limiti alle catture di gamberi in acque profonde e ulteriori calendari di pesca restrittivi in aree considerate chiave, come il Mediterraneo occidentale, la Catalogna e lo Stretto di Sicilia.

Le organizzazioni ricordano che questo ulteriore giro di vite arriva dopo anni di sacrifici. La flotta mediterranea ha già ridotto lo sforzo di pesca, haaccettato piani pluriennali, chiusure spaziali e temporali, investimenti in attrezzi più selettivi. Una traiettoria che è stata riconosciuta anche dal rapporto FAO–GFCM “State of the Mediterranean and Black Sea Fisheries (2025)”, dove si parla di miglioramenti significativi e di segnali di aumento delle popolazioni ittiche per diversi stock. Proprio per questo, dal punto di vista del settore, la nuova proposta viene percepita come sproporzionata e non coerente con i progressi registrati sul piano biologico.

Il documento congiunto delle parti sociali pone alla Commissione alcune domande dirette. La prima riguarda l’esistenza di una reale valutazione socioeconomica degli impatti: quali effetti avranno queste misure su imprese, lavoratori e comunità costiere? In che modo l’Unione europea intende conciliare una ulteriore riduzione dei giorni di pesca con gli obiettivi, più volte ribaditi, di competitività, sovranità alimentare e difesa della produzione di proteine fresche e locali? E ancora: perché, sapendo che lo scenario si sarebbe ripetuto per il secondo anno consecutivo, la Commissione non ha proposto per tempo modifiche strutturali al piano, evitando di esporre nuovamente armatori e pescatori alla stessa crisi?

Un altro punto sensibile riguarda il sistema delle compensazioni. La proposta lascia la possibilità di recuperare parte delle giornate perse attraverso ulteriori misure di conservazione – come l’uso di attrezzi più selettivi o nuove chiusure mirate – ma le parti sociali avvertono che questo meccanismo non è realisticamente applicabile in tutte le regioni. In alcuni contesti le soluzioni tecniche non sono ancora pienamente disponibili, in altri i costi di adeguamento sono troppo elevati per piccole imprese familiari che già operano sui margini. La domanda, in sostanza, è cosa accadrà alle flotte che, di fatto, non potranno sfruttare queste compensazioni.

Sul terreno, le conseguenze si vedono già. I pescatori parlano di una riduzione di prospettive che equivale a un invito ad abbandonare il mestiere, accelerando un processo di desertificazione sociale in molte zone costiere. I giovani faticano a vedere nella pesca un futuro credibile, le famiglie rimettono in discussione la continuità delle imprese, interi territori rischiano di perdere quella base economica che ha garantito per decenni reddito, occupazione, servizi e una cultura legata al mare.

Le parti sociali contestano anche il fatto che la proposta, pur richiamando la gestione basata sulla scienza, non tenga conto in modo realmente “olistico” degli altri fattori che incidono sugli stock ittici. Vengono citati, tra gli altri, l’aumento della temperatura delle acque, l’acidificazione, l’impatto di altre attività umane su habitat ed ecosistemi. Nella percezione del settore, la responsabilità del riequilibrio viene scaricata quasi esclusivamente sulla pesca professionale, mentre il contributo di questi ulteriori fattori resta sullo sfondo.

Da qui la richiesta di un cambio di rotta immediato, rivolta alla Commissione e ai ministri della pesca dell’UE che tra oggi e domani negozieranno il pacchetto definitivo (11 e 12 dicembre). Le parti sociali chiedono misure che proteggano le risorse marine, ma allo stesso tempo salvaguardino il diritto delle comunità costiere a mantenere i propri mezzi di sussistenza. Invocano un quadro regolatorio che garantisca maggiore prevedibilità, una reale fattibilità a livello regionale e un trattamento equo per tutte le flotte. In termini concreti, indicano la necessità di un livello di giornate di pesca annue compatibile con la redditività delle imprese, chiedono l’eliminazione dei limiti di cattura per il gambero rosso di acque profonde e sollecitano un dialogo più strutturato e continuo con i pescatori sul territorio.

Il messaggio finale è netto: il settore sostiene di aver fatto la propria parte, modernizzando le flotte, adottando metodi più selettivi e rispettando riduzioni e divieti sempre più stringenti. Ora, sostengono Europêche, ETF e Cogeca, è il momento che l’Unione europea si faccia carico della dimensione sociale delle sue scelte, proteggendo le donne e gli uomini che garantiscono ogni giorno l’approvvigionamento di prodotti ittici e preservando le comunità che vivono di mare. Per la pesca mediterranea, quello lanciato alla vigilia del Consiglio di dicembre viene definito senza mezzi termini come un SOS.

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