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La proposta UE per la pesca nel Mediterraneo per il 2026 della Commissione europea riaccende la tensione tra Bruxelles e il settore. A prendere posizione sono le parti sociali europee della pesca, vale a dire Europêche, che riunisce le associazioni di armatori e imprese di pesca, la Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (ETF), che rappresenta i sindacati dei pescatori, e Cogeca, che dà voce alle cooperative del comparto. In un documento congiunto queste organizzazioni parlano di “profonda preoccupazione” e di “ferma opposizione” a un pacchetto di misure giudicato tra i più severi di sempre, con il rischio concreto di spingere fuori dal mercato un settore che da anni opera al limite della sostenibilità economica.
Nel mirino ci sono soprattutto le nuove riduzioni dello sforzo di pesca. Secondo le stime diffuse dalle stesse parti sociali, la proposta della Commissione comporterebbe tagli molto consistenti ai giorni di attività per le flotte a strascico di Francia, Spagna e Italia, con un livello di riferimento estremamente basso in assenza di misure compensative. A queste riduzioni si aggiungono nuove restrizioni per i pescherecci con palangari diretti al nasello, limiti alle catture di gamberi in acque profonde e ulteriori calendari di pesca restrittivi in aree considerate chiave, come il Mediterraneo occidentale, la Catalogna e lo Stretto di Sicilia.
Le organizzazioni ricordano che questo ulteriore giro di vite arriva dopo anni di sacrifici. La flotta mediterranea ha già ridotto lo sforzo di pesca, haaccettato piani pluriennali, chiusure spaziali e temporali, investimenti in attrezzi più selettivi. Una traiettoria che è stata riconosciuta anche dal rapporto FAO–GFCM “State of the Mediterranean and Black Sea Fisheries (2025)”, dove si parla di miglioramenti significativi e di segnali di aumento delle popolazioni ittiche per diversi stock. Proprio per questo, dal punto di vista del settore, la nuova proposta viene percepita come sproporzionata e non coerente con i progressi registrati sul piano biologico.

Il documento congiunto delle parti sociali pone alla Commissione alcune domande dirette. La prima riguarda l’esistenza di una reale valutazione socioeconomica degli impatti: quali effetti avranno queste misure su imprese, lavoratori e comunità costiere? In che modo l’Unione europea intende conciliare una ulteriore riduzione dei giorni di pesca con gli obiettivi, più volte ribaditi, di competitività, sovranità alimentare e difesa della produzione di proteine fresche e locali? E ancora: perché, sapendo che lo scenario si sarebbe ripetuto per il secondo anno consecutivo, la Commissione non ha proposto per tempo modifiche strutturali al piano, evitando di esporre nuovamente armatori e pescatori alla stessa crisi?
Un altro punto sensibile riguarda il sistema delle compensazioni. La proposta lascia la possibilità di recuperare parte delle giornate perse attraverso ulteriori misure di conservazione – come l’uso di attrezzi più selettivi o nuove chiusure mirate – ma le parti sociali avvertono che questo meccanismo non è realisticamente applicabile in tutte le regioni. In alcuni contesti le soluzioni tecniche non sono ancora pienamente disponibili, in altri i costi di adeguamento sono troppo elevati per piccole imprese familiari che già operano sui margini. La domanda, in sostanza, è cosa accadrà alle flotte che, di fatto, non potranno sfruttare queste compensazioni.
Sul terreno, le conseguenze si vedono già. I pescatori parlano di una riduzione di prospettive che equivale a un invito ad abbandonare il mestiere, accelerando un processo di desertificazione sociale in molte zone costiere. I giovani faticano a vedere nella pesca un futuro credibile, le famiglie rimettono in discussione la continuità delle imprese, interi territori rischiano di perdere quella base economica che ha garantito per decenni reddito, occupazione, servizi e una cultura legata al mare.
Le parti sociali contestano anche il fatto che la proposta, pur richiamando la gestione basata sulla scienza, non tenga conto in modo realmente “olistico” degli altri fattori che incidono sugli stock ittici. Vengono citati, tra gli altri, l’aumento della temperatura delle acque, l’acidificazione, l’impatto di altre attività umane su habitat ed ecosistemi. Nella percezione del settore, la responsabilità del riequilibrio viene scaricata quasi esclusivamente sulla pesca professionale, mentre il contributo di questi ulteriori fattori resta sullo sfondo.
Da qui la richiesta di un cambio di rotta immediato, rivolta alla Commissione e ai ministri della pesca dell’UE che tra oggi e domani negozieranno il pacchetto definitivo (11 e 12 dicembre). Le parti sociali chiedono misure che proteggano le risorse marine, ma allo stesso tempo salvaguardino il diritto delle comunità costiere a mantenere i propri mezzi di sussistenza. Invocano un quadro regolatorio che garantisca maggiore prevedibilità, una reale fattibilità a livello regionale e un trattamento equo per tutte le flotte. In termini concreti, indicano la necessità di un livello di giornate di pesca annue compatibile con la redditività delle imprese, chiedono l’eliminazione dei limiti di cattura per il gambero rosso di acque profonde e sollecitano un dialogo più strutturato e continuo con i pescatori sul territorio.
Il messaggio finale è netto: il settore sostiene di aver fatto la propria parte, modernizzando le flotte, adottando metodi più selettivi e rispettando riduzioni e divieti sempre più stringenti. Ora, sostengono Europêche, ETF e Cogeca, è il momento che l’Unione europea si faccia carico della dimensione sociale delle sue scelte, proteggendo le donne e gli uomini che garantiscono ogni giorno l’approvvigionamento di prodotti ittici e preservando le comunità che vivono di mare. Per la pesca mediterranea, quello lanciato alla vigilia del Consiglio di dicembre viene definito senza mezzi termini come un SOS.
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