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Italy Calls for a 2026 Moratorium on EU Mediterranean Measures

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The request for a 2026 moratorium on new EU rules for the Mediterranean has become Italy’s central political message. The statement made by Minister Francesco Lollobrigida at the meeting of EU Agriculture and Fisheries Ministers on 17 November marked a turning point. His expression was sharp: the operation may have succeeded, but the patient — Italian fisheries — is dead.

The minister presented a scenario with no room for misinterpretation. Italian fishing communities continue to lose vessels and labour, and the generational turnover has stalled. Despite years of restrictions, several stocks have not shown the expected recovery. Yet for Italy, the crisis is not only environmental. It is also economic and competitive. Imported fish produced under looser rules enters Europe at lower prices and displaces domestic products. Auction values fall, and many vessel owners choose scrapping over unsustainable operations.

Italy’s Call for a Moratorium in 2026

Before his European colleagues, Lollobrigida asked for a pause in new measures for the Mediterranean in 2026. The fishing effort, especially in trawling, has reached levels that jeopardize economic viability. The minister described this request as a red line that Italy will defend at every negotiation step.

The European Commission presented two regulatory proposals that will guide the next phase of discussions. One concerns Atlantic and North Sea fishing opportunities from 2026 to 2028. The second introduces new measures for the Mediterranean and Black Sea in 2026. These proposals are based on ICES scientific advice and EU multiannual plans. However, Lollobrigida questioned whether Brussels’ timelines reflect Mediterranean realities or risk emptying marinerie before stocks recover.

The issue is not only Italian. Several ministers acknowledged that the Mediterranean has unique structural fragilities, not comparable to the Atlantic or North Sea. Danish minister Jacob Jensen, chairing the session, stressed the need for a balanced political agreement by December. That balance must integrate biological sustainability with the resilience of coastal economies built on fishing traditions.

The Three Pillars of the CFP

Lollobrigida recalled a principle often overlooked in current EU discussions. The Common Fisheries Policy stands on three pillars: resource conservation, safeguarding maritime labour and supporting the sector’s economy. When a single pillar carries the entire weight, the system becomes unstable.

The decisive moment will come in December, when new TACs and 2026 measures are adopted. Only then will it be clear whether Italy’s message has influenced the negotiation or whether the Mediterranean will face another year of restrictions without adequate support.

The coming months will define the balance between sustainability, competitiveness and social resilience in Mediterranean fisheries. The outcome will directly impact the entire supply chain, from primary production to processing and distribution.

Pesceinrete will continue to closely monitor the European negotiations, providing analysis and updates for all operators across the supply chain.

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Forum Retail 2025, i trend che influenzano anche il mercato ittico

Forum Retail 2025, i trend che influenzano anche il mercato ittico

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Milano ha ospitato la venticinquesima edizione del Forum Retail, uno degli appuntamenti che meglio raccontano come stanno cambiando i comportamenti d’acquisto e le logiche della distribuzione moderna. Pur trattandosi di un evento trasversale, molti dei trend emersi finiscono per coinvolgere anche il settore ittico, soprattutto nelle aree più vicine alla GDO, alla trasformazione e alla logistica del freddo. Nel retail, infatti, nulla accade in compartimenti stagni: ciò che riguarda consumo, tecnologia e gestione dei dati ricade inevitabilmente su tutte le categorie alimentari.

Uno dei segnali più evidenti arriva dall’analisi sulle interazioni tra clienti e aziende. Secondo le ricerche presentate sul palco, ogni mese in Italia si generano decine di milioni di richieste ai servizi clienti. È un numero impressionante, che dice molto sull’evoluzione delle abitudini di acquisto. Le persone vogliono sapere di più, vogliono risposte rapide e cercano conferme sulla qualità dei prodotti. Nel caso dell’ittico, questo bisogno è ancora più marcato: provenienza, certificazioni, freschezza, allergeni e modalità di trasformazione richiedono una comunicazione affidabile lungo tutto il percorso d’acquisto. Quando un consumatore non trova informazioni chiare, tende a cambiare prodotto. Quando invece si sente rassicurato, la fidelizzazione diventa molto più probabile.

Il Forum ha messo in luce anche un altro elemento chiave: la trasformazione dei punti vendita. Nei negozi che integrano strumenti avanzati di analisi dei dati o sistemi evoluti di gestione dello spazio espositivo si registra un aumento delle vendite e una percezione più positiva dell’esperienza d’acquisto. Non si parla solo di tecnologia fine a se stessa, ma della capacità di comprendere meglio ciò che le persone cercano. Per chi lavora con prodotti freschi o trasformati a base di pesce, questo significa poter ottimizzare gli assortimenti in modo più preciso, ridurre la merce invenduta e garantire una presenza più coerente delle referenze di maggior interesse.

Molto spazio è stato dedicato anche al Retail Media, un tema che sta rapidamente cambiando il modo in cui i brand si presentano all’interno dei negozi. Le informazioni visualizzate vicino ai prodotti, le campagne basate sui dati di acquisto e le comunicazioni personalizzate raggiungono il cliente proprio nel momento della scelta. Per le aziende ittiche, che spesso devono raccontare valori come sostenibilità, tracciabilità e qualità delle lavorazioni, queste nuove forme di comunicazione possono diventare un alleato importante. Rendono il prodotto più riconoscibile, soprattutto in categorie affollate come conserve, surgelati e ready to eat.

Un altro capitolo centrale dell’evento ha riguardato l’intelligenza artificiale. La riflessione proposta dagli esperti ha insistito sulla necessità di adottare un’AI trasparente, comprensibile e controllabile. Si tratta di un principio fondamentale per settori come quello ittico, dove la gestione della catena del freddo, la previsione della domanda o il monitoraggio della qualità richiedono strumenti precisi e affidabili. Se l’AI diventa una “scatola nera”, il rischio è perdere fiducia e generare incertezza. Se invece viene applicata con criteri chiari, può migliorare efficienza, sicurezza e pianificazione, senza sostituire la professionalità delle persone.

Interessanti anche i dati sulle abitudini di spesa nel lusso, presentati da Mastercard. Pur parlando di un segmento diverso, rivelano una dinamica utile da osservare: l’esperienza fisica del punto vendita pesa ancora più dell’online. Questo aspetto è molto vero anche nel caso dei prodotti ittici. Chi acquista pesce fresco o trasformato tende a valutare la presentazione, la pulizia del banco, la relazione con il personale e la percezione immediata della qualità. L’online cresce, ma il negozio rimane il centro della relazione, rafforzato però da nuovi strumenti digitali che migliorano servizio, informazione e fidelizzazione.

Nella sezione dedicata alla GDO, il Forum ha ricordato che, in un mercato in continuo movimento, le aziende che riescono a prendere decisioni rapide e coerenti hanno un vantaggio competitivo. È una logica che vale anche per i reparti pescheria, dove la velocità operativa, la scelta dei fornitori e la gestione dei flussi possono cambiare il risultato di un’intera settimana. La tecnologia aiuta, ma resta decisiva la qualità delle competenze interne e la capacità di leggere con attenzione ciò che accade nel punto vendita.

L’edizione 2025 del Forum Retail lascia quindi un messaggio chiaro: i trend che stanno ridisegnando il retail italiano riguardano anche la filiera dei prodotti del mare. Non perché l’ittico sia al centro della manifestazione, ma perché fa parte di un ecosistema commerciale sempre più legato ai dati, alla trasparenza e all’esperienza d’acquisto. Chi saprà intercettare questi segnali potrà trasformarli in vantaggi competitivi concreti, in un mercato in cui informazione, qualità e innovazione sono diventati elementi imprescindibili.

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Cisint: “La PCP va riformata, ora la Commissione non ha più scuse”

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All’interno del Consiglio Agrifish, tenutosi a Bruxelles lunedí 17 novembre, Italia, Belgio, Croazia, Estonia, Finlandia, Francia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo e Spagna, hanno colto l’occasione per chiedere la revisione della politica comune della pesca.

Ne dá notizia l’europarlamentare Anna Cisint (Lega), che evidenzia come i Ministri di ben 13 Paesi hanno fatto emergere una serie di carenze che compromettono gli obiettivi, fissati per la Politica Comune della Pesca.

Le cause principali derivano da un quadro normativo frammentato e incompleto, che ha portato ad una crescente incertezza giuridica e all’aumento degli oneri amministrativi per le parti interessate. Tra le criticitá sollevate, l’invecchiamento della flotta peschereccia dell’UE, costituita da navi con un’età media delle navi superiore ai 30 anni e ancora fortemente dipendenti dai combustibili fossili, il mancato ricambio generazionale e la fatica ad attrarre le nuove generazioni e le donne.

“Finalmente ci stiamo muovendo nella giusta direzione: sono anni che i pescatori europei subiscono le scelte di una PCP priva di lungimiranza, adesso non ci sono piú scuse, é ora che la Commissione europea si attivi di conseguenza” afferma l’On. Cisint, che fa presente come piú del 70 % dei prodotti ittici consumati in UE viene importato da paesi terzi, mentre infrastrutture marittime, come cantieri navali e centri di formazione, stanno chiudendo in tutta Europa, minacciando migliaia di posti di lavoro.

“La Politica Comune della Pesca deve oggi garantire la sopravvivenza e il benessere delle comunità costiere, eliminando soprattutto difficoltà, oneri e vincoli, che attanagliano i nostri pescatori. Una riforma quanto mai necessaria, per ridare sostenibilità socioeconomica al settore della pesca, e a tutte quelle economie locali ad essa collegate”.

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Lollobrigida al Consiglio Agrifish: il Mediterraneo ha bisogno di una tregua

Lollobrigida al Consiglio Agrifish: il Mediterraneo ha bisogno di una tregua

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Nella riunione dei ministri europei dell’Agricoltura e della Pesca dello scorso 17 novembre, l’intervento del Ministro Francesco Lollobrigida ha interrotto per un momento il flusso ordinario dei negoziati. Non un semplice riepilogo tecnico, ma un richiamo diretto alle conseguenze reali delle politiche europee sul Mediterraneo e, soprattutto, su chi in mare ci vive ogni giorno. È stato lui stesso a usare un’espressione piuttosto cruda: l’operazione può anche dirsi riuscita, ma il paziente — cioè la pesca italiana — è morto.

Il quadro che ha portato a Bruxelles non lascia grandi margini di interpretazione. Le marinerie continuano a ridursi, i giovani non entrano più in banchina e molti stock, nonostante anni di restrizioni, non mostrano i miglioramenti che ci si aspettava. Il nodo però, per l’Italia, non è soltanto biologico. È economico, sociale, competitivo. I prodotti che arrivano da fuori Europa, spesso privi degli stessi obblighi e controlli, sono ormai in grado di spiazzare il mercato interno. Il pesce importato, venduto a prezzi inferiori perché prodotto con regole meno rigide, mette fuori mercato le nostre imprese. Il risultato è evidente: prezzi più bassi nelle aste e sempre più armatori che preferiscono rottamare la barca piuttosto che continuare a perdere.

Per questo, davanti ai colleghi europei, Lollobrigida ha chiesto di tirare il freno almeno per il 2026. Una moratoria sulle nuove misure nel Mediterraneo, giudicate ormai insostenibili per uno sforzo di pesca che, soprattutto per lo strascico, è arrivato a livelli da cui è difficile mantenere un’impresa in piedi. È una linea rossa, come l’ha definita lui stesso, che l’Italia porterà fino all’ultimo tavolo di negoziazione.

Intanto la Commissione ha presentato due regolamenti che accompagneranno le discussioni dei prossimi mesi: il primo riguarda le possibilità di pesca per Atlantico e Mare del Nord dal 2026 al 2028, il secondo le nuove misure per il Mediterraneo e il Mar Nero nel 2026. Sono esercizi necessari, basati sui pareri del CIEM e sulla tabella di marcia dei piani pluriennali dell’UE. Ma il tema, nelle parole del ministro, è capire se le scadenze fissate a Bruxelles tengano davvero conto delle condizioni locali o se rischino, al contrario, di svuotare intere marinerie prima ancora di aver riportato gli stock su un percorso sostenibile.

La questione non riguarda solo l’Italia. Molti ministri hanno riconosciuto che il Mediterraneo vive una fragilità unica, difficile da confrontare con Atlantico o Mare del Nord. Il danese Jacob Jensen, che ha presieduto la sessione, ha parlato della necessità di un accordo politico equilibrato da raggiungere entro dicembre. Un equilibrio che, questa volta, dovrà tenere insieme tutto: la biologia, certo, ma anche la sopravvivenza delle comunità costiere che di mare vivono da generazioni.

Lollobrigida ha insistito su un punto che è passato forse in silenzio nelle ultime discussioni europee: la Politica Comune della Pesca non è nata solo per preservare gli stock. Aveva — e deve continuare ad avere — tre gambe. La tutela delle risorse, la difesa del lavoro marittimo e il sostegno all’economia del settore. Se una sola di queste gambe regge tutto il peso, il tavolo inevitabilmente si inclina.

La vera partita si giocherà a dicembre, quando si decideranno i nuovi TAC e le misure finali per il 2026. E sarà lì che si capirà se il messaggio lanciato dall’Italia avrà trovato ascolto o se il Mediterraneo dovrà affrontare un ulteriore anno di restrizioni senza aver ricevuto il necessario supporto per reggerle.

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Acidificazione dell’oceano nel Golfo di Biscaglia: due decenni di dati confermano un trend in crescita

Acidificazione dell’oceano nel Golfo di Biscaglia: due decenni di dati confermano un trend in crescita

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Il mare che bagna la costa basca sta cambiando in silenzio. Un’analisi che comprende oltre 21.700 misurazioni raccolte tra il 2002 e il 2022 mostra che il pH dell’acqua marina è in costante diminuzione: un segnale evidente del processo di acidificazione degli oceani causato dall’aumento della concentrazione di anidride carbonica in atmosfera.

Secondo lo studio, pubblicato sulla rivista Continental Shelf Research, il pH delle acque comprese tra la superficie e i 100 metri di profondità sta diminuendo tra 0,022 e 0,041 unità per decennio. “Se questo andamento dovesse proseguire allo stesso ritmo, gli impatti sulla salute degli ecosistemi marini potrebbero essere significativi”, spiega Ernesto Villarino, ricercatore AZTI e autore principale dello studio.

La ricerca, condotta da AZTI con il supporto della Fondazione Naturklima nell’ambito dell’Osservatorio per il Cambiamento Climatico Marino di Gipuzkoa, in collaborazione con l’Istituto di Scienze Marine dell’Andalusia (ICMAN-CSIC), analizza la più lunga serie storica di monitoraggio del pH sulla costa basca, con dati forniti dall’Agenzia dei Bacini Idrografici Baschi (URA). Questo monitoraggio di lungo periodo conferma che anche il Golfo di Biscaglia è interessato dal fenomeno dell’acidificazione degli oceani, sottolineando l’importanza di continuare con misure di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici.

acidificazione del Golfo di BiscagliaIl mare assorbe CO₂… ma a caro prezzo

Il pH medio dell’acqua oceanica negli strati superficiali è di circa 8,1, un valore leggermente basico (superiore a 7). Tuttavia, negli ultimi decenni è stata osservata una lenta ma costante diminuzione, un processo noto come acidificazione degli oceani.

Questa dinamica è una conseguenza diretta della capacità del mare di assorbire CO₂: un processo che contribuisce a rallentare il riscaldamento globale, ma che altera l’equilibrio chimico delle acque. Nel Mar Cantabrico, questo cambiamento può colpire specie che dipendono dal carbonato di calcio per costruire le proprie strutture, come i gusci dei bivalvi o gli esoscheletri dei coralli di acque fredde e di alcuni crostacei. Se la tendenza dovesse intensificarsi, potrebbe interessare anche attività economiche come l’acquacoltura.

I risultati mostrano inoltre che i tassi di acidificazione nel Golfo di Biscaglia sono lievemente superiori alla media globale e aumentano con la profondità. Le tre stazioni di monitoraggio analizzate presentano valori molto simili, indicando un pattern omogeneo lungo la costa. Un elemento che preoccupa il team di ricerca, che invita a rafforzare monitoraggi e studi per comprendere meglio gli impatti locali di questo processo globale.

Se il ritmo attuale dovesse mantenersi, non sono previsti effetti drastici nei prossimi decenni. Tuttavia, la combinazione con altri fattori legati al cambiamento climatico — tra cui aumento della temperatura marina, riduzione dell’ossigeno, innalzamento del livello del mare ed eventi meteorologici estremi — potrebbe anticipare o amplificare tali conseguenze.

Un indicatore chiave del cambiamento climatico

Il monitoraggio del pH rientra tra le Essential Ocean Variables definite dal Global Ocean Observing System (GOOS). I risultati di questo studio confermano che il Golfo di Biscaglia non è immune dall’acidificazione globale degli oceani e rafforzano la necessità di mantenere reti di osservazione a lungo termine.

Gli scienziati avvertono che soltanto una riduzione sostenuta delle emissioni di CO₂ potrà arrestare l’avanzare di questo processo, che insieme al riscaldamento degli oceani, alla diminuzione dell’ossigeno e all’innalzamento dei mari sta alterando il delicato equilibrio del Mar Cantabrico.

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