Categoria: Pesce In Rete Pagina 2 di 1078

Mediterranean Red Mullet: a humble fish that tells the story of the sea

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It is one of the rare species that manages to be both a popular staple and a refined ingredient for haute cuisine. For centuries, red mullet has appeared in coastal markets, fried in taverns or elevated in fine dining dishes. Its reputation does not depend on size or high commercial value compared to more prized species, but on the perfect mix of delicate flesh, quick cooking, and unmistakable flavor. It is one of those products that carry the taste of the sea even to those who only know it from the plate.

Nutritional values: light yet substantial

From a nutritional standpoint, red mullet belongs to the category of lean fish, with about 123 kcal per 100 g (raw) and a high protein content. It is a good source of phosphorus, selenium, zinc, and vitamin B12. While it is not marketed as a trendy “superfood,” red mullet is a balanced raw material, perfectly suited to the Mediterranean diet as well as modern menus.

Two species, two stories

The most common species are Mullus barbatus, known as the “striped red mullet” or “surmullet,” and Mullus surmuletus, called the “rock red mullet.” The first inhabits sandy and muddy bottoms, often beyond 200 meters depth; the second prefers mixed or rocky seabeds closer to the coast and is recognizable by its yellow stripes along the flanks. At the table, differences are subtle, but markets often value the “rock mullet” more, thanks to its stronger aroma and evocative name.

From frying to fish stew: culinary versatility

The unifying feature of red mullet recipes is speed. This fish does not tolerate long cooking or complex preparations. Fried whole, oven-baked with breadcrumbs and herbs, or simmered in tomato and caper stew, it always preserves its bold character. Across Italy, it plays a central role in traditional recipes: Tuscan cacciucco, Sicilian zuppa di pesce alla trapanese, and mixed Adriatic fry-ups. Chefs choose it not for luxury, but for authentic Mediterranean flavor.

Anatomy and feeding behavior

Red mullet has a slim body, reddish-pink color, pale belly, and two barbels under the chin. These sensory barbels make it unique: the fish uses them to probe the seabed, detecting textures and movements invisible to the human eye, feeding on crustaceans, marine worms, and small mollusks. This benthic diet directly explains the intensity of its flavor.

Distribution and ecological role

Red mullet is found throughout the Mediterranean and the eastern Atlantic. Mullus barbatus lives down to 300 meters, while Mullus surmuletus stays closer to the coast. Both play an essential ecological role: by stirring sediment, they recycle nutrients and also serve as prey for larger predatory fish. In short, they are key players in the ecological balance linking seabed, coastal areas, and the marine food chain.

Reproduction and fishing rules

Red mullet’s reproductive cycle occurs between spring and summer, with peaks between May and July for M. surmuletus. Eggs and larvae are pelagic, carried by marine currents. In commercial fishing, the key rule is the minimum conservation size: 11 cm total length in the Mediterranean, as set by Regulation (EC) 1967/2006. Far from being a bureaucratic detail, this rule ensures juveniles are not harvested too early, protecting both the resource and the reputation of the supply chain.

More than an ingredient: a piece of Mediterranean culture

The Mediterranean red mullet is more than just a fish. It is part of cultural identity, an ecological actor, and a symbol of popular cuisine that has stood the test of time. Knowing its biology, nutritional values, and fishing regulations allows us to truly appreciate it — turning a “humble” fish into a story of sea, cuisine, and sustainability.

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Seafood Expo Global 2026: debutta a Barcellona il padiglione dedicato all’innovazione in acquacoltura

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Debutterà dal 21 al 23 aprile 2026 presso la Fira de Barcelona il nuovo padiglione innovazione acquacoltura Seafood Expo Global. L’annuncio, diffuso ieri da Diversified Communications, segue un’edizione del Seafood Expo Global/Seafood Processing Global che ha registrato oltre 35.000 visitatori, consolidando la fiera come il principale appuntamento mondiale per il settore ittico.

Il padiglione accoglierà aziende e startup attive nelle soluzioni tecnologiche per la gestione degli allevamenti, software di monitoraggio, applicazioni di intelligenza artificiale, mangimi sostenibili e sistemi per la salute e il benessere dei pesci. L’iniziativa includerà anche innovazioni su genetica, trattamento delle acque e alimentazione intelligente, configurandosi come un hub internazionale per connettere fornitori, investitori e decisori politici con i protagonisti della filiera.

Oltre all’area espositiva, è previsto un incontro sull’acquacoltura, con conferenze condotte da esperti internazionali sui progressi che stanno ridisegnando il settore. L’obiettivo è favorire il trasferimento tecnologico e creare partnership strategiche orientate a sostenibilità e sicurezza alimentare.

Il contesto rafforza la centralità dell’acquacoltura: secondo la FAO, oltre il 50 % del pesce destinato al consumo umano proviene oggi da allevamenti, una quota destinata a crescere nei prossimi anni (FAO – SOFIA 2024). Per le imprese europee e italiane, l’evento rappresenta un’occasione concreta per mostrare soluzioni innovative e consolidare la propria competitività sui mercati globali.

Parallelamente, l’organizzazione si dice pronta per il Seafood Expo Asia, in programma dal 10 al 12 settembre 2025 al Sands Expo and Convention Centre di Singapore, con focus specifico sul mercato asiatico.

Il debutto di un padiglione interamente dedicato all’acquacoltura a Seafood Expo Global 2026 non è un semplice ampliamento espositivo, ma il segnale concreto che questo comparto ha conquistato un peso strategico a livello mondiale. Se la fiera più importante del settore ittico “apre” con decisione all’innovazione in acquacoltura, significa che gli allevamenti non sono più una nicchia, bensì uno dei pilastri destinati a guidare il futuro della produzione alimentare e della sostenibilità globale.

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Triglia del Mediterraneo: un pesce umile che racconta il mare

Triglia del Mediterraneo: un pesce umile che racconta il mare

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La triglia del Mediterraneo ha il raro pregio di essere, allo stesso tempo, pesce popolare e ingrediente da grandi tavole. Da secoli appare nei mercati costieri, servita fritta nelle osterie o celebrata nei piatti d’autore. La sua fama non dipende da dimensioni o da valore commerciale comparabile a specie più pregiate, ma dalla combinazione di carni delicate, cotture rapide e riconoscibilità immediata. È uno di quei prodotti che raccontano il mare anche a chi lo frequenta solo dal piatto.

Valori nutrizionali: leggerezza e sostanza

Dal punto di vista nutrizionale, la triglia si colloca nella fascia dei pesci magri, con circa 123 kcal ogni 100 g a crudo e un contenuto proteico elevato. Il fosforo e il selenio sono minerali presenti in buona quantità, insieme a zinco e vitamina B12. Non si tratta di un pesce “funzionale” da etichettare come superfood, ma di una materia prima equilibrata, adatta tanto a una dieta mediterranea quanto a menu più moderni. (

Due specie, due storie

In realtà le triglie più comuni sono due: la Mullus barbatus, detta “triglia di fango”, e la Mullus surmuletus, la “triglia di scoglio”. La prima abita sabbie e fanghi a profondità anche superiori ai 200 metri; la seconda preferisce fondi misti o rocciosi vicino costa e si distingue per le striature gialle sui fianchi. A tavola le differenze sono sottili, ma i mercati spesso attribuiscono alla “triglia di scoglio” un valore aggiunto, legato a un aroma più intenso e alla suggestione del nome.

Dalla frittura al guazzetto: la versatilità in cucina

Se c’è un punto in comune tra tutte le ricette, è la rapidità. La triglia non tollera lunghe attese né preparazioni complesse. Fritta intera, al forno con pangrattato ed erbe o in guazzetto con pomodoro e capperi, conserva sempre un carattere deciso. In molte regioni italiane è protagonista di piatti tradizionali: nel cacciucco toscano, nella zuppa di pesce alla trapanese, nelle fritture miste delle coste adriatiche. Chef e ristoratori la scelgono per menu che cercano autenticità mediterranea più che lusso.

Anatomia e comportamento

Il corpo è snello, rosso-rosato, con ventre chiaro e due barbigli sotto il mento. Sono proprio questi barbigli a renderla speciale: la triglia li utilizza per “frugare” nel fondale, percependo movimenti e texture invisibili all’occhio umano. In questo modo cattura crostacei, vermi marini e piccoli molluschi. Non è soltanto una curiosità biologica: è ciò che lega il suo sapore alla vita bentonica del Mediterraneo.

Distribuzione e ruolo ecologico

Le triglie vivono in tutto il Mediterraneo e nell’Atlantico orientale. La “triglia di fango” si trova fino a 300 metri di profondità, mentre la “triglia di scoglio” è più costiera. Entrambe svolgono un ruolo ecologico importante: smuovendo il sedimento, rimescolano nutrienti e diventano a loro volta prede per pesci predatori più grandi. Sono, in altre parole, ingranaggi di equilibrio ecologico che collegano fondali, costa e catena alimentare.

Riproduzione e regole di pesca

Il ciclo riproduttivo cade tra primavera ed estate, con picchi documentati da maggio a luglio per M. surmuletus. Le uova e le larve sono pelagiche, affidate alle correnti marine. In pesca commerciale, l’elemento da ricordare è la misura minima di conservazione: 11 cm di lunghezza totale nel Mediterraneo, come stabilito dal Regolamento (CE) 1967/2006. Questo parametro non è un tecnicismo burocratico, ma la base per garantire che i giovanili non vengano sottratti prematuramente al mare, compromettendo sia la risorsa sia la reputazione della filiera.

La triglia non è solo un ingrediente: è un pezzo di cultura mediterranea, un attore ecologico e un simbolo di cucina popolare che resiste nel tempo. Conoscere le sue caratteristiche — dalla biologia alle regole di pesca — permette di apprezzarla davvero, trasformando un pesce “umile” in un racconto di mare, tavola e sostenibilità.

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Dal banco alla dogana: come l’AI cambia l’ittico

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L’integrazione della GenAI  (Intelligenza artificiale generativa) nella filiera ittica non è più un esercizio di stile, ma una scelta operativa che impatta customer experience, qualità e compliance. I numeri aiutano a leggere la tendenza: secondo l’ultima survey McKinsey (03/2025), il 71% delle organizzazioni dichiara un uso regolare della GenAI, in crescita dal 65% (05/2024).

Dal hype all’operatività

Nel settore ittico la GenAI funziona quando è incastonata nei processi quotidiani. Un assistente può rispondere in tempo reale su origine, area FAO, metodo di produzione e allergeni solo se è collegato alle anagrafiche prodotto, ai lotti e ai certificati. Questo riduce tempi di risposta e migliora la qualità del servizio, a patto di avere responsabilità editoriale sui contenuti e una solida governance dei dati.

Dati e tracciabilità: la base per l’AI

Senza tracciabilità interoperabile la GenAI resta un silos. Gli standard del Global Dialogue on Seafood Traceability (GDST) definiscono i dati minimi e i formati tecnici per scambiare informazioni lungo la catena, per pesca e acquacoltura. Adottarli consente di attingere a eventi di cattura, trasformazione e trasporto in modo affidabile, abilitando Q&A tecnici e verifiche di conformità immediate.

Compliance: AI Act e controlli sulle importazioni

Il quadro regolatorio europeo è definito. L’AI Act è entrato in vigore il 01/08/2024; è prevista la piena applicazione il 02/08/2026, con eccezioni temporali: divieti e obblighi di alfabetizzazione dal 02/02/2025, governance e obblighi per i modelli GPAI dal 02/08/2025, e regole per i sistemi ad alto rischio integrati in prodotti regolamentati con periodo di transizione fino al 02/08/2027. Le imprese ittiche che usano chatbot B2B, strumenti di QA o formazione automatizzata devono pianificare valutazioni del rischio, trasparenza e data governance.

Sul fronte import, dal 09/01/2026 l’uso della piattaforma CATCH diventerà obbligatorio per presentare i certificati di cattura dei prodotti importati nell’UE. Integrare la GenAI con le evidenze richieste da CATCH aiuta a verificare documenti, allineare dati di lotto e segnalare incongruenze prima che diventino blocchi doganali.

Esperienza del cliente: dal banco ai canali digitali

Nei punti vendita e nell’e-commerce, la GenAI può sostenere i team su domande ripetitive, mentre le persone gestiscono i casi complessi e la relazione. Script aggiornati, suggerimenti di preparazione, pairing e gestione dei resi possono essere generati a partire da contenuti certificati e policy interne. La formazione “on-the-job” migliora se le trascrizioni di briefing e reclami vengono sintetizzate e trasformate in micro-moduli contestuali.

ROI: misurare ciò che conta

L’indicatore non è quanta AI si usa, ma quanto spreco si evita e quante risposte corrette si danno al primo contatto. KPI robusti includono tempi medi di gestione, tasso di “first-time-right” nelle informazioni regolatorie, riduzione degli scarti per errori di etichettatura e puntualità documentale per le importazioni. I progetti che tengono insieme standard di tracciabilità, integrazione applicativa e responsabilità editoriale dei contenuti sono quelli che scalano.

La GenAI diventa leva concreta nell’ittico quando poggia su dati tracciabili (GDST), rispetta regole europee (AI Act) e si integra con CATCH. Così si riducono attriti operativi, si alza la qualità del servizio e si proteggono margini e reputazione lungo la catena.

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Eolico offshore: più di 200 sostanze chimiche rilasciate nell’acqua

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Nel dibattito sulla transizione energetica, le emissioni chimiche dei parchi eolici offshore sono un tema nuovo ma concreto. Una revisione peer-reviewed uscita su Marine Pollution Bulletin ad aprile 2025, rilanciata da ICES il 12 agosto 2025, spiega cosa sappiamo oggi e cosa manca ancora per una valutazione corretta.

Che cosa significa, in pratica. Le turbine e le strutture in mare usano rivestimenti contro la corrosione, oli e lubrificanti, fluidi di raffreddamento e sistemi antincendio. Nel tempo, piccole quantità di queste sostanze possono entrare in acqua. Uno studio coordinato dall’ILVO ha raccolto e ordinato la letteratura disponibile: ad oggi sono state mappate 228 sostanze con numero CAS e proprietà note.

I numeri chiave aiutano a capire la scala. Sessantadue di queste sostanze compaiono in liste europee di priorità, quindi richiedono attenzione. La maggior parte appartiene alla famiglia dei composti organici, seguita dagli inorganici. Le fonti principali sono i sistemi anticorrosione; a seguire ci sono oli e lubrificanti. Non è allarmismo: in condizioni normali i rilasci possono essere contenuti, ma la crescita degli impianti impone di guardare agli effetti cumulativi nel tempo.

Perché questo riguarda la filiera ittica. La qualità dell’acqua e dei sedimenti è la base di allevamenti sani, trasformazione affidabile e reputazione di prodotto. Per questo la revisione propone un approccio semplice: misurare prima dei cantieri, poi durante l’esercizio, usando protocolli standard e modellando come le sostanze si muovono e si accumulano. È il modo più diretto per evitare sorprese e proteggere certificazioni e mercati.

Il quadro delle regole non è uniforme. Negli Stati Uniti e nel Regno Unito le possibili emissioni entrano nella revisione dei progetti. In Germania i proponenti devono presentare già in pianificazione un piano delle emissioni e aggiornare gli studi dopo l’autorizzazione. Regole chiare e comparabili aiutano tutti: sviluppatori, autorità e imprese della pesca e dell’acquacoltura.

Ci sono anche soluzioni tecniche disponibili. Si può ridurre alla fonte con sistemi anticorrosione alternativi, circuiti di raffreddamento chiusi e materiali o lubrificanti più biodegradabili. Non servono rivoluzioni: servono scelte progettuali trasparenti, dati condivisi e una collaborazione strutturata tra chi costruisce parchi eolici e chi lavora in mare ogni giorno.

Le aziende possono chiedere che i capitolati includano inventari dei materiali, piani di campionamento e indicatori chiari per acqua, sedimenti e organismi. Le associazioni possono promuovere tavoli tecnici per armonizzare metodi e frequenza delle misure. Con pochi passi concreti, transizione energetica e valore della filiera ittica possono crescere insieme.

Il 2025 porta una fotografia più nitida: esistono potenziali emissioni chimiche dai parchi eolici offshore, mappate in 228 sostanze, e 62 richiedono più attenzione. La risposta è misurare prima e durante, scegliere soluzioni tecniche più pulite e lavorare con regole comparabili. È così che si tutela l’ambiente e si dà certezza alla filiera.

L’eolico in Italia?

In Italia l’eolico offshore segue un’autorizzazione unica rilasciata dal MASE; la VIA è di competenza statale per gli impianti ubicati in mare e definisce, progetto per progetto, la baseline pre-cantiere e i monitoraggi in esercizio.

Dal 2 luglio 2024 è in vigore il Decreto Aree Idonee, mentre la RED III richiede alle autorità la designazione delle zone di accelerazione entro febbraio 2026. In assenza di linee guida nazionali specifiche sulle emissioni chimiche dell’eolico offshore, i controlli si ancorano ai programmi su acque marino-costiere e Strategia Marina gestiti da ISPRA/SNPA e alle prescrizioni VIA.

Dal marzo 2025 è disponibile un Vademecum MASE che rende omogenea la documentazione per l’iter autorizzativo.

In sintesi: iter unico nazionale, pianificazione in evoluzione e monitoraggi “su misura”, con spazio a soluzioni progettuali che riducono a monte i potenziali rilasci.

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