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La comunicazione non è più un’attività accessoria, né un semplice strumento di visibilità. È diventata una leva strategica che attraversa ogni livello dell’impresa, dalla governance alla relazione con il mercato. Un’evoluzione che riguarda da vicino anche la filiera ittica, chiamata oggi a confrontarsi con un ecosistema informativo sempre più affollato, veloce e, spesso, poco selettivo.

Un recente studio realizzato da EY in collaborazione con SWG, che ha coinvolto responsabili della comunicazione di grandi aziende italiane, fotografa con chiarezza questa trasformazione. I dati parlano di una funzione ormai riconosciuta come centrale e integrata nel business, ma allo stesso tempo attraversata da nuove criticità. Ed è proprio qui che il mondo ittico può trovare spunti di riflessione estremamente attuali.

Il primo dato che colpisce è il riconoscimento quasi unanime del valore strategico della comunicazione. Non più semplice promozione, ma costruzione di reputazione, visione e credibilità nel tempo. Una priorità che, se trasposta nel settore ittico, assume un peso specifico ancora maggiore. Origine delle materie prime, sostenibilità delle pratiche produttive, tracciabilità, sicurezza alimentare, responsabilità sociale: sono tutti temi che non possono essere affrontati con messaggi estemporanei o slogan ripetuti, ma richiedono coerenza, continuità e profondità.

Eppure, lo studio evidenzia anche un rischio sempre più diffuso: quello dell’overload comunicativo. Si comunica troppo, spesso senza una reale strategia, con il risultato di generare rumore più che valore. Una dinamica ben nota anche nel comparto ittico, dove la moltiplicazione di claim su qualità, tradizione e sostenibilità rischia di appiattire le differenze tra aziende, anziché valorizzarle. In questo contesto, la distintività non nasce dalla quantità dei contenuti, ma dalla loro qualità e dalla capacità di essere riconoscibili, credibili e pertinenti.

Non sorprende, quindi, che la qualità del messaggio emerga come l’elemento più ricercato, seguita dal coinvolgimento degli stakeholder e dalla tempestività. Un equilibrio delicato che nel settore ittico si traduce nella capacità di parlare a pubblici diversi – buyer, distributori, operatori, istituzioni – senza perdere identità e senza inseguire ogni trend comunicativo del momento.

Un altro tema centrale è l’uso crescente dell’intelligenza artificiale come strumento di supporto alla comunicazione. Le aziende la utilizzano sempre più per accelerare i processi, automatizzare attività operative e personalizzare i messaggi. Anche nella filiera ittica l’AI sta entrando nei processi di comunicazione, spesso in modo spontaneo e non sempre strutturato. Ma lo studio mette in guardia da rischi concreti: perdita di originalità, standardizzazione dei contenuti, pubblicazioni senza una reale supervisione critica.

Ed è qui che emerge un punto chiave, particolarmente rilevante per il settore: la comunicazione efficace non è una questione tecnologica, ma culturale. Le competenze ritenute fondamentali restano profondamente umane: pensiero critico, capacità di lettura del contesto, creatività, flessibilità. Qualità indispensabili per raccontare un settore complesso come quello ittico, fatto di territori, persone, filiere lunghe e mercati sempre più esigenti.

Sempre più responsabili della comunicazione immaginano un futuro orientato alla selezione, non alla moltiplicazione dei messaggi. Dare priorità alla sostanza, ascoltare gli stakeholder, costruire contenuti che abbiano un senso prima ancora che una diffusione massiva. Un approccio che si sposa perfettamente con le esigenze di una filiera che deve recuperare fiducia, rafforzare la propria reputazione e dialogare con il mercato in modo adulto e trasparente.

Come ha sottolineato Alessandro Vanoni, direttore brand, marketing & communications di EY in Italia, la risposta non è comunicare di più, ma comunicare meglio. Costruire un’architettura della comunicazione capace di dare significato e scopo ai messaggi, partendo da una comprensione profonda del contesto. Un principio che, applicato al settore ittico, può fare la differenza tra una presenza rumorosa e una presenza autorevole.

Per le imprese della filiera ittica, oggi più che mai, la comunicazione è una responsabilità strategica. Non serve essere ovunque, serve essere riconoscibili. Non serve dire tutto, serve dire ciò che conta davvero. È su questa consapevolezza che si gioca una parte importante della competitività futura del settore.

L’articolo Comunicare meno, comunicare meglio: una sfida anche per la filiera ittica proviene da Pesceinrete.

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