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La resilienza climatica e l’economia circolare non sono più parole chiave da documenti programmatici. Con le nuove conclusioni approvate dal Consiglio dell’Unione europea su “L’ambiente in Europa 2030”, diventano un orientamento politico netto, destinato a influenzare in modo concreto i settori produttivi più esposti ai cambiamenti ambientali. Tra questi, anche se non citata direttamente, c’è la filiera ittica.
Il Consiglio riconosce apertamente che i progressi verso gli obiettivi ambientali e climatici fissati dall’8° Programma d’azione per l’ambiente non sono sufficienti. Le analisi dell’Agenzia europea dell’ambiente parlano chiaro: adattamento climatico ed economia circolare procedono troppo lentamente rispetto alla velocità con cui cambiano gli ecosistemi e le condizioni produttive. Da qui la richiesta di un’accelerazione decisa.
Per il settore ittico europeo, questo passaggio ha un peso specifico rilevante. Pesca e acquacoltura operano infatti in un contesto in cui gli effetti del cambiamento climatico non sono più una proiezione futura, ma una variabile quotidiana. Spostamento degli stock, riscaldamento delle acque, eventi meteorologici estremi, erosione costiera e pressione sugli ecosistemi marini stanno già modificando assetti produttivi e catene di approvvigionamento.
Quando il Consiglio chiede di integrare la resilienza climatica in tutte le politiche, introduce un concetto chiave: la capacità di adattamento non può più essere un intervento a posteriori, ma deve entrare nella progettazione stessa dei sistemi produttivi. Nel caso della filiera ittica significa ripensare infrastrutture, modelli di gestione, pianificazione degli investimenti e politiche di supporto pubblico.
Il richiamo allo stato critico della biodiversità rafforza ulteriormente questo quadro. Per il comparto ittico, la salute degli ecosistemi marini non è una variabile esterna, ma il presupposto stesso della continuità economica. Habitat degradati e stock in difficoltà si traducono inevitabilmente in maggiore incertezza per imprese, lavoratori e territori.
Accanto alla resilienza climatica, l’economia circolare emerge come secondo pilastro strategico. Riduzione degli scarti, valorizzazione dei sottoprodotti, riciclo dei materiali, durabilità dei prodotti e packaging sostenibile non sono più scelte reputazionali, ma elementi sempre più centrali nei quadri normativi europei.
Il Consiglio sottolinea inoltre la necessità di rafforzare il mercato delle materie prime secondarie e di creare condizioni di parità tra modelli economici lineari e circolari. Per la filiera ittica questo significa nuove opportunità di innovazione, ma anche una crescente attenzione ai costi di adeguamento e alla competitività, soprattutto nel confronto con produzioni extra-UE.
Il messaggio politico è chiaro: sostenibilità e resilienza non saranno più elementi accessori, ma fattori strutturali per l’accesso ai mercati, ai finanziamenti e alle politiche di sostegno. Il Consiglio avverte che i costi dell’inazione rischiano di superare di gran lunga quelli di una transizione efficace.
Ma c’è un aspetto che spesso resta sullo sfondo: la resilienza non è solo una priorità politica, è una variabile economica. Secondo analisi internazionali, il mancato adattamento al cambiamento climatico sta già erodendo valore lungo la filiera ittica e potrebbe trasformarsi in un conto miliardario nei prossimi decenni.
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