[[{“value”:”

Chi produce pesce allevato conosce bene quella distanza, a volte silenziosa, che ancora separa una parte dei consumatori dal prodotto finale. Non è una distanza legata alla sicurezza alimentare — tema su cui il comparto ha lavorato con rigore per anni — né alla qualità intrinseca, che spesso è più costante e controllabile rispetto a molte alternative. È una distanza culturale, fatta di immagini e convinzioni sedimentate: “allevato” per qualcuno suona ancora come “meno naturale”, più industriale, più opaco.

Per il produttore, il punto non è inseguire questi pregiudizi né tentare di smontarli uno per uno. Il punto è più concreto: capire quali leve attivare per ridurre l’incertezza del consumatore senza trasformare la comunicazione in propaganda. Perché la fiducia, nel food, si costruisce con coerenza e continuità, non con una frase ad effetto.

La prima leva è la trasparenza operativa, ma nel senso giusto. Non è “dire tutto”, né riempire l’etichetta di parole. È rendere comprensibile il proprio lavoro: dove nasce il prodotto, come viene allevato, quali controlli accompagnano le fasi critiche, quali procedure scattano quando qualcosa non rientra nei parametri. Il consumatore non pretende un manuale tecnico, ma riconosce subito quando dietro un prodotto esiste un processo governato, e quando invece esiste solo una promessa generica.

Subito dopo viene il benessere animale, che per molte aziende è già parte della gestione quotidiana, ma che raramente viene espresso con la chiarezza che merita. Densità di allevamento, qualità dell’acqua, gestione sanitaria, riduzione dello stress: sono aspetti che incidono sia sul risultato finale sia sulla credibilità del comparto. Qui la comunicazione funziona quando resta sobria: pochi concetti, spiegati bene, senza toni autocelebrativi. Il messaggio implicito è semplice e potente: “noi lavoriamo per prevenire, non per rincorrere i problemi”.

Una terza leva, sempre più determinante, è quella delle verifiche indipendenti. Il consumatore di oggi, anche quando non lo dichiara apertamente, si fida poco delle auto-dichiarazioni e molto di più di sistemi in cui esistono regole, controlli e audit. In questo quadro, alcune imprese scelgono di aderire a standard internazionali riconosciuti, come quello dell’Aquaculture Stewardship Council, non per “mostrare un marchio”, ma per rendere misurabile e confrontabile il proprio percorso, soprattutto quando si lavora con mercati e canali distributivi che pretendono evidenze e tracciabilità.

C’è poi un elemento meno tecnico, ma decisivo: il radicamento territoriale. Quando l’acquacoltura viene percepita come una fabbrica senza volto, la diffidenza cresce. Quando invece emerge la dimensione reale — impianti, persone, competenze, relazioni con il contesto costiero — cambia anche la lettura del prodotto. Qui non si tratta di storytelling nel senso leggero del termine, ma di ricostruire un nesso: quel pesce non è un oggetto anonimo, è il risultato di un lavoro e di un presidio economico in un territorio.

Infine, c’è la leva più sottovalutata: la coerenza nel tempo. Il consumatore percepisce l’opportunismo e tende a punirlo. Un produttore che mantiene una linea comunicativa stabile, che non rincorre ogni moda, che non promette perfezione ma spiega il proprio metodo, costruisce una credibilità più robusta. E nel medio periodo quella credibilità diventa un vantaggio competitivo reale, perché riduce il “costo” della diffidenza: meno domande sospese, meno resistenze, più disponibilità all’acquisto.

Chi produce in acquacoltura non deve impostare la relazione con il mercato in termini “difensivi”, ma in termini di riduzione dell’incertezza. La fiducia del consumatore si conquista quando l’azienda riesce a dimostrare, in modo coerente e verificabile, la solidità del proprio sistema: tracciabilità di lotto, controllo dei parametri di processo, gestione del benessere animale, presidio ambientale e governance delle non conformità.

Trasparenza, certificazioni e radicamento territoriale funzionano quando sono l’espressione di un impianto produttivo misurabile, auditabile e stabile nel tempo. In quel momento la sostenibilità esce dal piano dichiarativo e diventa un indicatore di affidabilità industriale, con un effetto diretto sulla percezione del prodotto e sulla sua capacità di posizionarsi nei canali più esigenti.

L’articolo Pesce allevato e fiducia: le leve su cui il produttore deve lavorare oggi proviene da Pesceinrete.

“}]] ​