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Mediterraneo, controlli e governance al centro della riunione PECH del 3 dicembre

Mediterraneo, controlli e governance al centro della riunione PECH del 3 dicembre

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La giornata del 3 dicembre 2025 si preannuncia centrale per la politica comune della pesca. Il Comitato PECH del Parlamento europeo torna a riunirsi con un’agenda che intreccia governance internazionale, controllo della filiera, sostenibilità e semplificazione normativa. Un equilibrio delicato che l’Europa dovrà gestire con attenzione nel nuovo anno.

EFCA: Steele presenta il piano 2026. E il discarico 2024 diventa la bussola per leggere il lavoro dell’Agenzia

La sessione del mattino si aprirà con l’intervento di Susan Steele, direttrice dell’Agenzia europea di controllo della pesca (EFCA), chiamata a presentare il programma operativo per il 2026.

Il confronto con gli eurodeputati avviene in continuità con il lavoro sul parere relativo al discarico EFCA 2024, affidato al Comitato pesca. Il discarico è la procedura con cui Parlamento e Consiglio verificano se un’agenzia UE ha gestito correttamente le risorse e svolto i compiti assegnati: conti in ordine, obiettivi raggiunti, uso regolare del bilancio.

Nel caso di EFCA, il Comitato pesca esprime un parere tecnico e politico che prende in esame il rapporto annuale dell’Agenzia, i rilievi della Corte dei conti e l’analisi del Consiglio di amministrazione. È un passaggio che va oltre il piano contabile: le conclusioni influenzano il dibattito sulle priorità future, sulle dotazioni di personale e sui mezzi a disposizione per i controlli.

In questo quadro si inserisce il lavoro del relatore Giuseppe Lupo, che nel suo progetto di parere riconosce la capacità di EFCA di attuare quasi integralmente il programma 2024, pur con un bilancio e un organico tra i più contenuti nel sistema delle agenzie europee. Il testo sottolinea l’aumento delle attività dell’Agenzia e il maggior carico di lavoro derivante dal nuovo Regolamento controllo pesca, avvertendo che sarebbe incoerente ampliare gli obblighi senza adeguare le risorse.

La discussione con Steele sul programma 2026 si innesta quindi su una base chiara: il Parlamento riconosce il ruolo centrale di EFCA nella lotta alla pesca illegale e nel coordinamento dei controlli, ma chiede che ambizioni e mezzi vadano di pari passo.

Bajada e le ORGP: l’Unione aggiorna le sue regole internazionali

Nel pomeriggio l’attenzione si sposterà sulla bozza di relazione del maltese Thomas Bajada, dedicata all’attuazione, nel diritto dell’Unione, delle misure adottate da diverse organizzazioni regionali di gestione della pesca (ORGP).

Il draft report modifica sette regolamenti europei relativi a ICCAT, SPRFMO, NAFO, IATTC, WCPFC, IOTC e al piano pluriennale per il tonno rosso nell’Atlantico orientale e nel Mediterraneo. Il testo integra a livello UE le decisioni assunte in sede internazionale su conservazione, gestione e controllo: dalla protezione di squali e mobulidi al trattamento dei whale shark, dalla definizione di bottom fishing e delle aree di gestione alla disciplina dei transhipment, passando per gli obblighi di osservatori e i flussi di dati.

Per il settore si tratta di un dossier di natura tecnica, ma con effetti molto concreti: l’aggiornamento dei regolamenti consente all’Unione di restare allineata alle misure internazionali e di garantire condizioni di concorrenza più eque tra flotte europee e flotte di Paesi terzi che operano negli stessi bacini.

Kadis: la relazione sulla semplificazione al centro del dialogo con il settore

Alle 15.30 il commissario Costas Kadis presenterà la relazione annuale sui progressi in materia di semplificazione, attuazione e applicazione della normativa.

La relazione rientra nel percorso con cui le istituzioni europee cercano di rendere più gestibili gli obblighi previsti dalla politica comune della pesca, mantenendo al tempo stesso alti standard di controllo e trasparenza. Per molte marinerie, in particolare le realtà di piccola scala, il tema della semplificazione è strettamente legato alla possibilità di applicare le regole in modo efficace nella pratica quotidiana.

Mediterraneo 2026: uno dei dossier più sensibili per flotte e amministrazioni

Un altro momento centrale della riunione sarà la presentazione, da parte della Commissione, della proposta sulle possibilità di pesca nel Mediterraneo per il 2026 e il successivo scambio di opinioni con gli eurodeputati.

L’oggetto formale del punto all’ordine del giorno è la definizione dei livelli di possibilità di pesca per l’anno 2026. Il Mediterraneo resta uno dei bacini più delicati per l’Unione: su questo sfondo, ogni proposta sulle possibilità di pesca si inserisce nel quadro di lungo periodo fatto di piani di gestione, misure tecniche e accordi regionali, in particolare in seno alla GFCM.

Cooperazione internazionale e prossime tappe

Nel corso della seduta, il Comitato prenderà in esame anche il resoconto sulla 48ª sessione della GFCM a Malaga, con un’informativa al comitato dedicata agli esiti dei lavori.

Il programma della giornata include inoltre, a porte chiuse, un debriefing sui negoziati in corso relativi agli Accordi di partenariato per una pesca sostenibile (SFPA), che rappresentano uno strumento chiave della presenza dell’Unione nei Paesi costieri con cui vengono conclusi accordi di accesso.

La prossima riunione del Comitato pesca è già fissata per il 26–27 gennaio 2026, sempre a Bruxelles.

Una seduta che orienta la politica della pesca per il 2026

La riunione del 3 dicembre non è una semplice tappa procedurale.
Le valutazioni sul lavoro di EFCA, l’aggiornamento delle norme che danno attuazione alle decisioni delle ORGP, la relazione sulla semplificazione e il primo confronto sulle possibilità di pesca nel Mediterraneo 2026 concorrono a definire il quadro operativo in cui si muoveranno flotte, amministrazioni e organismi di controllo nel prossimo anno.

Per il settore, seguire da vicino i lavori del Comitato pesca significa capire in anticipo in che direzione si orienta la politica europea della pesca e quali saranno le priorità che guideranno il 2026.

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Nuovo rapporto evidenzia progressi significativi in termini di sostenibilità e recupero di stock ittici fondamentali

Nuovo rapporto evidenzia progressi significativi in termini di sostenibilità e recupero di stock ittici fondamentali

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Pesca nel Mediterraneo

Pesca nel Mediterraneo: stato degli stock e ruolo dell’acquacoltura

Sebbene la sostenibilità della pesca nel Mediterraneo e nel Mar Nero continui a destare preoccupazione, la quota di stock sovrasfruttati è scesa ai livelli più bassi registrati negli ultimi dieci anni, in concomitanza con la rapida espansione dell’acquacoltura che diventa una importante fonte di alimenti acquatici nella regione.

È quanto emerge da un rapporto pubblicato oggi dalla Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo (CGPM) della FAO.

Il rapporto SoMFi 2025: risultati e numeri chiave

Il rapporto Stato della pesca nel Mediterraneo e nel Mar Nero (SoMFi) 2025, elaborato con il contributo di oltre 700 esperti regionali, dimostra come una cooperazione solida e una gestione fondata su evidenze scientifiche stiano producendo risultati concreti.

Negli ultimi 10 anni la pressione della pesca si è ridotta della metà e i principali stock ittici mostrano chiari segnali di recupero. Parallelamente, l’acquacoltura marina e in acque salmastre rappresenta ormai più del 45 percento della produzione di alimenti acquatici, raggiungendo nel 2023 un volume di 940 000 tonnellate.

Nel loro insieme, pesca e acquacoltura, comprese le rispettive catene del valore, hanno prodotto 2,06 milioni di tonnellate di alimenti acquatici, generato un fatturato di 21,5 miliardi di USD e sostenuto 1,17 milioni di posti di lavoro.

Le dichiarazioni della FAO sulla “Trasformazione blu”

“Gli stock non si trovano ancora nelle condizioni ottimali che auspichiamo, ma stanno iniziando a riprendersi grazie a misure di gestione guidate dalla scienza e a un forte coinvolgimento delle parti interessate. Al tempo stesso, l’acquacoltura, se sviluppata in modo responsabile, sta dimostrando di poter contribuire a soddisfare la futura domanda di alimenti acquatici,” ha affermato Manuel Barange, Vicedirettore generale e Direttore della Divisione della pesca e dell’acquacoltura dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO). “Proseguire su questa traiettoria sarà essenziale per conservare gli ecosistemi, rafforzare i mezzi di sussistenza e garantire la sicurezza alimentare nella regione attraverso la cosiddetta Trasformazione blu.”

Il rapporto, il più completo mai realizzato finora, analizza 120 stock nel Mar Mediterraneo e nel Mar Nero. I dati disponibili indicano che, tra il 2013 e il 2023, la mortalità dovuta alla pesca è diminuita in modo significativo, mentre la biomassa delle specie commerciali esaminate è aumentata del 25 percento, grazie a una gestione della pesca più rigorosa e basata su dati scientifici.

Specie in recupero e specie ancora sotto pressione

Progressi tangibili si registrano per diverse specie commerciali di rilevanza strategica. Una marcata riduzione della mortalità da pesca è evidente, in particolare, per triglie e gamberi rossi giganti.

Le specie soggette a specifici piani di gestione mostrano un recupero superiore alla media: nel Mar Adriatico, la sogliola comune ha registrato dal 2019 una riduzione della mortalità da pesca del 42 percento e un incremento della biomassa del 64 percento; nel Mar Nero, il rombo ha evidenziato una diminuzione dell’86 percento della mortalità da pesca e un aumento della biomassa del 310 percento rispetto al 2013.

Al contrario, gli stock di sardina sono stati interessati a un sovrasfruttamento prolungato e continuano a mostrare segnali di riduzione della biomassa. Il nasello europeo, pur a fronte di una diminuzione del 38 percento della mortalità da pesca dal 2015, presenta soltanto segnali modesti di recupero della biomassa, con una forte variabilità tra le diverse sottoregioni.

Dieci anni di azione della CGPM e impegni regionali

Per quanto ancora insufficienti, tali miglioramenti sono il frutto di un decennio di azioni intensive intraprese dai membri della CGPM, che, dal 2013, hanno adottato 11 piani di gestione, istituito 11 zone di restrizione della pesca e avviato 18 programmi di ricerca e studi pilota a supporto dei processi decisionali.

“Questi progressi si fondano su iniziative regionali quali la Dichiarazione MedFish4Ever e la Dichiarazione di Sofia e riflettono il forte impegno dei singoli Paesi verso la sostenibilità,” ha dichiarato Milena Mihaylova, Capo dell’Unità per la Gestione della pesca nel Mediterraneo e nel Mar Nero presso la Commissione europea. “Tuttavia, il lavoro non può dirsi concluso: saranno necessarie una collaborazione ancora più stretta e un’azione costante per garantire sostenibilità nel lungo periodo, anche sul piano sociale ed economico.”

Stock sovrasfruttati, criticità e nuove sfide

Nonostante i miglioramenti raggiunti, il 52 percento degli stock analizzati nella regione risulta ancora sovrasfruttato. Si tratta di un netto progresso rispetto all’87 percento di dieci anni fa, ma il livello rimane troppo elevato per assicurare la buona salute degli ecosistemi marini.

Persistono, inoltre, altre criticità, tra cui la necessità di rafforzare il rispetto delle misure adottate, l’invecchiamento della forza lavoro, disuguaglianze nella redditività, nonché il problema degli scarti e delle catture accidentali di specie vulnerabili, in particolare nelle aree individuate come “zone calde” della regione.

L’acquacoltura in espansione e il suo ruolo nella regione

Per la prima volta, questa edizione del rapporto SoMFi offre un’analisi approfondita dell’acquacoltura nella regione, delineando un settore in rapida espansione. Considerando anche la produzione in acque dolci, l’acquacoltura genera 9,3 miliardi di USD e fornisce quasi 3 milioni di tonnellate di alimenti acquatici.

Da sola, l’acquacoltura marina e in acque salmastre vale 5,2 miliardi di USD e impiega direttamente 113 000 persone.

La produzione risulta fortemente concentrata su un numero limitato di specie: appena 11 specie rappresentano il 99 percento del totale, con orata (34,5 percento) e spigola (29,7 percento) in testa.

Analogamente, solo otto paesi producono il 95,5 percento degli alimenti acquatici allevati nella regione, con Türkiye (400 000 tonnellate), Egitto (147 000 tonnellate) e Grecia (139 000 tonnellate) tra i principali produttori.

Di conseguenza, l’acquacoltura si configura come la fonte di alimenti acquatici in più rapida crescita nella regione e come un pilastro sempre più importante per la sicurezza alimentare e i mezzi di sussistenza delle comunità costiere.

“In un contesto di continua espansione dell’acquacoltura, è fondamentale adottare un approccio coordinato, per garantire che il settore rimanga sostenibile, produttivo, competitivo e redditizio. Al tempo stesso, è necessario preservare i servizi ecosistemici, tutelare il benessere animale e promuovere uno sviluppo socioeconomico inclusivo nelle comunità costiere,” ha dichiarato Ahmet Seremed, Presidente del Consiglio dell’Unione centrale dei produttori di acquacoltura in Türkiye.

Impatti ambientali, governance e domanda futura di alimenti acquatici

Tuttavia, restano aperte sfide rilevanti: il settore dell’acquacoltura deve ridurre il suo impatto ambientale e garantire pratiche adeguate per la salute animale e la biosicurezza, rafforzare la propria accettabilità sociale, in un quadro normativo ancora complesso e frammentato.

Il rapporto avverte che, a fronte della crescita demografica e del cambiamento nei modelli di consumo, la domanda di alimenti acquatici nella regione è destinata ad aumentare. Si stima che, per garantire l’accesso universale ad alimenti acquatici sani e tenere il passo con le tendenze di consumo, la produzione dovrà crescere del 14-29 percento entro il 2050, in modo da consentire a tutti di mantenere gli attuali livelli di consumo pro capite nella regione.

“Gli alimenti acquatici, i pescatori e gli allevatori hanno sempre svolto un ruolo fondamentale nelle comunità costiere della regione,” ha sottolineato Miguel Bernal, Segretario esecutivo della CGPM. “Dobbiamo assicurarci che continuino a farlo anche in futuro, grazie alla cooperazione e a una gestione efficace.”

Pubblicato con cadenza biennale, il rapporto SoMFi si basa sui dati ufficiali forniti dai Membri della CGPM e sulle più recenti valutazioni scientifiche. Rappresenta uno strumento di riferimento essenziale per i decisori politici, che monitora lo stato degli stock ittici della regione, le prestazioni delle flotte e degli allevamenti, e i progressi compiuti verso gli obiettivi di sostenibilità.

Focus Italia: pesca

L’Italia rimane il secondo maggior produttore nel mar Mediterraneo e nel mar Nero con 105.400 tonnellate nel 2023 (9,4 percento del totale), sebbene gli sbarchi siano progressivamente diminuiti fino a raggiungere il minimo storico nel 2023, dopo un picco registrato a metà degli anni ’80.

Tra il periodo 2020–2021 e 2022–2023, le catture sono diminuite di 1.700 tonnellate (9 percento).

Nel mar Mediterraneo, l’Italia rimane il principale paese produttore, con una media di sbarchi pari a 112 455 tonnellate nel periodo 2022–2023, equivalenti al 17,7 percento del totale.

Focus Italia: acquacoltura

L’Italia si colloca al quarto posto tra i produttori di acquacoltura in acque marine e salmastre nel mar Mediterraneo e nel mar Nero, con una produzione stimata in circa 92 400 tonnellate nel 2023, pari al 9,9 percento del totale.

La produzione è fortemente concentrata sui molluschi, in particolare il mitilo mediterraneo e la vongola filippina, che insieme rappresentano oltre l’85 percento della produzione complessiva italiana in acque marine e salmastre.

L’Italia resta, inoltre, il principale produttore di molluschi nel mar Mediterraneo e nel mar Nero.

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Italian Aquaculture Shifts Toward Responsible Farming

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Responsible aquaculture in Italy has undergone a silent transformation in recent years. It is not an overnight revolution, but a gradual shift driven by a market that increasingly demands transparency, measurable commitments, and a new way of communicating how fish is farmed. For many producers, this transition is no longer optional: it has become essential to remain competitive.

Large-scale retail, especially in Northern Europe, has raised the bar. Requests for traceable data, environmental indicators and independent verification are now more frequent, and Italian buyers are moving in the same direction. Across the supply chain, audits have become more rigorous: suppliers must provide precise documentation, while consumers and restaurants want to know exactly where their seafood comes from.

In this context, several companies have chosen to adopt internationally recognized standards to certify their performance. Among them is the Aquaculture Stewardship Council (ASC) certification, used by various Italian producers as a tool to demonstrate product quality — from the production site to the chain of custody. It is not a label to showcase, but a method requiring continuous commitment, constant monitoring and often costly decisions.

Producers who have embraced this path describe very tangible changes: improved water-quality control systems, updated protocols to reduce waste and mortality, and more attention to animal welfare — a topic considered secondary until a few years ago. In some sites, digital technologies now track the entire farming cycle: data that once lived only in a notebook now integrate with software that retailers use to finalize orders.

However, the transition is not without challenges. Many farmers operate with narrow margins and cannot always sustain large investments. Long authorisation procedures, regional differences affecting timelines and strategic choices, and a fragmented production structure all make it harder to achieve the economies of scale already reached by other countries.

Yet despite these obstacles, progress is visible. Companies investing in sustainability report stronger relationships with clients, better positioning and easier access to markets that once seemed out of reach. In coastal areas, responsible aquaculture has also become an economic anchor that ensures job continuity and fosters a more constructive dialogue with local communities, traditionally wary of farming sites.

The sector now stands at a crossroads: continue with a traditional modelfocused mainly on price, or move toward a more advanced approach that combinesquality, transparency and technologies that improve productivity. The second path — although more demanding — is already bringing tangible results to the most forward-looking companies.

Italy has everything needed to consolidate its leadership in the Mediterranean: technical expertise, biodiversity, a strong production tradition and increasingly aware consumers. The next step is to transform sustainability into an industrial pillar, not just a label on packaging. Those able to make this leap will be stronger and more credible in the markets of the future.

For more insights on the future of Italian fisheries and the blue economy, follow ongoing coverage and analysis on Pesceinrete.

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Acquacoltura responsabile in Italia: opportunità e sfide per una filiera sempre più competitiva

Acquacoltura responsabile in Italia: opportunità e sfide per una filiera sempre più competitiva

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Negli ultimi anni l’acquacoltura italiana ha iniziato a cambiare pelle. Non si tratta di una rivoluzione improvvisa, ma di un processo graduale che sta coinvolgendo aziende grandi e piccole, spinte da un mercato che oggi chiede trasparenza, impegni concreti e un modo diverso di raccontare come si alleva il pesce. Per molti operatori del settore, questa transizione non è più un’opzione: è diventata la condizione necessaria per restare competitivi.

La grande distribuzione, soprattutto quella del Nord Europa, ha alzato l’asticella. Le richieste di dati tracciabili, indicatori ambientali e verifiche indipendenti si sono fatte più frequenti, e anche i buyer italiani stanno seguendo questa direzione. Chi lavora nella filiera lo vede ogni giorno: gli audit sono più rigorosi, i fornitori devono rispondere con documenti precisi, mentre consumatori e ristoratori vogliono sapere esattamente da dove arriva ciò che portano a tavola.

In questo contesto, alcune aziende hanno scelto di adottare standard riconosciuti a livello internazionale per certificare il proprio percorso. Tra questi figura anche quello dell’Aquaculture Stewardship Council, utilizzato da diverse realtà italiane come strumento per dimostrare la qualità del loro lavoro, dal sito produttivo fino alla catena di custodia. Non è un marchio da esibire, ma un metodo che richiede impegno continuo, monitoraggi costanti e scelte spesso costose.

acquacoltura responsabile in ItaliaChi ha intrapreso questa strada racconta cambiamenti molto concreti: sistemi di controllo della qualità dell’acqua più precisi, protocolli aggiornati per ridurre sprechi e mortalità, e una maggiore attenzione al benessere animale, tema che fino a pochi anni fa era considerato secondario. In alcuni impianti sono state introdotte tecnologie digitali per seguire l’intero ciclo di allevamento: dati che fino a ieri restavano sul quaderno dell’azienda oggi dialogano con software che la GDO consulta per finalizzare gli ordini.

Accanto ai progressi, emergono però difficoltà altrettanto reali. Molti allevatori lavorano con margini ridotti e non sempre riescono a sostenere investimenti importanti. A complicare il quadro ci sono iter autorizzativi lunghi, differenze territoriali che incidono sui tempi e sulle scelte strategiche, e una struttura produttiva frammentata che rende più difficile raggiungere quelle economie di scala che altri Paesi hanno già ottenuto.

Eppure, nonostante queste criticità, qualcosa si sta muovendo. Chi investe in sostenibilità racconta di rapporti più solidi con i clienti, di un posizionamento migliore e della possibilità di accedere a mercati che fino a poco tempo fa sembravano fuori portata. Nei territori, soprattutto nelle zone costiere, si vede anche un altro effetto: l’acquacoltura responsabile diventa un presidio economico che dà continuità al lavoro e riesce a dialogare meglio con le comunità locali, spesso diffidenti verso gli impianti.

Il settore si trova quindi davanti a un bivio. Continuare con un modello tradizionale, facendo leva principalmente sul prezzo, o investire in un approccio più evoluto che unisce qualità, trasparenza e tecnologie che permettono di lavorare meglio. La sensazione è che la seconda strada, pur più impegnativa, stia già dando risultati tangibili alle realtà più lungimiranti.

L’Italia ha tutte le carte in regola per consolidare la propria leadership mediterranea: competenze tecniche, biodiversità, una tradizione produttiva riconosciuta e un consumatore sempre più attento. Il passo successivo sarà trasformare la sostenibilità in un pilastro industriale, non solo un’etichetta da apporre sul packaging. Chi riuscirà a compiere questo salto potrà presidiare i mercati del futuro con maggiore forza e credibilità.

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Parliamo di Mare a Venezia: focus sul lavoro marittimo

Parliamo di Mare a Venezia: focus sul lavoro marittimo

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Dopo la tappa inaugurale di Pozzallo, dedicata a pesca e acquacoltura, il ciclo di incontri “Parliamo di Mare”, promosso dal Dipartimento per le Politiche del Mare della Presidenza del Consiglio, prosegue a Venezia con un approfondimento sul lavoro marittimo e sulle nuove competenze richieste dalla trasformazione della blue economy.
L’evento si terrà domani, sabato 29 novembre, all’Hotel Monaco & Grand Canal, dalle 9.30 alle 13, con la partecipazione del ministro per la Protezione civile e le Politiche del Mare Nello Musumeci e della ministra del Lavoro e delle Politiche Sociali Marina Elvira Calderone, collegata in videoconferenza.

La scelta di Venezia – città simbolo della marineria italiana – anticipa il taglio tematico della giornata: un confronto tra istituzioni, imprese, associazioni di categoria, formazione accademica e ricerca sul futuro delle professioni del mare.

Innovazione, interoperabilità e digitalizzazione

La prima parte dell’incontro sarà dedicata all’impatto della trasformazione digitale sul lavoro marittimo.
Si affronteranno temi come l’interoperabilità dei sistemi, la semplificazione amministrativa, l’adozione di strumenti digitali per rendere più efficienti i processi di bordo e di terra, e la necessità di armonizzare le procedure con gli standard internazionali.

La modernizzazione dei flussi informativi tra imprese, autorità marittime e formazione è considerata uno dei passaggi chiave per migliorare produttività, sicurezza operativa e competitività dell’intero comparto.

Formazione e nuove competenze per l’economia del mare

La seconda sessione sarà dedicata all’evoluzione delle competenze richieste alle professioni del mare.
Accademie, centri di formazione e rappresentanti dell’armamento discuteranno di ricambio generazionale, fabbisogni professionali, qualificazioni tecniche e nuovi profili che emergono con la transizione sostenibile e con la crescente digitalizzazione delle flotte.

In questo contesto, la collaborazione tra mondo dell’istruzione, imprese e pubblica amministrazione viene indicata come condizione indispensabile per allineare l’Italia alle evoluzioni del mercato marittimo europeo e globale.

Un ciclo che unisce territori e filiere

Con Venezia, “Parliamo di Mare” consolida la sua identità di piattaforma nazionale di confronto.
Il ciclo si sta configurando come un percorso che attraversa le principali città marittime italiane per affrontare i diversi pilastri dell’economia del mare: dalla pesca alla portualità, dalla formazione alla digitalizzazione, dalla governance mediterranea ai servizi marittimi.

L’obiettivo è costruire una visione condivisa tra istituzioni, ricerca e imprese, in un settore in cui innovazione tecnologica, sostenibilità e lavoro qualificato rappresentano ormai elementi indissociabili.

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