Nuovo Patto per gli Oceani, Cisint: servono investimenti

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In occasione dei lavori della Commissione pesca del Parlamento europeo, sono state illustrate le raccomandazioni del Comitato Economico e Sociale Europeo (CESE) sul nuovo Patto per gli Oceani. Si tratta di – spiega l’europarlamentare Anna Maria Cisint (Lega – Patriots for Europe), membro della Commissione PECH – “obiettivi ambiziosi, che si prefiggono di inserire la pesca al centro della strategia, con una serie di azioni di supporto, che vanno dalla riduzione del 25% degli oneri burocratici per i pescatori, allo stanziamento di risorse dedicate per la transizione energetica delle imbarcazioni e per l’ammodernamento della flotta.”

“Tuttavia – avverte Cisintdifficile credere alle buone intenzioni di una Commissione che, negli ultimi anni, non ha saputo fare di meglio che vessare i pescatori in ogni modo, aumentando a dismisura vincoli, limitazioni alle giornate e agli attrezzi da pesca. La Commissione europea, ci ha da tempo abituati ai buoni propositi, senza poi di fatto risolvere concretamente le diverse criticitá che attanagliano il settore. Inutile inoltre, fare proselitismo senza conti alla mano. L’esperienza maturata nella gestione dei bilanci pubblici mi insegna che solo attraverso stanziamenti concreti e procedure chiare possiamo misurare l’effettiva ricaduta sulle imprese della pesca. Servono risorse vere, non annunci.”

Si parla di un rafforzamento del FEAMPA, dell’esenzione del settore pesca dal sistema ETS e della possibilità di valutare i fermi pesca caso per caso e su base regionale, anche nelle aree marine protette. “Tutte misure ancora una volta tardive – prosegue Cisint – mentre il nostro settore continua a pagare un prezzo altissimo: dall’impennata dei costi del carburante in seguito alla guerra in Ucraina, alla moltitudine di penalizzazioni legate al Green Deal.”

“Nel frattempo – conclude – l’import di prodotto ittico da Paesi terzi ha raggiunto il 70%. È il momento di abbandonare definitivamente il vecchio approccio ideologico e cogliere l’occasione per definire una nuova, rivoluzionata, Politica Comune sulla Pesca.”

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Quick commerce ittico: il tempo diventa valore per la filiera del pesce fresco

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Il quick commerce, il commercio elettronico basato sulla consegna ultrarapida, si sta lentamente affacciando anche nel settore ittico. Una rivoluzione silenziosa ma potenzialmente dirompente, in cui tecnologia, logistica refrigerata e consumo urbano si intrecciano per ridefinire tempi e modi dell’acquisto di pesce fresco.

A differenza di altri settori alimentari, dove il quick commerce si è consolidato in pochi anni grazie alla semplicità di stoccaggio e distribuzione, il pesce presenta sfide molto più complesse: deperibilità estrema, necessità di refrigerazione costante e rispetto rigoroso delle normative igienico-sanitarie. Tuttavia, è proprio in questa complessità che si cela un’opportunità per i player più innovativi.

Il concetto è semplice: portare il pesce fresco dal porto o dal mercato locale al consumatore urbano nel giro di 30-60 minuti. Il tutto passando attraverso micro-magazzini refrigerati, noti come dark store, e piattaforme digitali dedicate che permettano di ordinare con pochi clic, magari suggerendo anche ricette o modalità di conservazione.

I potenziali benefici sono evidenti: per il consumatore, la possibilità di acquistare pesce fresco all’ultimo minuto senza rinunciare alla qualità. Per i produttori, la chance di accorciare drasticamente la filiera e trattenere maggiore valore sul prezzo finale. Per il territorio, un’occasione di valorizzazione delle risorse locali in chiave sostenibile.

Ma servono investimenti mirati: tecnologia, tracciabilità in tempo reale, logistica refrigerata capillare e un’educazione continua al consumo consapevole. Servono anche alleanze tra produttori, startup logistiche e piattaforme digitali. E serve, soprattutto, un cambio di mentalità: il pesce fresco non è solo un prodotto da banco, può diventare un servizio veloce, affidabile e ad alto valore aggiunto.

In questo scenario, le cooperative di pesca, i mercati ittici all’ingrosso e le aziende dell’acquacoltura sostenibile possono giocare un ruolo centrale, trasformando il quick commerce da semplice trend in una leva strategica per il futuro del settore.

Il quick commerce ittico non è un esercizio di stile. È una possibilità concreta per ripensare la distribuzione urbana del pesce fresco, ridurre gli sprechi e migliorare la redditività lungo la filiera. Il tempo è l’ingrediente più prezioso: per chi compra e per chi produce.

Pesceinrete continuerà a monitorare e raccontare le evoluzioni di questo trend.

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Sonar e selettività: nuove frontiere per la stima acustica della taglia del pesce

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La stima acustica della taglia del pesce prima della cattura rappresenta una priorità strategica per migliorare la selettività della pesca e massimizzare il valore economico del pescato. È quanto emerge dal progetto norvegese “Acoustic Estimation of Fish Size during Pre-catch in Commercial Fishing of Pelagic Species“, condotto dall’Institute of Marine Research (IMR) e finanziato dal Fisheries and Aquaculture Industry Research Fund (FHF). L’iniziativa ha testato la possibilità di impiegare ecoscandagli a banda larga per ottenere stime affidabili delle dimensioni dei pesci prima dell’operazione di cattura.

Obiettivo: migliorare selettività ed efficienza

Nel contesto della pesca pelagica commerciale, conoscere la dimensione del pesce prima dell’immissione delle reti può evitare catture indesiderate e garantire il rispetto dei limiti normativi. Per questo, il progetto ha previsto l’installazione a bordo del peschereccio FV Libas di un ecoscandaglio EK80 dotato di trasduttore direzionale da 3° e frequenza operativa tra 160–260 kHz. Il dispositivo, posizionato sotto la chiglia retrattile, ha consentito di rilevare singoli esemplari di sgombro fino a 120 metri di distanza durante la pesca nelle acque britanniche nel 2024, senza interferire con le normali operazioni.

Tecnologie avanzate, risultati da consolidare

Il metodo originario per stimare la taglia, basato sull’individuazione di due picchi distinti nel segnale acustico a banda larga, non ha fornito i risultati sperati a causa della complessità della risposta acustica reale dei pesci. In alternativa, i ricercatori hanno adottato un approccio basato sulla Target Strength (TS) e sull’angolo di incidenza del pesce rispetto al fascio acustico. I dati hanno mostrato una buona corrispondenza tra il massimo TS e la lunghezza stimata, con uno scarto medio di circa 45 mm rispetto ai campioni biologici reali.

Il progetto ha inoltre confermato la validità dell’approccio teorico tramite modellazione FEM (Finite Element Method), simulando la struttura fisica del pesce, incluso lo scheletro. Tuttavia, restano da sviluppare algoritmi di tracciamento automatico e metodologie standardizzate per l’analisi del TS in banda larga, oggi non ancora universalmente adottate dalla comunità scientifica.

Prospettive operative e sviluppi futuri

Oltre ai risultati sperimentali, il progetto ha evidenziato importanti ricadute pratiche per l’industria. Disporre di uno strumento affidabile per stimare la taglia del pesce in tempo reale può trasformarsi in un vantaggio competitivo per l’intero settore: migliorando la qualità del pescato, riducendo le catture indesiderate e rendendo l’attività più sostenibile.

I ricercatori propongono di continuare i test in ambienti controllati, come le gabbie di allevamento o le aree costiere frequentate da sgombri liberi, per affinare ulteriormente i modelli di stima e facilitare la raccolta di dati confrontabili con i risultati in mare aperto. Un passaggio fondamentale per trasformare la ricerca in un prodotto operativo destinato alla flotta commerciale.

Il progetto norvegese dimostra che le tecnologie acustiche avanzate rappresentano una delle strade più promettenti per l’evoluzione verso una pesca selettiva, efficiente e sostenibile. Le sfide non mancano, ma i risultati già ottenuti aprono nuove possibilità operative e industriali per le flotte europee e internazionali.

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Dalla scatoletta alla circular economy: il tonno in scatola guida l’innovazione del settore

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Nel 2024, il tonno in scatola si conferma pilastro dell’industria conserviera ittica italiana. A fronte di uno scenario economico ancora incerto, segnato dall’inflazione e dal calo del potere d’acquisto, i volumi di vendita si stanno assestando, mentre crescono export e valore del comparto. Lo evidenzia il report annuale dell’Associazione Nazionale Conservieri Ittici e delle Tonnare (ANCIT) su dati NIQ, ISTAT e Circana.

Un comparto resiliente e in evoluzione

Nel retail, le vendite hanno registrato un calo del 4% a volume, ma la contrazione reale è contenuta: il numero di confezioni vendute è diminuito solo dello 0,6% rispetto al 2023. Il consumo pro capite si attesta sui 2,36 kg annui, confermando la presenza costante del tonno in scatola sulle tavole italiane.

La produzione nazionale è scesa a 72.000 tonnellate (-2,2%), ma è compensata dalla stabilità delle importazioni (98.000 tonnellate) e dalla forte crescita delle esportazioni, che nel 2024 hanno raggiunto le 30.600 tonnellate, con un incremento del +9,57% sul 2023. I principali mercati esteri sono Paesi dell’UE (Germania, Grecia, Croazia, Romania, Slovenia, Polonia, Ungheria e Austria), ma si distinguono anche Canada e Arabia Saudita, quest’ultimo sopra le 1.000 tonnellate grazie all’accordo CETA.

Circular economy e valorizzazione totale della risorsa

Il tonno in scatola è ormai simbolo di sostenibilità. Solo il 41–43% del pesce pescato viene inscatolato; il resto – pelle, carne rossa, testa, lische – viene reimpiegato in filiere innovative: farina e olio di pesce per mangimi e acquacoltura, cosmetici, nutraceutici, bioplastiche e bioenergia. Si tratta di una valorizzazione integrale della risorsa marina, resa possibile anche grazie alla ricerca applicata e alla collaborazione con startup e centri di ricerca.

Anche il packaging racconta un’evoluzione positiva. Le scatolette di acciaio e alluminio sono riciclabili al 100% all’infinito. Secondo i dati 2024 di RICREA, in Italia sono state avviate al riciclo 409.000 tonnellate di acciaio, pari al 77,8% dell’immesso al consumo.

Identità culturale e futuro industriale

Il tonno in scatola è anche una storia italiana. Come ricorda ANCIT, la pesca del tonno nel Mediterraneo ha origini preistoriche, testimoniata da graffiti nell’isola di Levanzo, ed è proseguita attraverso le civiltà classiche fino alle tonnare siciliane e all’inscatolamento industriale dell’Ottocento, grazie all’invenzione di Nicolas Appert.

Dallo stabilimento Florio di Favignana, uno dei primi poli industriali dell’Italia unita, fino alla moderna appertizzazione, il comparto ha saputo coniugare tradizione, tecnologia e qualità. L’Italia, oggi secondo produttore europeo dopo la Spagna, continua a rappresentare un modello di eccellenza grazie a un mix virtuoso di competenza industriale e patrimonio culturale.

Il tonno in scatola, volano sostenibile per il conserviero ittico, si conferma uno dei prodotti più rappresentativi del Made in Italy alimentare, capace di unire valore nutrizionale, sostenibilità ambientale e continuità industriale. In uno scenario globale dove la qualità e la responsabilità ambientale sono sempre più decisive, la filiera conserviera italiana mostra di avere strumenti, visione e radici per rafforzare il proprio ruolo anche nei mercati internazionali.

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Acquacoltura europea: quando la fiducia crolla sotto il peso del greenwashing

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Il greenwashing nell’acquacoltura UE non è solo una preoccupazione accademica: rappresenta un ostacolo concreto alla fiducia dei consumatori. Un recente studio condotto in cinque Paesi europei evidenzia un problema strutturale di percezione. Per l’intero settore dell’acquacoltura il tema è diventato strategico: ricostruire la credibilità è oggi una necessità urgente.

Promesse verdi e realtà operative: un divario pericoloso

Negli ultimi anni, l’acquacoltura è stata spesso presentata come un settore chiave per la transizione verso un sistema alimentare sostenibile. Ma tra le dichiarazioni green e la realtà produttiva persistono incongruenze. In Norvegia, per esempio, problematiche come l’elevata mortalità e la diffusione di parassiti marini mettono in crisi la narrazione di sostenibilità. Anche nei Paesi mediterranei dell’UE, l’impatto su ecosistemi costieri solleva interrogativi.

È in questo contesto che il greenwashing nell’acquacoltura UE viene percepito come un meccanismo comunicativo fuorviante. Le affermazioni ambientali non accompagnate da dati solidi alimentano diffidenza. Per chi opera nella trasformazione, distribuzione o promozione del prodotto ittico, questo significa perdita di valore e reputazione.

Tre profili di consumatori: tutti chiedono trasparenza

La survey realizzata con il contributo dell’Università di Bologna ha coinvolto 2.500 persone in Italia, Francia, Germania, Spagna e Regno Unito. I risultati segmentano i consumatori in tre categorie:

  • Gli scettici: diffidano delle dichiarazioni green. Considerano rischiosa l’informazione che proviene dall’industria, ma sono aperti a cambiare idea se messaggi più autentici dovessero emergere.
  • I fiduciosi: un segmento ristretto, ma con atteggiamento positivo verso tutti i sistemi acquicoli, purché siano certificati e comprensibili.
  • I disinformati: la maggioranza. Conoscono poco il settore e sono incerti di fronte a tecnologie come RAS o IMTA. La mancanza di riferimenti comprensibili li rende vulnerabili alla sfiducia.

Il dato più rilevante? Anche chi si fida del comparto richiede chiarezza e strumenti per verificare le informazioni. In assenza di queste condizioni, il greenwashing nell’acquacoltura UE diventa una barriera all’acquisto consapevole.

Come invertire la rotta: norme e pratiche comunicative

Per contrastare la diffusione di messaggi ingannevoli, la Commissione Europea ha introdotto nuove regole contro il greenwashing. Tra le più rilevanti:

  • Divieto di affermazioni ambientali generiche senza prove documentate.
  • Obbligo di usare etichette ambientali riconosciute da autorità pubbliche o da standard certificati.

Tuttavia, la soluzione non può essere solo normativa. Le imprese devono riformulare il modo in cui comunicano il proprio impatto. Più che cercare frasi d’effetto, è preferibile mostrare il percorso: i progressi fatti, le difficoltà incontrate, le verifiche effettuate da terzi. Questo approccio non solo rafforza la fiducia, ma differenzia positivamente chi opera con serietà da chi si limita a un marketing di facciata.

Il greenwashing nell’acquacoltura UE è oggi un rischio reputazionale sistemico. Se ignorato, danneggerà l’intero settore. Se affrontato con trasparenza e rigore, può diventare un’opportunità per distinguere le imprese davvero impegnate nella sostenibilità. La comunicazione non è un orpello, ma un pilastro della competitività.

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