L’intelligenza artificiale applicata all’economia blu

L’intelligenza artificiale applicata all’economia blu

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Nel porto di Reykjavík, l’Iceland Ocean Cluster ha trasformato un concetto in pratica: l’intelligenza artificiale applicata all’economia blu può essere la chiave per unire sostenibilità, valore e tecnologia.
Da anni il cluster riunisce imprese, ricercatori e startup per un obiettivo comune: rendere la filiera ittica più efficiente e più rispettosa delle risorse marine.
La recente tavola rotonda organizzata nella capitale islandese ha messo in luce quanto il digitale stia diventando centrale nelle strategie dell’economia marittima. Qui l’intelligenza artificiale non è un esperimento, ma un’infrastruttura invisibile che sostiene ogni fase della produzione.

Dal dato al valore

In Islanda la tecnologia non è fine a sé stessa. Sensori e modelli predittivi raccolgono e interpretano enormi quantità di dati, migliorando la gestione della biomassa e ottimizzando i processi di pesca e trasformazione.
La filosofia “100% Fish”, che punta a utilizzare ogni parte del pesce, ha trovato nell’IA un alleato potente: algoritmi capaci di individuare impieghi alternativi per scarti e sottoprodotti, trasformandoli in collagene, fertilizzanti, integratori e bioplastiche.
Il risultato è un’economia circolare pienamente funzionante, dove la ricerca scientifica dialoga con l’industria e la sostenibilità diventa motore di competitività.

L’uomo resta al centro

L’espansione dell’intelligenza artificiale applicata all’economia blu sta modificando il lavoro stesso nel comparto marittimo.
L’automazione riduce i tempi, ma accresce la necessità di competenze digitali. In Islanda si stanno formando tecnici capaci di leggere i dati oceanici, analisti di sistemi e operatori specializzati nella manutenzione dei sensori marini.
Il capitale umano resta la risorsa più importante: senza la conoscenza delle persone, i dati restano numeri. È questa la differenza tra un’industria che si limita a modernizzarsi e una che evolve davvero.

Un messaggio al Mediterraneo

Per la filiera ittica italiana, il modello islandese rappresenta un segnale preciso.
Le nostre marinerie, spesso a conduzione familiare, possono trarre grande vantaggio dalla digitalizzazione dei processi: pianificare meglio le catture, ridurre i consumi di carburante, valorizzare i sottoprodotti, migliorare la tracciabilità.
Ma la trasformazione richiede una rete di collaborazione tra istituzioni, ricerca e imprese. L’innovazione non nasce da un singolo progetto, bensì da una visione condivisa che metta in relazione mare, territorio e industria.

Il mare come ecosistema intelligente

Guardando all’Islanda, emerge un principio semplice: l’intelligenza artificiale applicata all’economia blu non è un obiettivo, ma un linguaggio nuovo.
Un linguaggio che traduce il mare in dati, connette persone e processi, e permette di prendere decisioni più consapevoli.
Per i Paesi che vivono di mare, accogliere questa prospettiva significa rivedere l’intero paradigma produttivo, passando da un’economia estrattiva a una rigenerativa.
È una sfida culturale, prima ancora che tecnologica. Ma chi saprà affrontarla con visione e coraggio, come sta facendo l’Islanda, scriverà il futuro dell’economia del mare.

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Consumi domestici e mercati esteri: la sfida italiana nel settore ittico europeo

Consumi domestici e mercati esteri: la sfida italiana nel settore ittico europeo

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Secondo i dati del più recente Market Highlights di EUMOFA, il mercato ittico italiano mostra una sostanziale stabilità. Dopo le tensioni inflazionistiche del biennio 2022-2023, i consumi si sono normalizzati, pur rimanendo sotto i livelli pre-pandemia. Il mercato ittico italiano 2025 si distingue per una domanda interna ancora vivace ma sempre più attenta al prezzo e alla qualità percepita.

Il consumo domestico resta concentrato su specie tradizionali come tonno, acciughe e merluzzo, mentre i prodotti trasformati consolidano la loro posizione grazie alla praticità e alla conservabilità. I prezzi medi, in particolare per i prodotti freschi, si sono mantenuti stabili nei primi trimestri del 2025, segnale di un equilibrio tra costi di produzione e potere d’acquisto delle famiglie.

Il peso dell’Italia nel quadro europeo

L’Italia rimane uno dei principali mercati di consumo di prodotti ittici nell’Unione Europea, insieme a Spagna e Francia. Tuttavia, la bilancia commerciale continua a mostrare un forte disavanzo, legato all’elevato volume di importazioni. La dipendenza dalle forniture estere, soprattutto per specie come salmone e baccalà, rappresenta una sfida strutturale che il settore tenta di mitigare puntando su innovazione e tracciabilità.

Il comparto dell’acquacoltura italiana, pur in crescita, non copre ancora una quota significativa del fabbisogno nazionale. EUMOFA sottolinea come la produzione locale resti concentrata su poche specie e aree geografiche, con potenzialità ancora inespresse in segmenti come i molluschi e le orate allevate.

L’export cresce, ma resta sottodimensionato

Sul fronte delle esportazioni, l’Italia mostra segnali di crescita contenuta ma costante. L’export di prodotti trasformati e conservati guadagna terreno, trainato da marchi riconoscibili e standard qualitativi elevati. Tuttavia, il peso dell’Italia sul totale europeo resta marginale rispetto ai principali competitor del Nord, come Paesi Bassi e Danimarca, che dominano la trasformazione industriale e la logistica.

La sfida per il 2025 e gli anni a venire sarà rafforzare la competitività internazionale del made in Italy ittico, valorizzando la filiera corta e la qualità certificata. La capacità di unire produzione, comunicazione e internazionalizzazione sarà decisiva per consolidare un’identità forte e riconoscibile nel panorama europeo.

Tra consumo consapevole e sovranità alimentare

La tendenza emergente in Italia, secondo EUMOFA, è quella di un consumo più informato e sostenibile. I consumatori cercano prodotti tracciabili, locali e con un impatto ambientale ridotto. Le imprese più innovative rispondono con etichette trasparenti, certificazioni e packaging ecologici.

Questo nuovo equilibrio tra domanda e offerta segna un passaggio importante: il mercato non cresce solo in valore, ma evolve nella direzione di una maggiore consapevolezza. In questa prospettiva, il mercato ittico italiano 2025 rappresenta un laboratorio di sostenibilità e innovazione che può rafforzare la posizione del Paese nel contesto europeo.

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Acquacoltura globale oltre la cattura: la sfida del 22% entro il 2050

Acquacoltura globale oltre la cattura: la sfida del 22% entro il 2050

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Secondo la FAO, intervenuta alla conferenza IFFO 2025 tenutasi a Tokyo dal 20 al 22 ottobre, la produzione globale di acquacoltura sostenibile ha superato per la prima volta la pesca di cattura, raggiungendo 91 milioni di tonnellate nel 2022. Tuttavia, per mantenere i livelli di consumo in un mondo che conterà 9,7 miliardi di persone entro il 2050, l’offerta globale di prodotti ittici dovrà aumentare di almeno il 22%.

Questo sorpasso segna un punto di svolta nella storia alimentare. Il pesce allevato non è più una risorsa complementare, ma la colonna portante della sicurezza proteica mondiale. Tuttavia, la crescita è oggi frenata da fattori strutturali che minacciano la sostenibilità a lungo termine.

L’Africa sotto pressione, l’Asia rallenta

La FAO indica che l’Africa sarà la regione più esposta alla pressione della domanda, con un fabbisogno di incremento produttivo del 74% per garantire l’autosufficienza. Nel frattempo, l’Asia – ancora oggi responsabile della quota principale di produzione globale – mostra segnali di rallentamento dovuti alla scarsità di acqua dolce, all’uso intensivo del suolo e all’aumento dei costi energetici e dei mangimi.

Molti Paesi produttori devono oggi conciliare obiettivi economici e ambientali. L’acquacoltura sostenibile diventa così una necessità, più che una scelta. Digitalizzazione, tracciabilità e innovazioni nei sistemi di alimentazione rappresentano le direttrici più concrete per affrontare il futuro.

Farina e olio di pesce restano cardini della catena alimentare

Nonostante la ricerca di ingredienti alternativi e l’interesse crescente per proteine di origine vegetale o microbica, la farina e l’olio di pesce continuano a svolgere un ruolo strategico. Alla IFFO 2025 gli esperti hanno ribadito che questi prodotti garantiscono nutrienti di alta qualità, difficilmente sostituibili nei mangimi destinati ai pesci d’allevamento.

Le sfide riguardano l’approvvigionamento responsabile delle materie prime e la valorizzazione dei sottoprodotti della lavorazione ittica. In un sistema più circolare, ogni residuo può diventare una nuova risorsa, riducendo la pressione sugli stock selvatici e migliorando la sostenibilità complessiva della filiera.

Verso un nuovo equilibrio globale

Il settore ittico si trova davanti a un bivio. Da un lato, l’urgenza di produrre più pesce per nutrire una popolazione in crescita; dall’altro, la necessità di farlo senza compromettere gli ecosistemi marini. La FAO invita governi e industria a costruire un modello di sviluppo più equo, basato su ricerca, cooperazione e tecnologie efficienti.

L’acquacoltura sostenibile, se adeguatamente supportata da politiche mirate e investimenti pubblici e privati, potrà garantire al pesce un ruolo centrale nella sicurezza alimentare del futuro. È una sfida globale, ma anche un’opportunità per ripensare il modo in cui produciamo e consumiamo risorse marine.

 

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Norvegia, un nuovo approccio all’allevamento dell’ippoglosso atlantico

Norvegia, un nuovo approccio all’allevamento dell’ippoglosso atlantico

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L’allevamento dell’ippoglosso atlantico entra in una nuova fase di maturità grazie ai risultati congiunti dell’Istituto Norvegese di Ricerca Marina, dell’Università di Bergen e di Nofima. Il progetto, finanziato dal Fondo di Ricerca per l’Industria della Pesca e dell’Acquacoltura, ha messo a punto formule alimentari capaci di adattarsi alle diverse fasi di crescita dell’halibut.

Dopo cinque anni di sperimentazioni, i ricercatori hanno delineato un quadro dettagliato dei fabbisogni nutrizionali di questa specie pregiata. I nuovi mangimi consentono di migliorare la crescita, ridurre gli sprechi e abbattere i costi legati all’alimentazione, che rappresentano la principale voce di spesa per gli allevatori.

L’amido, da limite a risorsa

Tra i risultati più interessanti spicca il ruolo dell’amido, finora considerato poco compatibile con la dieta di un predatore come l’halibut. I dati raccolti mostrano invece che un livello di amido compreso tra il 22 e il 25% può stimolare la crescita nelle fasi più avanzate.

Questo cambio di prospettiva apre nuove opportunità industriali. Aumentare la quota di carboidrati riduce la necessità di proteine animali, generalmente più costose, migliorando al contempo la sostenibilità economica ed ecologica dell’allevamento. In un momento in cui l’industria ittica cerca soluzioni per diminuire la pressione sulle risorse marine, l’impatto di questa scoperta è tutt’altro che marginale.

Vitamine e bilanciamento nutrizionale

La ricerca ha anche colmato un vuoto importante sulle esigenze vitaminiche dell’halibut. I ricercatori hanno definito livelli precisi per diverse vitamine del gruppo B, vitamina C e B12, confermando la necessità di un equilibrio attento nella composizione dei mangimi.

L’interazione tra acido pantotenico e biotina, ad esempio, mostra come un eccesso del primo possa ridurre l’assorbimento del secondo. Inoltre, i livelli di vitamina C richiesti risultano significativamente più elevati rispetto ad altre specie ittiche, un dato che potrebbe incidere sui costi ma anche sulla qualità del pesce allevato.

Ingredienti alternativi e preferenze dei consumatori

Uno degli aspetti più innovativi del progetto riguarda l’uso di materie prime alternative nei mangimi. La sostituzione della farina di pesce con ritagli di salmone, farine di insetti e scarti avicoli ha dato risultati sorprendenti. Gli ippoglossi hanno accettato senza difficoltà queste diete, mantenendo buoni tassi di crescita.

Ancora più significativo è il test sensoriale condotto su 51 partecipanti da uno chef stellato: il 61% ha preferito il sapore dell’halibut allevato con ingredienti alternativi. Una conferma che la sostenibilità, in questo caso, può coincidere con una migliore qualità percepita dal consumatore finale.

Verso un modello di acquacoltura più sostenibile

L’esperienza norvegese dimostra come la ricerca scientifica possa generare valore concreto per la filiera. L’adozione di strategie alimentari più intelligenti e la valorizzazione di sottoprodotti dell’industria ittica e avicola aprono la strada a un’economia circolare applicata all’acquacoltura.

Per l’Europa, dove l’allevamento dell’ippoglosso atlantico rappresenta ancora una nicchia ad alto potenziale, queste scoperte forniscono strumenti utili per consolidare la competitività del settore, riducendo al contempo l’impatto ambientale e la dipendenza dalle farine di pesce tradizionali.

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Oceani sotto pressione: meno carbonio assorbito, più rischi per la pesca

Oceani sotto pressione: meno carbonio assorbito, più rischi per la pesca

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Il riscaldamento degli oceani sta riducendo la capacità del mare di assorbire anidride carbonica, una funzione vitale che per decenni ha attenuato gli effetti del cambiamento climatico.
Secondo il rapporto 10 New Insights in Climate Science 2025, il più grande pozzo di carbonio della Terra mostra chiari segni di cedimento. Gli oceani, che hanno assorbito quasi un terzo delle emissioni prodotte dalle attività umane, stanno trattenendo meno CO₂ man mano che la temperatura dell’acqua aumenta. Questo fenomeno mina il loro ruolo di stabilizzatori climatici e amplifica la frequenza e l’intensità delle ondate di calore marine.

Un equilibrio fragile tra vita marina e attività umane

Le conseguenze del riscaldamento degli oceani sulla pesca sono già visibili. Le ondate di calore prolungate distruggono foreste di alghe, indeboliscono le barriere coralline e alterano gli habitat costieri.
Nel Mediterraneo, le acque più calde spingono molte specie tradizionali verso nord e favoriscono la presenza di pesci tropicali. Questi spostamenti modificano le stagioni di pesca, i rendimenti e la sostenibilità delle catture. Le comunità costiere, da sempre legate a un equilibrio biologico e culturale preciso, si trovano oggi a fronteggiare una trasformazione profonda, con effetti economici e sociali difficili da prevedere.
Le marinerie si adattano, ma la velocità del cambiamento rischia di superare la loro capacità di risposta.

Il limite della natura e la sfida della politica

Gli scienziati che hanno contribuito al rapporto — oltre settanta esperti di ventuno paesi — invitano a non affidarsi più solo ai sistemi naturali per assorbire il carbonio.
Foreste, suoli e mari mostrano segni di esaurimento. È necessario intervenire con una riduzione drastica delle emissioni e con nuove tecnologie di cattura del carbonio, applicate in modo responsabile e trasparente.
La COP30, che si terrà dal 10 al 21 novembre 2025 a Belém (Amazzonia), sarà chiamata a trasformare gli allarmi della scienza in azioni concrete. L’oceano, cuore pulsante del clima globale, non può più essere considerato una risorsa inesauribile.
Le politiche sulla pesca e quelle climatiche devono integrarsi: tutelare gli ecosistemi marini significa anche proteggere i mezzi di sussistenza di milioni di persone.

Adattarsi per sopravvivere

La scienza offre oggi strumenti per anticipare gli effetti del riscaldamento marino. Le previsioni sulle ondate di calore possono aiutare la filiera ittica a reagire in tempo, proteggendo gli allevamenti, diversificando la produzione e pianificando in modo sostenibile.
L’intero comparto è chiamato a un salto di consapevolezza. Non basta più limitare l’impatto ambientale: occorre partecipare attivamente alla mitigazione. Ridurre le emissioni legate alla catena del freddo, innovare nei sistemi di allevamento e favorire il ripopolamento marino sono passi essenziali.
Il futuro della pesca dipenderà dalla capacità di adattarsi a un oceano che cambia, senza rinunciare alla sua ricchezza ma imparando a custodirla.

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